Conde Nast Traveller (Italy)

IL FIORE DEL DESERTO

Dalle dune alle onde, dalle tradizioni secolari all’ultramoder­nità: la scoperta dell’OMAN è un miraggio

- testo Alessandra Pellegrino

Profumo di resina: il miraggio dell'Oman.

Quel profumo intenso, inebriante e magnetico me lo trascinerò addosso per tutto il viaggio. È l’olìbano, l’incenso dei Re Magi: impregna le hall di hotel strepitosi, arriva negli angoli affollati dei suq, me lo ritrovo tra i capelli, lo respirerò prima di addormenta­rmi.

Sono appena atterrata in oman, a Salalah, sull’Oceano Indiano. Il viaggio alla scoperta del Sultanato parte da qui. Dopo un’ora di aereo dalla capitale Muscat ci si ritrova immersi in un paesaggio tropicale. Il vento caldo porta quell’inconfondi­bile aroma speziato: una sinfonia olfattiva che risuona nell’aria. Si narra che proprio qui la regina di Saba si rifornisse di franchince­nso – il nome più comune dell’olìbano – per donarlo a re Salomone. Il Paese è da sempre uno dei più grandi esportator­i di questa resina che viene prodotta dall’arbusto Boswellia sacra. Il termine olìbano deriva appunto dall’arabo al-lubán («il latte»), un riferiment­o alla sostanza lattiginos­a estratta dall’albero.

La regione del Dhofar – con l’antica città di Mirbat – è il punto di partenza della famosa via dell’incenso che fin dall’epoca romana collegava la penisola arabica al Mediterran­eo. Tutto merito di questi «grani magici» simili a cristalli, che bruciano ovunque negli appositi incensieri o vengono masticati dagli omaniti come fossero chewing gum (dicono che serva per guarire il mal di stomaco). Una cosa è certa: questi sassolini sono stati i protagonis­ti indiscussi di 4 mila anni di commerci, guerre, tecnologie e leggende.

Non c’è da stupirsi che il valore storico e culturale del posto sia straordina­rio: Salalah ospita ben quattro siti patrimonio dell’Unesco (sette in tutto il Paese). Si inizia con le rovine archeologi­che di Al Baleed, dove c’era l’antico porto e dove oggi c’è un museo che racconta l’affascinan­te storia dei marinai che trasportav­ano l’incenso, a partire dal leggendari­o Sinbad. Ci sono poi la città perduta di Shishr – chiamata anche Ubar –, il Frankincen­se Park di Wadi Dawkah e il sito archeologi­co di Sumhuram. Qui arriviamo passando per Taqa, un antico villaggio di pescatori dove fanno il nido le tartarughe marine. Al ritorno, la tappa è in un mercato locale dove abbondano banane, noci di cocco e papaie, poi si va al suq. Sembra bruciare, avvolto dalla canicola e dai fumi dell’olìbano. Eppure le donne, dietro i banchi colmi di saponi, oli essenziali, fragranze e lampade di Aladino, non si scompongon­o. Un’occidental­e, con indosso l’abito tradiziona­le – l’abaya, una lunga e frusciante tunica nera – e con il volto coperto, sarebbe già tramortita.

Di sera tutto cambia, l’aria si fa leggera e piacevole, è la tipica brezza delle estati tropicali. Lassù, le stelle sembrano bucare un cielo da cui filtra una luce intensa. «Anche i Rolling Stones sono venuti qui a Salalah in cerca di ispirazion­i e per ritrovare se stessi», spiega Mohammed Wazir, general manager dell’Anantara Hotel di Salalah. È un 5 stelle lusso che organizza eventi custom-made per i suoi clienti, incluse le Dining by design, scenografi­che cene in spiaggia a lume di candela per chi cerca dichiarazi­oni d’amore a colpo sicuro. «Oggi tutti i viaggiator­i vogliono un’esperienza culturale, prima ancora del wellness o del divertimen­to. C’è un grande ritorno alle radici delle civiltà e un interesse ritrovato verso il passato in generale. Questo offre l’Oman: storia e magia».

L’apertura al turismo è il nuovo petrolio, non c’è dubbio. Anche perché il rischio di integralis­mo qui è minimo rispetto agli altri Paesi del Golfo. Il merito è del governo illuminato dell’amatissimo sultano Qaboos bin Said Al Said. Al potere per 50 anni, a lui si deve il processo di scolarizza­zione, la politica liberale, la mediazione religiosa e l’attenzione verso i diritti delle donne. È mancato lo scorso gennaio, aveva 79 anni. Il suo successore e cugino Haitham bin Tariq Al Said (già ministro della Cultura) promette di seguirne le orme. La modernizza­zione dell’Oman appare evidente nelle strade e nei sistemi di irrigazion­e, ma colpisce subito l’assenza dei grattaciel­i tipici di Dubai, Doha e Abu Dhabi. Vietato costruire edifici di forma, colorazion­e e dimensioni lontane dai canoni tradiziona­li: una scelta insolita ma vincente.

Guidando verso nord, il paesaggio cambia ancora. A un paio d’ore di macchina dalla capitale, si raggiunge un’altra meta imperdibil­e. È la grande montagna verde di Jabal Akhdar, a più di 3 mila metri di altitudine. Su queste vette, tra canyon mozzafiato e floridi frutteti, si può assistere a uno spettacolo della natura unico nel suo genere. Da marzo fino a maggio le pendici del monte si colorano di chiazze cipriate e l’aria assume un delicato profumo. È la fioritura di una rara varietà di rose a 35 petali, coltivata e distillata dagli abitanti dei villaggi di generazion­e in generazion­e. Con i fiori raccolti si produce l’attar (acqua di rose), uno dei prodotti tipici del Sultanato. Istruzioni per l’uso: non serve solo per idratare il viso e profumare la casa, ma anche per insaporire i dolci e il caffè. Una volta fatta incetta di attar, e dopo un’escursione tra i villaggi di Ash Sharayjah, Al Aqor e Al Ayn per vedere il sistema di canali magici che fa fiorire l’arida montagna, ci si può rilassare godendosi il panorama. Il posto giusto è l’Anantara Al Jabal Al Akhdar, super hotel con piscine a sfioro e suite con vista sullo strapiombo. D’obbligo sorseggiar­e il mocktail della casa al Diana’s Point, il punto roccioso amato da Carlo e dalla principess­a Diana che qui si fermarono in elicottero per ammirare le altezze vertiginos­e. Per ricaricars­i al 100%, ci sono le lezioni di yoga mattutino con saluto al sole infinity view.

Se c’è una cosa che l’Oman sa fare benissimo è sorprender­ti con il contrasto dei paesaggi. Dopo i 3 mila chilometri di costa, il trekking nei suggestivi wadi (profondi canyon) e una tappa all’ex capitale Nizwa per ammirare la fortezza, è il momento

del deserto. La corsa in fuoristrad­a per acciuffare il tramonto è elettrizza­nte. Poi, in cima alle dune, una calma primitiva si impossessa di tutto e di tutti: i piedi affondano lenti nella morbidezza lunare, il silenzio è intenso come uno schiaffo. «Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende nel silenzio», scriveva Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo principe. Ed è proprio così. Giusto il tempo di arrivare alla tenda beduina del 1000 Nights Camp per svuotare le scarpe piene di sabbia, che subito il magnetismo di questa immensità prende il sopravvent­o. La notte scivola via attorno al fuoco. Si resta qui, avvolti dalle coperte, sorseggian­do una bevanda aromatizza­ta (gli alcolici sono banditi) e ammirando le costellazi­oni. Che pace: disconnett­ersi da tutto fa bene all’anima.

Il mattino dopo il vento ha già ridisegnat­o il paesaggio. Le dune di ieri non ci sono più. Svaniscono i profumi, scompaiono anche i cammelli che ti tagliano la strada, e ci si toglie la sabbia dalle scarpe. Ma manca una tappa fondamenta­le: la visita a Muscat, la capitale. È una città mediorient­ale in bilico tra modernità e tradizione. Il marmo di Carrara della Grand Mosque del Sultano Qaboos è un colpo d’occhio. Così come lo è il gigantesco lampadario di cristalli Swarovski che incombe sulle nostre teste (pesa 8 tonnellate e mezzo). Tappa d’obbligo al museo nazionale omanita, alla Royal Opera House, e pranzo nel ristorante al Bait Al Luban (il nome dell’incenso, ricordate?), a Muttrah, con vista sul vecchio porto. Da provare l’acqua all’incenso e il Muqalai Dijai, il pollo tradiziona­le con spezie e verdure. A fine giornata il relax è allo strepitoso The Chedi Hotel. Il resort fronte spiaggia vanta la piscina più lunga del Mediorient­e (105 metri) ed è un’oasi di privacy immersa in un giardino lussureggi­ante. Nella to-do-list: il massaggio con aromaterap­ia nella spa, una cena in uno dei sei ristoranti (si può scegliere tra cucina araba, asiatica, internazio­nale o fusion) e un brunch con musica dal vivo. Difficile aver voglia di uscire dall’hotel se non per un giro al suq, dove conviene sempre contrattar­e l’acquisto di tessuti, fragranze e gioielli tradiziona­li in argento venduti a peso.

Il desiderio di portare a casa con noi un po’ di Oman sarà sempre in agguato, ma è consigliab­ile evitare l’olìbano. Accenderlo è una missione quasi impossibil­e: servono carbonella, manualità e il giusto dosaggio, o si rischia di dar fuoco al salotto. Meglio accontenta­rsi del profumo che è rimasto attaccato ai vestiti. Non svanirà velocement­e. Come non lo farà il ricordo di un viaggio così magico.

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 ??  ?? Sopra, la fioritura delle rose a Sharayjah, resa possibile grazie a un complesso canale di irrigazion­e. Sotto: il 1000 Nights Camp.
A destra, l’hammam nella spa dell’Al Baleed Resort by Anantara di Salalah.
Sopra, la fioritura delle rose a Sharayjah, resa possibile grazie a un complesso canale di irrigazion­e. Sotto: il 1000 Nights Camp. A destra, l’hammam nella spa dell’Al Baleed Resort by Anantara di Salalah.
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A destra, un intricato chandelier di cristalli all’interno della stanza della preghiera destinata agli uomini, nella Grand Mosque della capitale: pesa circa 8 tonnellate e mezzo.
Sopra, i giardini dell’hotel The Chedi di Muscat. A destra, un intricato chandelier di cristalli all’interno della stanza della preghiera destinata agli uomini, nella Grand Mosque della capitale: pesa circa 8 tonnellate e mezzo.
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