Confidenze

“INSIEME” AI PROBLEMI DEI PIÙ PICCOLI

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scarti umani da trasferire altrove, noi invece teniamo a quelle persone e offriamo loro uno spazio bello e dignitoso. Come se fossero al ristorante, vogliamo che il pasto sia servito a tavola, accompagna­to da un sorriso e parole di conforto. Per noi ogni fragilità è importante» spiega il frate. Dopo l’estate, la mensa di Bologna ha registrato quasi un raddoppio di presenze quotidiane (da 190 a 300), con l’orgoglio di essere riusciti a non mandare via nessuno anche grazie all’immenso cuore dei 977 volontari. In cucina ogni giorno si alternano una ventina di persone, dai 15 ai quasi 81 anni di Rita che, da quando è rimasta sola, qui ha riempito i vuoti dell’esistenza. Fare il bene fa bene, lo confermano anche i sorrisi di Marilena e Maurizio, insieme da 60 anni: un anno fa, hanno perso una figlia. Il buio e poi, improvvisa, la scintilla di donarsi agli altri.

TANTI LABORATORI

A capo della cucina c’è Pasquale, 54 anni pugliese, chef di profession­e giunto qui da volontario dieci anni fa. «Lavorare in questa mensa non è diverso dal ristorante: bisogna proporre una cucina onesta, sana e ricolma di amore. Qui il bello e anche il difficile è ottimizzar­e gli ingredient­i a disposizio­ne, spesso frutto di donazioni. Così se ci arrivano 40 chili di melanzane, come oggi, l’abilità sta nel trasformar­le in tortini salati. I piatti più gettonati? La zuppa di legumi e la pasta al pomodoro (ogni mese se ne cucinano 1.050 chili, ndr)». Fra Giampaolo mi svela il suo sogno: «Svuotare la mensa. Significhe­rebbe aver risolto il problema della fragilità di sistema che la politica stenta a riconoscer­e. Dopo il Covid la richiesta di aiuto è cresciuta soprattutt­o tra le donne e gli under 35: manca il lavoro, per molti è diventato insostenib­ile pagare un affitto e c’è chi dorme per strada o in auto. Noi siamo convinti che il pasto in una qualsiasi mensa debba restare un momento provvisori­o, un passaggio verso l’autonomia». Per l’Antoniano l’accoglienz­a è arte e per questo organizza laboratori: il più apprezzato è quello per imparare l’italiano, ma ci sono anche quelli per prendere la patente, stilare un curriculum, suonare la chitarra, praticare yoga o danze tradiziona­li africane e naturalmen­te giocare a calcio.

PASTI AL GIORNO DISTRIBUIT­I DALLA MENSA

VOGLIA DI RISCATTO

Ho condiviso il pasto con molte di quelle anime sgretolate dalle piaghe dell’esistenza e ho sentito forte e commossa la riconoscen­za verso chi chi ha spalancato la porta della propria casa senza fare domande. In questa mensa siede chi non ha più nulla, chi è fuggito dalla guerra, chi è stato rovinato dalla pandemia. Ci sono padri separati, madri disperate, persone che cercano un’opportunit­à per ripartire. È il caso di Namir, nato a Casablanca 55 anni fa e in Italia dal 1999: «Avevo lasciato il Marocco in cerca di fortuna per far studiare le mie tre figlie. Ho sempre fatto il barbiere, ho continuato a farlo anche a Bologna, ma il Covid ha prima chiuso per quattro mesi la bottega dove lavoravo e poi costretto alla resa l’affittuari­o. Ora vivo per strada e questa mensa è la mia famiglia. Cerco un lavoro disperatam­ente, non chiamo neppure più a casa perché mi vergogno di non riuscire più a mandare loro i soldi». Francesco ha radici calabresi e 39 anni,

Tra i servizi c’è anche il Centro terapeutic­o Antoniano Insieme. Racconta la coordinatr­ice Giulia Ambrosetto: «È nato nel 1981 per seguire i bimbi affetti dalla sindrome Down, ma nel tempo si è allargato alla gran parte delle patologie del neurosvilu­ppo e quindi ai disturbi della comunicazi­one, dello spettro autistico e di apprendime­nto». Si parla di circa 850 tra bambini e giovani adulti, numero cresciuto dopo il Covid. Prevalenza di bimbi italiani, ma in crescita gli stranieri (arabi, filippini e cinesi), che qui possono contare sui mediatori culturali e linguistic­i. Tra le situazioni ricorrenti ci sono quelle legate alla gestione delle emozioni, in particolar­e la rabbia. 17 dei quali lavorati nella ristorazio­ne: «La morte di mamma due anni fa e lo stress conseguent­e mi hanno destabiliz­zato. Sono finito nella trappola delle cattive compagnie, ho fatto errori e li ho pagati. Sono scappato un mese fa da Milano per darmi una nuova possibilit­à e in questa mensa ho incontrato tante storie difficili come la mia. Busso ovunque per chiedere lavoro. Voglio rialzarmi per formare una famiglia, la mia felicità è stato aiutare a crescere i miei due nipoti. Non li sento da sei mesi, mi mancano molto».

SAPERSI

 ?? ?? I solisti del "Piccolo Coro Mariele Ventre".
I solisti del "Piccolo Coro Mariele Ventre".
 ?? ?? Un piacevole momento di condivisio­ne a tavola, tra cibo gustoso e un po’ di chiacchier­e.
Un piacevole momento di condivisio­ne a tavola, tra cibo gustoso e un po’ di chiacchier­e.
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