IL PIANETA DEI GORILLA
Nel Parco nazionale dei monti Virunga, in REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, dove i primati e l’homo sapiens combattono la stessa battaglia
Il Virunga è il più antico Parco Nazionale dell’Africa. La sua data di nascita è il 1925, quando si chiamava Parc Albert e la Repubblica Democratica del Congo era ancora una colonia con il nome di Congo belga.
Siamo in uno dei luoghi più belli e selvaggi del pianeta: la catena di vulcani dei monti virunga.
I suoi 7.769 km² di territorio selvaggio sono unici, con vulcani attivi a dominare tutto; alcuni geologicamente sono dei neonati, formati solo pochi anni fa. Le loro sagome coniche sono così regolari e semplici che sembrano disegnate da un bambino, i loro cappelli di lava illuminano di rosso la notte come grandi torce brandite da un gigante.
E i giganti qui ci sono davvero: il Virunga è la casa nel mondo dei gorilla di montagna. È vero che il grande predatore della zona è il sottile, magnetico leopardo, che quando arriva senti solo gli alarm call delle scimmie, i versi di avviso che gli animali si danno l’un l’altro se un pericolo si avvicina, e quando finalmente vedi la macchia gialla tra gli alberi correre veloce, per qualcuno intorno è già troppo tardi. Ma i re della foresta restano loro, i maschi silverback dei gorilla, con la striatura d’argento sulla schiena, le femmine – molto attente nella scelta di un compagno: uno studio recente dimostra che per mettere su famiglia preferiscono i più affettuosi con la prole, quelli che si occupano attivamente dei cuccioli – e poi ci sono i cuccioli, che cadono e si rialzano sui pendii scoscesi aggrappandosi alle schiene dei padri, spesso rotolando via in questo territorio fitto e intricato, dove i rami più solidi sono il punto di partenza per costruire una tana duratura che protegga 225 chili di mastodontica vulnerabilità dalle minacce intorno.
Oggi la popolazione di gorilla a Virunga è in crescita: 600 esemplari, con 10 nuovi nati nel 2019 tra le diverse famiglie. Visto che i gorilla di montagna sono oggi nel mondo in tutto 1.063 è un numero eccezionale, soprattutto in confronto ai 380 del 2003.
E l’aiuto alla sopravvivenza del più grande primate vivente arriva proprio da uno dei parchi di più difficile gestione in Africa, l’avamposto più estremo della battaglia contro l’estinzione.
Infatti a vegliare sull’esistenza complessa di questa striscia di Africa incastrata per il lungo sulla frontiera congolese tra Uganda a nord e Ruanda a sud, che ha visto guerra civile, sconfinamenti
violenti, milizie e bracconieri in lotta, c’è l’ostinata volontà di un gruppo di ranger coraggiosi. E la caparbietà eroica del suo direttore Emmanuel de Merode, che difende l’esistenza di questo parco, minacciato da sempre non solo dai bracconieri, ma da quel misto oscuro di malaffare, conflitto etnico, interessi economici a molti zeri per l’estrazione del petrolio (mercato da 170 milioni di dollari solo nel 2017) e per il trafficking delle specie in via d’estinzione, che sono la tragica spina nel fianco di tante aree naturali africane protette baciate dalla fortuna naturale ma nella difficoltà storica di trovarsi in zone politicamente difficili.
Una minaccia che a Virunga non è solo metaforica: la possiamo riassumere in 170 ranger uccisi in altrettanti agguati armati e un attentato a cui il direttore stesso, ferito gravemente, nel 2014 è sopravvissuto per vero miracolo.
De Merode, 50 anni, in carica dal 2008, non è solo un paleontologo di fama e conservazionista impegnato nella difesa delle specie in via d’estinzione, ma è uno di quei rari personaggi in cui la carica idealista e il pragmatismo creano un circolo virtuoso capace di cambiare le cose. La sua storia prima o poi diventerà di certo un film. Nato in una delle famiglie più antiche e blasonate del Belgio (suo padre Charles è il principe di Merode e la madre la principessa Hedwige de Ligne) e motivato da una passione personale e amore per l’ambiente («Fin da bambino ho sempre voluto fare il ranger»), vive nei pressi del parco con le due figlie e la moglie Louise, l’antropologa figlia del paleontologo e celebre politico keniano di origine inglese Richard Leakey, che condivide l’impegno di de Merode a fare della difesa di Virunga lo scopo di una vita. Un coraggio civile tutt’altro che naïf: appena nominato, in pieno conflitto armato, riuscì a chiudere un clamoroso accordo tra il governo e il leader dei ribelli Nkunda per garantire che si vietasse di sparare e combattere nel «Gorilla Sector», con i gorilla allora quasi estinti, e non si uccidessero gli animali.
Anche le comunità umane che vivono nella zona, oltre 4 milioni di persone a meno di un giorno di cammino a piedi dal Parco, contano su grandi benefici nel progetto di Virunga. Le attività prevedono lo sviluppo di energia sostenibile per i villaggi, come alternativa al carbone la cui estrazione distrugge la foresta. Un piano per combustibili eco, nuova fonte di energia rurale che può creare 30 mila posti
di lavoro in un’area ancora penalizzata dagli effetti post-guerra.
«Ci sono grandi investimenti per aumentare il numero dei ranger, siamo passati dai 230 del 2011 a 689 oggi», ha detto De Merode intervenendo all’Explorers Festival del National Geographic. «E cosa anche più importante, stiamo investendo risorse sulla formazione di alto livello, protezione, assistenza anche medica adeguata. E l’età media dei ranger assunti è diminuita, da 49 anni a 29, così possiamo contare su figure professionali serie, protette e complete dal principio».
Sul perché qualcuno dovrebbe scegliere un lavoro al momento così rischioso, la risposta del direttore in trincea è disarmante: «Molti lavori socialmente utili sono rischiosi. Virunga è il posto dove sono nati l’impegno naturalista e l’idea di protezione degli animali in Africa. Moltissime persone che decidono di diventare ranger sono figli di ranger, nipoti di ranger, pronipoti di ranger».
E il territorio vale l’impresa: all’interno di Virunga c’è praticamente tutta l’Africa radunata in un solo luogo. Ci sono uno dei Grandi Laghi africani, il Lago Edoardo, savane aride e assolate, foreste umide e fitte da cui anche alzando gli occhi non riesci a capire se è notte o ancora giorno. C’è perfino un ghiacciaio, che fa contrasto con i vulcani attivi Nyiragongo e Nyamuragira. Poi cascate a sorpresa, grotte, 218 specie di mammiferi tra cui gli elefanti della foresta, ippopotami, okapi (zampe da zebra e corpo scuro, ma sono più imparentati con le giraffe), leoni, 706 specie di uccelli e 22 specie di primati. Ai margini, ma sempre sotto la direzione del Parco, vive anche una tribù di pigmei, i Bambuti, i «piccoli uomini» cacciatori-raccoglitori che vivono esclusivamente della foresta.
Il lavoro della Repubblica del Congo e dei suoi eroici difensori – in tutto il mondo: solo una parte dell’economia del Parco, circa 8 milioni di dollari l’anno, è a carico del governo, il resto arriva da Europa, Stati Uniti, Paesi e istituzioni che credono in questa arca di Noè –, non è per partire oggi, forse nemmeno domani, ma per assicurare un futuro a questo paradiso per l’intero nostro mondo.
«Mi sono occupato di conservazione e natura per tutta la vita», ha detto Emmanuel de Merode, «e vi dico che non ho mai visto sulla Terraun posto più spettacolare di Virunga».