VERSO OVEST
Nella prateria con i Navajo dell’Arizona.
Sto guidando lungo una stradina che corre accanto a un canyon. Le ombre del deserto, che dovrebbero essere rosse e arancioni, sono grigio-bianche per la neve. Riccioli di nebbia si infrangono sulla strada, adesso c’è il sole e un attimo dopo non riesco nemmeno a vedere la neve sul terreno. Quando l’auto sbanda sull’argilla ghiacciata mi faccio più attento.
Sono nel deserto ed è gennaio. Qui in arizona c’è il margine settentrionale del Canyon de Chelly, una gola di rossa roccia scolpita paragonabile al Grand Canyon per i ginepri contorti e i colori intensi, ma certo non mi aspettavo di trovarlo coperto di neve. Gli amici e le guide Navajo, in ogni caso, sono impassibili. Questa è la loro patria, e sono entusiasti come bambini per la neve appena caduta. Per i Diné, come si autodefiniscono, la presenza della neve nel loro ancestrale canyon è un avvenimento da festeggiare.
Siamo diretti al Canyon perché Crystal vuole farmi vedere un monumento della Nazione Navajo, la mitologica «casa della Donna Ragno». Quando finalmente la vedo, mi riesce difficile nascondere la meraviglia. La «casa» è in realtà una punta di roccia rossa sparata cento metri verso l’alto, una specie di antico trespolo circondato da una terra che pare immutabile. Una volta, si racconta, la Donna Ragno salvò i Diné dai mostri dell’inizio dei tempi, e questo luogo è intriso della sua presenza così come di quella di molti altri antichi Navajo.
Mi trovo qui su richiesta del Johns Hopkins Center for American Indian Health, che ha finanziato un programma noto come Family Spirit. Serve a insegnare alle giovani famiglie Navajo a essere neogenitori in
modo culturalmente consapevole. Il mio lavoro consiste nel documentare il programma e anche il nuovo stile di vita di questi giovani Navajo, che vivono nelle zone più remote della loro terra. Se è via via aumentato il grado di assimilazione agli Stati Uniti, il bisogno di conoscere e capire le proprie culture da parte dei giovani indigeni non è mai stato così pressante.
Osservando Kristin e Danielle che giocano con gli alberi di ginepro nella neve, la cosa mi appare chiara. Una si mette sotto una pianta ammantata di bianco, l’altra scuote i rami e ricopre l’amica di neve. Kristin ne raccoglie un po’ con le mani e se la passa sul viso. La temperatura è circa uno sottozero e, col vento, fa piuttosto freddo. Ma Kristin non batte ciglio quando la neve le finisce sotto il maglione e tra i capelli.
Questo è, mi spiegano, il bagno di neve. Gli anziani hanno spiegato che fare il bagno nella neve serve a mantenersi forti e a essere pronti per affrontare i momenti duri. Il bagno di neve è anche, naturalmente, una questione igienica. Per Kristin e Danielle è evidentemente uno svago: fanno a turno a scrollare l’albero e a farsi cadere la neve addosso e le loro risate divertite si riverberano giù lungo il canyon. Questo la dice lunga sulla vita dei Diné nell’epoca attuale. Una particolare miscela di tradizioni antiche, tecnologie moderne e autodeterminazione sta creando un futuro modo di vivere eminentemente Navajo.
Il futuro si sta realizzando in silenzio e senza dare nell’occhio in un’altra parte della riserva. Lì, nella brillante luce naturale della loro moderna hogan, la tenda tradizionale Navajo, ho conosciuto Mikhail, suo marito e il loro bambino appena nato. Le hogan sono
tonde, con il tetto conico e le pareti di mattoni d’argilla. Al centro c’è quasi sempre un focolare, spesso una stufa a legna. La canna fumaria passa attraverso il centro del tetto e il calore si irradia in tutte le parti dell’abitazione. Di calore qui ce n’era già tanto in ogni caso, penso, osservando Mikhail prendersi cura del bambino avvolto con cura in un marsupio Diné.
Tutta questa meravigliosa cultura tradizionale non è stata facile da mantenere. L’intera famiglia è impegnata nella tessitura, un’attività tramandata dai nonni, con un supporto aggiuntivo del team Family Spirit. Ed è questa la magia del programma: quando gli esperti di genitorialità vengono ad aiutare le neo-mamme, portano con sé anche impareggiabili nozioni della loro cultura.
Questo è quanto ho visto, espresso in molti modi, in tutta la Nazione Navajo. Nonostante secoli di persecuzione, i Diné hanno conservato un senso di sovranità sulle loro terre e sulle loro comunità all’interno dei confini di una nazione più grande. Sono una nazione dentro una nazione, un’isola di cultura, ma hanno fatto in modo di non dimenticare mai la propria identità. Il legame che unisce i Navajo l’uno all’altro e alla terra resta potente, e ogni nuova generazione è spinta e incoraggiata da quella precedente ad affrontare il futuro, sotto la guida di una saggezza ancestrale.