IL FIORE DEL DESERTO
Dalle dune alle onde, dalle tradizioni secolari all’ultramodernità: la scoperta dell’OMAN è un miraggio
Profumo di resina: il miraggio dell'Oman.
Quel profumo intenso, inebriante e magnetico me lo trascinerò addosso per tutto il viaggio. È l’olìbano, l’incenso dei Re Magi: impregna le hall di hotel strepitosi, arriva negli angoli affollati dei suq, me lo ritrovo tra i capelli, lo respirerò prima di addormentarmi.
Sono appena atterrata in oman, a Salalah, sull’Oceano Indiano. Il viaggio alla scoperta del Sultanato parte da qui. Dopo un’ora di aereo dalla capitale Muscat ci si ritrova immersi in un paesaggio tropicale. Il vento caldo porta quell’inconfondibile aroma speziato: una sinfonia olfattiva che risuona nell’aria. Si narra che proprio qui la regina di Saba si rifornisse di franchincenso – il nome più comune dell’olìbano – per donarlo a re Salomone. Il Paese è da sempre uno dei più grandi esportatori di questa resina che viene prodotta dall’arbusto Boswellia sacra. Il termine olìbano deriva appunto dall’arabo al-lubán («il latte»), un riferimento alla sostanza lattiginosa estratta dall’albero.
La regione del Dhofar – con l’antica città di Mirbat – è il punto di partenza della famosa via dell’incenso che fin dall’epoca romana collegava la penisola arabica al Mediterraneo. Tutto merito di questi «grani magici» simili a cristalli, che bruciano ovunque negli appositi incensieri o vengono masticati dagli omaniti come fossero chewing gum (dicono che serva per guarire il mal di stomaco). Una cosa è certa: questi sassolini sono stati i protagonisti indiscussi di 4 mila anni di commerci, guerre, tecnologie e leggende.
Non c’è da stupirsi che il valore storico e culturale del posto sia straordinario: Salalah ospita ben quattro siti patrimonio dell’Unesco (sette in tutto il Paese). Si inizia con le rovine archeologiche di Al Baleed, dove c’era l’antico porto e dove oggi c’è un museo che racconta l’affascinante storia dei marinai che trasportavano l’incenso, a partire dal leggendario Sinbad. Ci sono poi la città perduta di Shishr – chiamata anche Ubar –, il Frankincense Park di Wadi Dawkah e il sito archeologico di Sumhuram. Qui arriviamo passando per Taqa, un antico villaggio di pescatori dove fanno il nido le tartarughe marine. Al ritorno, la tappa è in un mercato locale dove abbondano banane, noci di cocco e papaie, poi si va al suq. Sembra bruciare, avvolto dalla canicola e dai fumi dell’olìbano. Eppure le donne, dietro i banchi colmi di saponi, oli essenziali, fragranze e lampade di Aladino, non si scompongono. Un’occidentale, con indosso l’abito tradizionale – l’abaya, una lunga e frusciante tunica nera – e con il volto coperto, sarebbe già tramortita.
Di sera tutto cambia, l’aria si fa leggera e piacevole, è la tipica brezza delle estati tropicali. Lassù, le stelle sembrano bucare un cielo da cui filtra una luce intensa. «Anche i Rolling Stones sono venuti qui a Salalah in cerca di ispirazioni e per ritrovare se stessi», spiega Mohammed Wazir, general manager dell’Anantara Hotel di Salalah. È un 5 stelle lusso che organizza eventi custom-made per i suoi clienti, incluse le Dining by design, scenografiche cene in spiaggia a lume di candela per chi cerca dichiarazioni d’amore a colpo sicuro. «Oggi tutti i viaggiatori vogliono un’esperienza culturale, prima ancora del wellness o del divertimento. C’è un grande ritorno alle radici delle civiltà e un interesse ritrovato verso il passato in generale. Questo offre l’Oman: storia e magia».
L’apertura al turismo è il nuovo petrolio, non c’è dubbio. Anche perché il rischio di integralismo qui è minimo rispetto agli altri Paesi del Golfo. Il merito è del governo illuminato dell’amatissimo sultano Qaboos bin Said Al Said. Al potere per 50 anni, a lui si deve il processo di scolarizzazione, la politica liberale, la mediazione religiosa e l’attenzione verso i diritti delle donne. È mancato lo scorso gennaio, aveva 79 anni. Il suo successore e cugino Haitham bin Tariq Al Said (già ministro della Cultura) promette di seguirne le orme. La modernizzazione dell’Oman appare evidente nelle strade e nei sistemi di irrigazione, ma colpisce subito l’assenza dei grattacieli tipici di Dubai, Doha e Abu Dhabi. Vietato costruire edifici di forma, colorazione e dimensioni lontane dai canoni tradizionali: una scelta insolita ma vincente.
Guidando verso nord, il paesaggio cambia ancora. A un paio d’ore di macchina dalla capitale, si raggiunge un’altra meta imperdibile. È la grande montagna verde di Jabal Akhdar, a più di 3 mila metri di altitudine. Su queste vette, tra canyon mozzafiato e floridi frutteti, si può assistere a uno spettacolo della natura unico nel suo genere. Da marzo fino a maggio le pendici del monte si colorano di chiazze cipriate e l’aria assume un delicato profumo. È la fioritura di una rara varietà di rose a 35 petali, coltivata e distillata dagli abitanti dei villaggi di generazione in generazione. Con i fiori raccolti si produce l’attar (acqua di rose), uno dei prodotti tipici del Sultanato. Istruzioni per l’uso: non serve solo per idratare il viso e profumare la casa, ma anche per insaporire i dolci e il caffè. Una volta fatta incetta di attar, e dopo un’escursione tra i villaggi di Ash Sharayjah, Al Aqor e Al Ayn per vedere il sistema di canali magici che fa fiorire l’arida montagna, ci si può rilassare godendosi il panorama. Il posto giusto è l’Anantara Al Jabal Al Akhdar, super hotel con piscine a sfioro e suite con vista sullo strapiombo. D’obbligo sorseggiare il mocktail della casa al Diana’s Point, il punto roccioso amato da Carlo e dalla principessa Diana che qui si fermarono in elicottero per ammirare le altezze vertiginose. Per ricaricarsi al 100%, ci sono le lezioni di yoga mattutino con saluto al sole infinity view.
Se c’è una cosa che l’Oman sa fare benissimo è sorprenderti con il contrasto dei paesaggi. Dopo i 3 mila chilometri di costa, il trekking nei suggestivi wadi (profondi canyon) e una tappa all’ex capitale Nizwa per ammirare la fortezza, è il momento
del deserto. La corsa in fuoristrada per acciuffare il tramonto è elettrizzante. Poi, in cima alle dune, una calma primitiva si impossessa di tutto e di tutti: i piedi affondano lenti nella morbidezza lunare, il silenzio è intenso come uno schiaffo. «Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende nel silenzio», scriveva Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo principe. Ed è proprio così. Giusto il tempo di arrivare alla tenda beduina del 1000 Nights Camp per svuotare le scarpe piene di sabbia, che subito il magnetismo di questa immensità prende il sopravvento. La notte scivola via attorno al fuoco. Si resta qui, avvolti dalle coperte, sorseggiando una bevanda aromatizzata (gli alcolici sono banditi) e ammirando le costellazioni. Che pace: disconnettersi da tutto fa bene all’anima.
Il mattino dopo il vento ha già ridisegnato il paesaggio. Le dune di ieri non ci sono più. Svaniscono i profumi, scompaiono anche i cammelli che ti tagliano la strada, e ci si toglie la sabbia dalle scarpe. Ma manca una tappa fondamentale: la visita a Muscat, la capitale. È una città mediorientale in bilico tra modernità e tradizione. Il marmo di Carrara della Grand Mosque del Sultano Qaboos è un colpo d’occhio. Così come lo è il gigantesco lampadario di cristalli Swarovski che incombe sulle nostre teste (pesa 8 tonnellate e mezzo). Tappa d’obbligo al museo nazionale omanita, alla Royal Opera House, e pranzo nel ristorante al Bait Al Luban (il nome dell’incenso, ricordate?), a Muttrah, con vista sul vecchio porto. Da provare l’acqua all’incenso e il Muqalai Dijai, il pollo tradizionale con spezie e verdure. A fine giornata il relax è allo strepitoso The Chedi Hotel. Il resort fronte spiaggia vanta la piscina più lunga del Medioriente (105 metri) ed è un’oasi di privacy immersa in un giardino lussureggiante. Nella to-do-list: il massaggio con aromaterapia nella spa, una cena in uno dei sei ristoranti (si può scegliere tra cucina araba, asiatica, internazionale o fusion) e un brunch con musica dal vivo. Difficile aver voglia di uscire dall’hotel se non per un giro al suq, dove conviene sempre contrattare l’acquisto di tessuti, fragranze e gioielli tradizionali in argento venduti a peso.
Il desiderio di portare a casa con noi un po’ di Oman sarà sempre in agguato, ma è consigliabile evitare l’olìbano. Accenderlo è una missione quasi impossibile: servono carbonella, manualità e il giusto dosaggio, o si rischia di dar fuoco al salotto. Meglio accontentarsi del profumo che è rimasto attaccato ai vestiti. Non svanirà velocemente. Come non lo farà il ricordo di un viaggio così magico.