DESTINAZIONE FELICITË
Nel «Regno del Drago Tonante», in Himalaya, con la fotografa autrice di queste immagini. Viaggio( anche interiore ), dal nostromo mento« statico », fino al Paese che ha fatto della suafr agilità una forza. E dell’ umanità il suo punto di svolta
Gli ultimi dieci mesi sono stati il periodo più lungo che ho trascorso ferma a casa da molti anni a questa parte. Non intendo sminuire la tragedia delle separazioni e delle perdite in termini di vita ed economia che tutti abbiamo dovuto affrontare nel mondo, ma è vero che adesso i legami con la nostra terra, la nostra famiglia, i nostri amici e le nostre tradizioni sono diventati molto più intensi, preziosi e importanti.
Segregata in solitudine, sono arrivata alla conclusione di voler vivere tutto questo scegliendo di imparare la lezione fino in fondo, mi sono detta, potrei migliorarmi e superare questi giorni e mesi in apparenza così statici. Questa riflessione mi ha fatto ripensare al Bhutan. E al tempo che ho passato lì. Non dimenticherò mai quella giornata ventosa dal cielo limpido, quando ho attraversato in volo la stretta gola della valle di Paro e sono atterrata nell’aeroporto a bordo di uno dei pochi aerei diretti in quella minuscola nazione incapsulata tra le cime dell’Himalaya orientale. L’approdo in bhutan, il «Regno del Drago Tonante», ha innescato in me un fervore esplorativo tutto nuovo. Durante il viaggio e ripensandoci ora, lo spirito intatto di quel luogo – un luogo in cui la terra e le persone trasudano umanità – mi ha convinto che le prime impressioni siano anche quelle che durano più a lungo.
Sebbene sia geograficamente privo di sbocchi sul mare, il Bhutan ha continuato a progredire, e io con lui. Le restrizioni sui viaggi ci danno più tempo per riflettere sulla circolarità della vita, sulle relazioni, sul passato e per prepararci al mondo esterno che è lì che ci aspetta per quando riemergeremo dalle mutevoli ordinanze di chiusura e quarantena.
«La guida mi accolse nel suo gho, la veste tradizionale: credevo di trovarmi alla corte di Re Artù»
Quando penso al Bhutan oggi, a quasi dieci anni dal mio ultimo viaggio, ci penso sperando di tornarci presto e mi ritornano in mente i bhutanesi, così gentili ed educati. Olistici e incoraggianti. I ricordi e le fotografie che ho scattato alla gente del Bhutan sono un conforto, uno scudo contro l’angoscia causata dal Covid-19. Le foto mi riportano alla loro eleganza e alla loro gioia, espresse anche dall’abbigliamento. Ricordo che molti anni fa, durante il mio primo viaggio, la guida mi accolse in un gho, la veste tradizionale da uomo che arriva al ginocchio. Mi era sembrato di essere arrivata alla corte di Re Artù, dove i dignitari indossavano calzamaglie e tenevano un contegno rivestito di affabilità.
Poco dopo lo vidi fuori servizio, tra i suoi amici. Era vestito in stile occidentale – jeans stretti e giubbotto di pelle –, e vederlo così mi meravigliò. La gentilezza vivace era la stessa, così come il modo di fare rispettoso e la quiete interiore che emanava; ma il brusco cambiamento del suo aspetto mi costrinse a vederlo sotto una luce diversa.
Durante quel viaggio ebbi il grandissimo onore di conoscere Lopen Gem Dorji, il Segretario Generale del Corpo Monastico del Bhutan. Discutemmo dei miei impegni e dei percorsi da fare, con digressioni sulla sostanza del buddhismo e sulle caratteristiche necessarie per diventare «illuminati». Lopen parlava la lingua della consapevolezza, decorando le sue frasi simili a pizzo con parole come «essenza», «trascendenza» e «impermanenza». Quelle parole sarebbero poi diventate i titoli delle mie immagini contenute in questo reportage.
Dopo averlo salutato cominciai il mio viaggio per fotografare la terra e le persone, e le sue parole
«Cominciai il viaggio: percepivo la vulnerabilità del Bhutan in ogni singolo monastero che visitavo»
continuavano a risuonare, come un’eco. Percepivo la vulnerabilità del Bhutan in ogni singolo monastero che visitavo e sperai, ambiziosamente ma anche con devozione, di salvaguardare con le mie foto la loro incomparabile ed eterna «essenza».
Mi piace molto la filosofia delle persone come esseri dotati di energia, transitori, temporanei. Penso a quel proverbio che dice che una tazza già rotta deve essere comunque accettata perché è così che è.
Dobbiamo accettare che quello che è è, pur riconoscendo che siamo destinati a passare, andare oltre ed entrare in una nuova vita. In tempi di incertezza assume un significato particolare: resistiamo e procediamo.
Mi domando se la modernità dilagherà mentre i bhutanesi sono impegnati a farcela contro la pandemia. Sinceramente spero di no, perché la modernità condurrebbe alla standardizzazione. Il progresso economico e tecnologico porta sempre con sé perdite e guadagni. Credo fortemente che le antiche tradizioni abbiano una loro dignità e spero che i bhutanesi continuino ad attenersi all’usanza di vestirsi con jeans stretti e giubbotto di pelle soltanto in alcuni giorni.
Dopo il mio secondo viaggio in Bhutan, ho avuto l’onore di essere invitata dalla presidentessa del Fondo per lo Sviluppo della Gioventù del Bhutan (YDF), Sua Maestà la Regina Madre Ashi Tshering Pem Wangchuck, a collaborare al Comitato Consultivo dell’organizzazione. Il Fondo per lo Sviluppo della Gioventù del Bhutan si occupa di garantire equità nell’accesso all’istruzione, di trovare impieghi seri e di insegnare a ogni giovane come diventare un leader. Si stima che il 56% dei giovani bhutanesi abbia meno di 24 anni. Il lavoro del YDF è focalizzato sul miglioramento della mente e del corpo: un approccio che trova il mio appoggio e che ho sentito essere perseguito concretamente dalle persone che ho conosciuto in Bhutan, indipendentemente dalla loro età e dal loro status sociale.
Oltre alla magia dei luoghi, c’è un’altra idea che ispira i bhutanesi nel loro desiderio di elevazione: il noto concetto di Felicità Interna Lorda. Attenzione, la FIL è molto di più di uno slogan. Il Paese è governato secondo i suoi principi per la salvaguardia della cultura e per la protezione dell’ambiente. È perfino stata approvata una risoluzione per usare questa Felicità come guida per la creazione di nuove politiche, e altri Paesi vogliono cominciare a fare lo stesso. Quando scattai la foto di due novizi che saltellavano all’uscita di una lezione nel monastero di Paro Dzong ( a sinistra), la prima cosa che mi colpì fu la loro enorme vitalità. Riflettendo mi sono resa conto che la misurazione della FIL in Bhutan si pone in netto contrasto con il barometro usato dai Paesi occidentali per misurare la forza di una nazione, il Prodotto Interno Lordo.
Il quarto Druk Gyalpo («Re Drago»), Jigme Singye Wangchuck, ha detto che la FIL ha lo scopo «di consolidare la nostra sovranità per raggiungere l’autonomia economica, la prosperità e la felicità per la nostra nazione e la nostra gente». La foto dei novizi mi racconta che, in molti modi, questo Paese «arretrato», isolato, con la sua idea verosimilmente ingenua di impegnarsi nella ricerca di una felicità misurabile, è in realtà profondamente evoluto e proiettato nel futuro.
Il mondo che attende i visitatori del Bhutan quando si potrà di nuovo viaggiare offre illuminazione, proprio come fanno le lampade a burro che esprimono unità ininterrotta quando vengono accese dai monaci. Purtroppo è anche una terra vulnerabile e, a causa dei terremoti e di altri eventi naturali, le sue infrastrutture, come la remota abitazione degli antenati della famiglia reale di Trongsa Dzong, sono a costante rischio di distruzione o deterioramento. Ho creato le immagini di questi luoghi magici in seppia, confidando che l’eleganza del tono uniforme riflettesse il precario equilibrio tra flessibilità e forza che avevo ammirato nel paesaggio, nell’architettura, nelle persone, nella storia, nella cultura e nelle tradizioni. In Bhutan c’è resilienza, ed è quanto mi lascia ben sperare.