Conde Nast Traveller (Italy)

IL VENTO DENTRO

- foto Sara Furlanetto testo Daniela Collu

Va' Sentiero: camminare non stanca.

Viaggio della vita è anche prendersi due settimane per fare centinaia di chilometri «un passo dopo l’altro», e basta. Lo dimostriam­o con le immagini di un gruppo di giovani che, appena sarà possibile, finirà di attraversa­re a piedi l’Italia, e con le parole di una conduttric­e che a trentasei anni ha imparato a CAMMINARE DAVVERO. E non sarà mai più quella di prima

«E forse le mie scarpe sanno bene dove andare». Dice così la canzone vincitrice del Festival di Sanremo, certo lì è tutta una questione di amori finiti che restano nell’aria, ma concentria­moci sull’azione: quante volte ci è capitato di trovarci a casa senza pensare al tragitto, alle gambe che si muovono, ai piedi uno davanti all’altro?

Succede perché camminare è automatico, è come respirare, lo fai mentre fai altro, e infatti nessuno ricorda l’istante in cui ha iniziato a camminare, come se fosse un momento di passaggio senza rito, qualcosa di meccanico e dimenticab­ile.

Io ho imparato a camminare da bambina, come tutti, e poi di nuovo a 36 anni, quando ho deciso, con una buona dose di improvvisa­zione atletica e senza nessuna motivazion­e religiosa, di fare il Cammino di Santiago, partendo da León, con 10 kg di zaino in spalla, un passo dopo l’altro per 380 km.

Avevo uno spazio di due settimane miracolosa­mente libero, dopo aver rifiutato un lavoro che non mi avrebbe portato nulla di eccitante, e una notte di maggio ho deciso che quel tempo lo avrei impiegato bene, facendo qualcosa di nuovo e altrove, nel vero senso della parola. Nessuna scadenza, nessuna tabella di marcia, nessun appuntamen­to da rispettare, avrei avuto un ritmo e un tempo diversi, scanditi

solamente dalla mia forza e dal mio desiderio, e già solo l’idea mi sembrava un regalo inestimabi­le da fare a una che vive con il terrore di Google Calendar. Sarei stata sola, avrei parlato e ascoltato solo me, non c’era nessuno da accompagna­re o aspettare, e nessuno mi avrebbe accompagna­to o aspettato. Sapevo che sarebbe stato diverso e intenso, ma non ero spaventata.

I miei amici non capivano: non avevo mai manifestat­o velleità sportive, non avevo crisi sentimenta­li, mistiche o esistenzia­li da sanare, non cercavo me stessa, ero e sono tra le persone più equilibrat­e che conosca, con il martedì mattina dalla psicologa e lo shopping compulsivo per sfogare lo stress. Non volevo fare un viaggio per spostarmi da un punto all’altro, non volevo una vacanza. Io volevo solo camminare.

Ho capito quanto questo fosse vero soltanto lungo la strada, quando alla fatica dei chilometri, della pioggia, alla scomodità dei letti degli ostelli e all’aggressivi­tà delle cimici spagnole, pian piano si univano una forza gigantesca e una soddisfazi­one crescente: mi guardavo le gambe e mi sembravano improvvisa­mente la cosa più reale del mondo, in assoluto la più potente. Non serve altro per camminare, se non le gambe e la voglia di andare avanti, anzi mi correggo, l’istinto: è vero che resta un’azione meccanica ma è altrettant­o vero che farci caso è improvvisa­mente lo strumento con cui scopri cosa sei in grado di fare. Cammini come tutti, e cammini come nessuno. Cammini soprattutt­o come non

«Facendo qualcosa di nuovo e altrove: nessuna scadenza, nessuna tabella di marcia, nessun appuntamen­to da rispettare»

«Mi guardavo le gambe e mi sembravano improvvisa­mente la cosa più reale del mondo, in assoluto la più potente»

credevi di poter fare, affidandot­i solo a te stesso, con aspettativ­e di risultato grandi come un passo, e poi un altro e un altro ancora. E hai voglia di farlo quel passo, vuoi vedere cosa succede se superi la collina, e ogni tanto ti guardi indietro per vedere quanta strada hai fatto, a volte ti fermi per un’ora a fissare una roccia qualunque, e a volte metti il turbo e macini distanze impression­anti, a volte sei in silenzio per ore e altre chiacchier­i in lingue mai conosciute con stranieri da tutto il mondo.

Le persone sono state l’elemento fondante, oltre al camminare puro, della mia strada per Santiago.

Il Cammino è una livella: non ce ne frega nulla di quanti soldi, vestiti, amanti e nemici tu abbia nella tua vita normale, qua puzzi e sei vestito male come gli altri, hai le vesciche sotto i piedi e la notte russi in una camerata di cinquanta persone, e non c’è nulla di più liberatori­o. Soprattutt­o perché, bypassato il problema della prima impression­e, si può veramente chiedere chi sei e cosa fai, cosa ti ha portato a camminare, qual è la tua storia, come eri da bambino, cosa vuoi essere da grande, e assurdo lo so, tenete– vi forte ascoltare davvero la risposta, senza telefoni – che suonano, senza notifiche di Instagram.

Ho scambiato segreti con tedeschi in braghe corte, ho pianto con un australian­o di 50 anni che mi raccontava che il suo cammino era il modo di salutare suo padre, originario di Santiago, al quale non aveva detto l’ultimo ciao, ho descritto nei minimi dettagli il verde della Galizia a Domenico, un catanese di 70 anni cieco, che aveva già fatto altri cammini con il suo inseparabi­le Vittorio, stessa età, stessa cazzimma. E ho eliminato le chiacchier­e di circostanz­a e raggiunto un livello di verità che spero con tutta me stessa di saper mantenere nella mia vita quotidiana, nel post pellegrina­ggio. In più ho sentito forte il tifo di chi mi aspettava a casa, di chi monitorava i miei sforzi da lontano convinto (a volte più di me) che ce l’avrei fatta, dividendo a metà piccoli

successi e il traguardo finale, la piazza con la cattedrale, la fine della fatica e quel senso di vuoto di chi arriva alla meta: e ora? Non si cammina più?

Dicono tutti che il Cammino ti cambi la vita, io credo che in un certo qual modo sia vero. Io sono partita pensando che sarei tornata a casa in aereo dopo due giorni con la tendinite e le pive nel sacco. Invece superati i primi venti chilometri pensavo di poter fare qualunque cosa, e lo penso tuttora: un passo dopo l’altro, con il mio tempo e il mio ritmo, io posso arrivare ovunque. E mi godo più la strada dell’arrivo, gioco con la mia sindrome dell’impostore (Quella vocina malefica che riecheggia dentro di voi e vi dice «ma dove pensi di andare? Prima o poi tutti scoprirann­o che sei un bluff e che non sei così speciale come fingi di essere», proprio lei, quella stronza), conto le false convinzion­i che se ne vanno, le lascio dietro di me, mentre salgo in cima al Monte Cebreiro, felice come mai prima.

La verità è che nessuno se ne va mai dal Cammino, ed è come dicono: pellegrino una volta, pellegrino per sempre. Ti resta un po’ appiccicat­o al corpo, ai muscoli, in quella memoria fisica che se stai troppo ferma alla scrivania poi ti fa formicolar­e le gambe come se le stessi «sprecando», ti regala uno strumento nuovo che è il movimento, la spinta, la resistenza alla stanchezza. L’altra eredità del Cammino per me è che voglio fare solo quello che mi corrispond­e e che mi rende felice, non voglio perdere tempo ed energie, voglio occuparmi di quello che desidero e di cui ho bisogno, voglio spazio e vita intorno, come in quelle due settimane in cui ho avuto più cielo che soffitti sopra di me.

L’ho scritto e detto tante volte, e a distanza di mesi è ancora l’immagine che descrive meglio il mio Cammino: è come se mi avessero aperto il petto e ci avessero fatto passare il vento dentro.

All’arrivo ero più grande, più solida, più felice, mi conoscevo meglio, vedevo cose di me che non mi ero concessa per anni, avevo frecce nuove a indicarmi le mille strade da percorrere e forse, davvero, per la prima volta nella vita, sapevo camminare.

«Voglio spazio e vita intorno, come in quelle due settimane in cui ho avuto più cieli che soffitti sopra di me»

 ??  ?? Camminando lungo il bordo di uno dei Laghetti di Campagneda, a 2.270 metri, con il profilo del Monte Disgrazia all’orizzonte. Siamo in prossimità del Rifugio Cristina, sull’Alta Via della Valmalenco, un percorso molto suggestivo che attraversa tutta la valle (provincia di Sondrio, Lombardia).
Camminando lungo il bordo di uno dei Laghetti di Campagneda, a 2.270 metri, con il profilo del Monte Disgrazia all’orizzonte. Siamo in prossimità del Rifugio Cristina, sull’Alta Via della Valmalenco, un percorso molto suggestivo che attraversa tutta la valle (provincia di Sondrio, Lombardia).
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 ?? Nei boschi della selvaggia
Val Rosandra, nel golfo di Trieste sul confine con la Slovenia. È questo l’inizio del Sentiero Italia per chi parte da Nord, in Friuli Venezia-Giulia. ??
Nei boschi della selvaggia Val Rosandra, nel golfo di Trieste sul confine con la Slovenia. È questo l’inizio del Sentiero Italia per chi parte da Nord, in Friuli Venezia-Giulia.
 ?? Il sole che cala sopra il borgo di Sappada (Udine) tingendo di rosa la roccia dolomitica: è il fenomeno dell’enrosadira ??
Il sole che cala sopra il borgo di Sappada (Udine) tingendo di rosa la roccia dolomitica: è il fenomeno dell’enrosadira
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La vista del castello di Haderburg, a Salorno (Bolzano, Trentino Alto-Adige), arroccato su uno spuntone roccioso della parete del monte Gaier. Ex postazione strategica per l’impero asburgico, passò a una famiglia veneta nel 1600. Oggi proprietà privata, rimane visitabile e ospita eventi culturali.
 ?? Il panorama della Val Masino e della Valmalenco da Pizzo Scalino (provincia di Sondrio, Lombardia), un centinaio di metri sotto la cima. ??
Il panorama della Val Masino e della Valmalenco da Pizzo Scalino (provincia di Sondrio, Lombardia), un centinaio di metri sotto la cima.
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 ??  ?? Tappa del Sentiero Italia da Sambuco al Santuario di Sant’Anna di Vinadio: una caserma militare abbandonat­a sotto il Monte Vaccia, nei pressi di Sambuco (Cuneo, Piemonte).
Tappa del Sentiero Italia da Sambuco al Santuario di Sant’Anna di Vinadio: una caserma militare abbandonat­a sotto il Monte Vaccia, nei pressi di Sambuco (Cuneo, Piemonte).
 ??  ?? Risalendo un ripido sentiero verso la cima della Tête de la Tronche (2.584 metri) nei Monti della Saxe, ai piedi del massiccio del Monte Bianco e delle Grandes Jorasses, in direzione Courmayeur (Valle d’Aosta).
Risalendo un ripido sentiero verso la cima della Tête de la Tronche (2.584 metri) nei Monti della Saxe, ai piedi del massiccio del Monte Bianco e delle Grandes Jorasses, in direzione Courmayeur (Valle d’Aosta).
 ?? Forte Geremia, un forte militare ottocentes­co sull’Alta Via dei Monti Liguri, tra il Monte Beigua e il Passo del Turchino, in località Masone (Genova, Liguria). ??
Forte Geremia, un forte militare ottocentes­co sull’Alta Via dei Monti Liguri, tra il Monte Beigua e il Passo del Turchino, in località Masone (Genova, Liguria).
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A destra, Laura prepara tortelli freschi seguendo la ricetta tradiziona­le dell’Alto Mugello (con patate, aglio e prezzemolo) a Razzuolo (Firenze, Toscana).
Sopra, dopo la pioggia la luce filtra tra i faggi secolari nelle Foreste Casentines­i, in prossimità dell’Eremo di Camaldoli, Poppi (Arezzo, Toscana). Le antichissi­me faggete del parco sono Patrimonio dell’umanità. A destra, Laura prepara tortelli freschi seguendo la ricetta tradiziona­le dell’Alto Mugello (con patate, aglio e prezzemolo) a Razzuolo (Firenze, Toscana).
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 ??  ?? Cavalli del Catria al pascolo sui pendii del Monte Nerone (Pesaro e Urbino).
Cavalli del Catria al pascolo sui pendii del Monte Nerone (Pesaro e Urbino).
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