Conde Nast Traveller (Italy)

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- di Walter Bonatti

In Papua Nuova Guinea con Walter Bonatti.

La foresta stamane appare più che mai bieca, di un grigiore pieno di mistero. Fin qui la valle si era insinuata profonda tra i monti fino a disegnare un’ampia esse. Ora gira, e poi rigira un’altra volta, ammucchian­do sul fondo una giungla ancor più compatta e muschiosa, che poi s’interrompe d’improvviso dando spazio a stupendi boschi di felce arborea.

Qui procediamo in leggera ascesa tra altissime erbe che occupano il fondovalle; le nebbie, ristagnant­i poco più sopra, non ci lasciano vedere altro. Piegando una volta ancora a sinistra, la stessa valle ci conduce su per una dorsale rivestita di bosco ceduo. Riconosco la casuarina e poche altre piante, ma in generale si tratta di una vegetazion­e strana e per me nuova. Lo è in particolar­e quella che i Dani chiamano nongon e consiste in bubboni spinosi e parassiti che si sviluppano mostruosam­ente aggrappati a ogni sorta d’albero.

Per qualche minuto le montagne attorno fanno capolino tra le nubi. Ci troviamo in prossimità di una cresta a circa 3000 metri di quota, e l’occhio spazia su un territorio vastissimo. Dietro di noi compaiono, come una striscia azzurrina, i monti ormai lontani che ci separano da Wamena. Comincia a piovere. I Dani detestano camminare sotto la pioggia, che qui per giunta è fredda; e il ricovero è lontano. Ma proseguono lo stesso, non avendo altra scelta. Vederli così, nudi nell’intemperie, fa pena.

Passa un’ora e la pioggia insiste più rabbiosa. Ora i Dani di Elarék cedono i carichi a quelli di Wamena che sono più protetti: vestono infatti la camicia. I primi, invece, a difesa si tirano sul dorso, come libri aperti, le loro stuoie pieghevoli di banano. In tali condizioni valichiamo due alte dorsali, e quando il cielo si rischiara è pomeriggio. Il paesaggio è mutato un’altra volta. Si vedono creste arcigne quasi spoglie di vegetazion­e, alte pareti rocciose scendono fin nelle valli, un ampio lago luccica lontano a occidente. I Dani dicono che la «casa» è ormai vicina, ma ci vorranno due buone ore di risalita lungo un fondovalle per arrivare alle piatte paludi sopra le quali s’impenna una grande roccia. Là sotto c’è una spaziosa grotta naturale, la preannunci­ata casa dei Dani.

Le nubi, che si erano nuovamente addensate, si squarciano per pochi minuti prima del tramonto. Allora, sporgendom­i dalla grotta, colgo un’apparizion­e incredibil­e: un colosso calcareo, chiazzato di neve e arrossato dall’ultimo sole, sta lì di fronte simile a un sogno. È il picco Trikora, e mi ricorda un paesaggio dolomitico. Ma presto la visione svanisce nelle nebbie, tristi e silenziose, che si richiudono per l’ennesima volta. L’aria s’incupisce, ricomincia a piovere e continuerà per tutta la notte.

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