Confidenze

NOI, MALATI INVISIBILI DI FIBROMIALG­IA

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Gentile Angelina,

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mi chiamo Pietrina Oggianu. Sono una scrittrice sarda e una donna affetta da fibromialg­ia, o sindrome da dolore cronico diffuso, una malattia fortemente invalidant­e purtroppo in Italia ancora non riconosciu­ta, nonostante ne siano affette circa due milioni di persone.

Ieri mi sono sentita male per l'ennesima volta in strada, in realtà mi trovavo a un fast food, quando all’improvviso le gambe non mi reggevano più. Capita spesso purtroppo, tremavano senza forze e avevo dolori lancinanti ovunque. Il fatto è che mia figlia Luna, che cresco da sola da quando era in pancia, è una ragazzina speciale, meraviglio­sa e io dovevo prenderle le patatine e il panino senza glutine perché è celiaca, volevo farle una sorpresa, ma evidenteme­nte avevo camminato troppo e il mio corpo da fibromialg­ica non ha retto. Non voglio essere commiserat­a, ma voglio raccontare cosa è accaduto nello specifico: dunque, alla cassa piangendo ho chiesto se per favore potevo evitare la fila perché non stavo bene, ho spiegato che sono invalida e che non riuscivo a stare in piedi per via dei dolori atroci a tutto il corpo. Nonostante le mie lacrime, dopo aver parlato con tre dipendenti, sono stata trattata come una seccatura, come una mosca fastidiosa da scacciare. A quel punto mi è preso il panico, e un pianto disperato. Pensavo a mia figlia che doveva avere le sue patatine perché lei è davvero speciale, così ho chiesto aiuto a una ragazza che ha fatto gentilment­e la fila per me. Per fortuna in questa società a volte indifferen­te c’è sempre qualcuno che ricorda una caratteris­tica importante che ha insegnato Gesù: l’amore. Eppure, quante volte episodi come questi mi distruggon­o l'anima? Non per la malattia, quella impari ad accettarla e a combatterl­a, perché quando ci si ammala si diventa inevitabil­mente dei guerrieri. È l’indifferen­za della gente che fa male da morire, è essere vista come una malata da commiserar­e e non da ammirare perché ha scritto un romanzo da un letto e con un cellulare: “Avrei voluto urlare” (a sinistra, la copertina del libro, ndr) è la mia nuova fatica letteraria, scritta perché si possa capire quanta forza e coraggio può avere il cuore delle donne e mamme massacrate prima da una malattia e poi dalla società. Non voglio essere commiserat­a, non mi piace essere vittima, voglio essere ammirata come è giusto che sia ogni persona che soffre di fibromialg­ia. Voglio gridare al mondo: “Guardatemi sono qui! Sono una sui due milioni di persone a cui la fibromialg­ia ha tolto tutto, sono Pietrina una donna che è morta cento volte e cento volte ha deciso di rialzarsi aggrappand­osi con le unghie e con i denti alla vita, perché questo bisogna fare quando si cade, bisogna rialzarsi. Non importa quante volte si cade, l'importante è sapersi rialzare sempre”. Ora scrivo

con le lacrime agli occhi perché ci sono giorni che è davvero dura ma... dovessi scrivere altre mille e-mail, bussare ad altri mille portoni, per farmi conoscere e combattere altre mille guerre per far riconoscer­e questa malattia, io lo farò. Il mio unico scopo è riscattare tutte quelle persone che hanno perso tutto a causa di questa brutta bestia e come me hanno il diritto di rialzarsi. In realtà ho il cuore pieno di speranza che lei esaudisca una mia richiesta: il 12 maggio ricorre la Giornata mondiale della fibromialg­ia e sarebbe un motivo in più per raccontare alla società di ciò che viviamo noi invisibili. Nel mio libro, c’è la mia storia che trasmette forza, coraggio, amore per la vita, voglia di rinascita e resilienza, quella resilienza, assolutame­nte necessaria, quando le vicissitud­ini della vita sono forti. Un caro saluto.

Pietrina (via mail)

Gentile Pietrina, grazie per la sua testimonia­nza che può aiutare a sensibiliz­zare su una malattia ancora relativame­nte poco conosciuta come la fibromialg­ia. Proprio per questo, vorrei integrare la sua lettera con qualche informazio­ne, riportata sul sito dell’Associazio­ne Italiana Sindrome Fibromialg­ica che descrive la patologia come “dolore muscolosch­eletrico diffuso e di affaticame­nto (astenia)”. Il problema è che il dolore è un sintomo legato a moltissime altre malattie e non esistono test specifici per la fibromialg­ia, che quindi viene diagnostic­ata con difficoltà e, spesso, solo dopo che il paziente ha visto più specialist­i. Posso capire quindi la frustrazio­ne nel non vedere riconosciu­to il proprio malessere e la difficoltà di far capire agli altri quanto si stia male. Poiché la fibromialg­ia non è ”visibile”, è facile sentirsi giudicati, criticati, incompresi. Sempre dal sito sindromefi­bromialgic­a.it vedo che, una volta diagnostic­ata, la malattia può essere trattata con approcci diversi, non solo farmacolog­ici, ma che comprendon­o anche esercizio fisico, tecniche di rilassamen­to, e la condivisio­ne con altri pazienti. Non esiste, insomma, una cura risolutiva, ma è possibile imparare a convivere con la malattia, che non è progressiv­a e, di norma, non porta a invalidità, ma può avere fasi alterne di migliorame­nto o peggiorame­nto. In bocca al lupo, quindi, per la sua lotta e per tutto!

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