EDITORIALE
NEL MIO CASO fu il rito dei cappelletti. Mia nonna distribuiva i compiti e a me, che avevo le dita più piccole, era riservato quello di distribuire le minuscole palline di ripieno. L’heritage culinario, in Italia, è spesso una storia di anziani e di bambini. Per questo è bello vedere che, in un Paese non esattamente generoso con i giovani, a far crescere l’alta ristorazione, fra recupero delle tradizioni e scoperta di nuove tecniche e nuovi accostamenti, sono invece proprio i giovani.
Da molto tempo ormai conosco e frequento gli chef della compagine italiana di Jeunes Restaurateurs d’Europe. Nelle pagine che state per sfogliare riconosco diversi nomi che mi hanno viziato con i loro piatti e intrattenuto con le storie della loro passione. Sono quindi fiero della solida partnership tra l’Associazione e la nostra casa editrice, che da anni pubblica questa guida annuale. Ne sono fiero anche perché la clausola «under 42» — l’età massima per diventare soci effettivi — non è una clausola in cui capita spesso di imbattersi, in Italia.
Do il benvenuto ai tre nuovi effettivi: Luca Bazzano dalla Liguria, Federico Pettenuzzo dal Veneto, Mariano Guardianelli che in un ribaltamento di “Dagli Appennini alle Ande” è nato in un paesino dell’Argentina profonda per approdare a Rimini. Saluto con gioia tanti nomi conosciuti – la superstar Enrico Bartolini e le “ragazze”, da Aurora Mazzucchelli a Martina Caruso. Mi inchino agli chef che, avendo compiuto negli ultimi mesi 50 anni, sono diventati soci onorari: buffo vedere che è capitato insieme a Alfonso Caputo, Gennaro Esposito e Ernesto Iaccarino, i vertici di un piccolo straordinario triangolo dei sapori.
Infine abbraccio virtualmente i tantissimi cuochi e ristoratori d’Italia, soprattutto i non stellati, soprattutto i semisconosciuti, che nel 2020 hanno dovuto affrontare l’anno più difficile della loro carriera.
Li abbiamo sempre amati: tornare a frequentarli è ancora più dolce.