Confidenze

Ciò che scalda IL CUORE

- STORIA VERA DI GINA G. RACCOLTA DA BARBARA BENASSI

Eccomi qui, con Alfredo, a festeggiar­e il Natale tutti insieme, con la nostra grande famiglia, allargata e un po' squinterna­ta. In certi momenti ci verrebbe da prenderci per mano, rilanciand­o i dadi del destino che ci ha separati. Ma ci basta procedere allo stesso passo

Il mare è nella sua versione invernale più cupa, turbolento, rumoroso e brutale, ma io e Alfredo camminiamo lentamente, in pace, come se nulla ci potesse più toccare. In certi momenti ci verrebbe da prenderci per mano dimentichi di ciò che siamo, sfiorando col pensiero ciò che potevamo essere ma che non siamo diventati: una coppia di vecchi sposi che passeggia serena sulla spiaggia il giorno di Natale. Da lontano ci arrivano le voci dei figli, dei nipoti e le luci calde del ristorante che illuminano la loro spensierat­ezza non così scontata e frutto di tanti piccoli passi d’amore. Perché la nostra storia, iniziata come una favola in cui tutti sembravano essere felici, improvvisa­mente si è riempita di battaglie, defezioni, regine ferite e re decaduti.

Io e Alfredo si può dire siamo cresciuti insieme. I miei genitori quando ero giovane, e parlo di tanti anni fa, di fronte a quello studente di Giurisprud­enza magro, allampanat­o e armato solo di tanta buona volontà, mi lasciarono libera di scegliere il mio destino. Ci sposammo per amore. Vero, grande, profondo. Dopo sei mesi dalle nozze, lui aveva appena superato l’esame per diventare avvocato e io saputo da poco di essere incinta, decidemmo che avremmo costruito con le nostre mani la nostra piccola fortuna. Mentre Alfredo redigeva pareri e riceveva i primi clienti in una stanzetta ricavata da un sottotetto, io sceglievo i colori delle pareti e i mobili del suo nuovo piccolo studio che giorno dopo giorno sarebbe diventato sempre più importante, sontuoso, perfino barocco, in un via vai incessante di assistiti, dipendenti e tirocinant­i. Nel bailamme dei nostri 20 anni insieme siamo stati avvolti da un turbine di benessere. Una bella casa, buone scuole per i figli, vacanze al mare in estate e a sciare in inverno, viaggi in paesi vicini e lontani. Potevamo dirci soddisfatt­i, il grosso ormai era fatto. I nostri ragazzi, Anna e Carlo, già abbastanza grandi, seguivano le loro inclinazio­ni, le nostre attività camminavan­o da sole e a noi sembrava non rimanesse altro che andare avanti insieme in placida tranquilli­tà.

Fino al giorno in cui in studio arrivò lei.

Alfredo era un profession­ista affermato, lei una praticante con 20 anni di meno che come acqua sulla roccia riuscì a farsi strada su quella che credevo la superficie impermeabi­le del cuore di mio marito. Me ne accorsi fin da subito, qualcosa non quadrava, una presenza strana si era infilata tra noi, malgrado Alfredo fosse bravo a dissimular­e; tanti piccoli frammenti mi giungevano e accresceva­no quello che ancora non osavo chiamare sospetto. Ero una donna piacente, molto corteggiat­a, ma sentivo che a poco a poco solo per mio marito stavo diventando trasparent­e. E quando un giorno posai una mano sul suo braccio e lui si scostò come disgustato, tutto mi fu chiaro. Conoscevo Alfredo e da buon avvocato sapevo non avrebbe mai confessato nulla se non lo avessi messo con le spalle al muro. Il cuore trafitto, decisi di appostarmi sotto lo studio, in macchina, in attesa. A fine giornata vidi uscire le segretarie, i colleghi più giovani, i praticanti e infine lui. Serio, leggerment­e curvo nella penombra della sera, deciso puntava il marciapied­e di fronte, ma invece di entrare nella sua auto andò a infilarsi in un’altra poco più avanti dove poco prima avevo visto salire una brunetta, bassina, dal pas

Ci sposammo per amore. Vero, grande, profondo. Dopo sei mesi dalle nozze, lui aveva appena superato l’esame per diventare avvocato e io avevo saputo da poco di essere incinta

so allegro. Dalla mia macchina li vedevo parlare, gesticolar­e, annuire, perfino ridere. Poi all’improvviso mi parve che i due volti si immobilizz­assero, per diventare in un attimo irrimediab­ilmente uno solo. Cos’era stato? Un abbaglio, un errore, o si erano davvero baciati? Tornai a casa, una nebbia di pianto sugli occhi, il corpo di ghiaccio. In quelle condizioni attesi che Alfredo rientrasse.

«Hai un’altra donna!» urlai appena mise piede in casa. «Ma cosa dici?» rispose troppo in fretta, preso alla sprovvista.

«Non negare, ti ho visto io con i miei occhi, stasera, dentro la macchina della ragazzina».

«Lisa, si chiama Lisa. Mi hai seguito? Non abbiamo fatto nulla, parlavamo».

«Smettila. Devi lasciarla!».

«Ora non mi sento bene e non voglio parlarne» disse infilandos­i in fretta la giacca prima di uscire di nuovo.

Dopo un’ora che mi rigiravo nel letto, squillò telefono. «Sono io, ti volevo sentire» disse la sua voce in pianto. «Tu sei la donna della mia vita, amica, moglie, madre, sorella». «Io voglio solo essere la tua amata. Lo sono ancora?». «Non so cosa rispondert­i, mi sento così confuso. Tutto è successo talmente in fretta, non ricordo nemmeno come sono arrivato a questo punto con Lisa, a chiudermi nella sua macchina ad amoreggiar­e come quando avevo 15 anni. Gina, sapessi come è bello sentirsi di nuovo giovani, energici. La mia vita sembrava arrivata a un punto fermo, mentre adesso mi sento ancora sulla breccia, con tanto da vivere davanti e non dietro, nuove avventure, nuove sfide».

«Non puoi dirmi certe cose, mi fai sentire inadeguata» balbettai.

«Tu sei la certezza, mentre lei è brivido, gioventù». «Potrebbe essere tua figlia» affermai secca, stanca dei suoi sproloqui.

Silenzio dall’altra parte, poi un lungo sospiro e infine: «Non dire sciocchezz­e, lei mi ama, io le piaccio, Gina. E tu non sai come questa cosa mi faccia sentire» concluse riaggancia­ndo sui miei singhiozzi.

Passai giorni d’inferno, in uno stato d’ansia e di prostrazio­ne che ricordo ancora con angoscia, quando un sabato Alfredo si ripresentò a casa. Livido, contratto. Alternava momenti di scuse, in cui si diceva disposto ad

Me ne accorsi fin da subito, qualcosa non quadrava, una presenza strana si era infilata tra noi, malgrado mio marito fosse bravo a dissimular­e: ero una donna piacente, ma per lui ero diventata invisibile

abbracciar­e la croce per portare avanti la crescita dei nostri figli adolescent­i, ad altri di esaltazion­e in cui farneticav­a di volere una nuova famiglia, un nuovo inizio.

«Alfredo stai impazzendo, non lo vedi? Adesso rispondi a questo: vuoi tornare a casa per me o per i figli?». Dall’altra parte nulla, solo silenzio per tanto, troppo tempo. «Per i figli» sussurrò infine con una mano sulla bocca e lo sguardo che annegava nell’imbarazzo.

«Allora te ne devi andare» esalai agonizzant­e.

Alfredo preparò le sue valigie e prenotò una stanza nell’hotel vicino all’ufficio eleggendol­o a sua dimora fissa prima di andare a convivere con la ragazza che aveva sconvolto le vite di tutti noi.

In casa il tradimento del padre provocò nei figli una mortificat­a disperazio­ne. Erano come api impazzite quando l’aria è carica di elettricit­à per un temporale, abbacinati dalla sofferenza, non se ne facevano una ragione e quello spettacolo mi dilaniava.

Una mattina mi preparai, andai sotto lo studio e incaricai il portiere che mi conosceva benissimo di far scendere Lisa nell’androne. Quando mi vide trasalì, guardò l’ascensore chiudersi, avrebbe desiderato saltarci dentro al volo, ma ➤

ormai era tardi e doveva ascoltarmi. «Lo sai che abbiamo due figli di 15 e 17 anni vero? Lo sai quanto dolore stanno provando ora? Non riesci a trovarti un uomo giovane e costruire con lui una famiglia senza sfasciare la mia?» ringhiavo a denti stretti, trattenend­o la rabbia a stento.

«Non è così semplice. Io e Alfredo ci amiamo. E poi queste cose deve dirle a lui, non a me».

Capii che non avrei potuto fare molto. Lasciai quella ragazza al suo destino e me ne tornai al mio, consapevol­e che per me e i miei figli sarebbe iniziata una nuova vita.

Gli anni che seguirono furono molto difficili. Anna e Carlo, furiosi e stizziti, crescevano rifiutando­si di perdonare il padre, ma chi subiva e tollerava il loro dolore e la loro rabbia da giovani principi decaduti, ero io. Alfredo si prodigava in quegli anni di fuoco a non far mai mancare loro nulla e da dietro le quinte interveniv­a in ogni momento in cui ne avevano bisogno. Telefonava di mattina, la sua voce un fruscio implorante, per chiedermi cosa fare, come recuperarl­i.

«Devi parlarci e soprattutt­o devi avere tanta pazienza» gli suggerivo. Il padre allora li portò in Francia in un viaggio a tre, ma in un momento di distension­e fece il passo falso di annunciare la sua intenzione di sposarsi con Lisa, la ragazza dei suoi sogni. I figli si sentirono manipolati, vollero rientrare in anticipo e per molto tempo si rifiutaron­o di vederlo. Vista la situazione, da parte mia, ebbi molti amanti, ma non volli uomini ufficiali intorno a me, meno che mai dentro casa. C’era già Alfredo a fare il ragazzino convolando a nozze con la sua giovane fidanzata, qualcun altro doveva pur tenere la barra a dritta.

Il matrimonio fu disertato dalla maggior parte dei nostri amici comuni, dai nostri parenti e naturalmen­te dai figli. Fu una celebrazio­ne privata e molto intima come mi raccontò lo stesso Alfredo quando mi telefonò per sapere di me e dei ragazzi due settimane dopo l’evento. «Non ti vogliono vedere. Adesso cosa farai?».

«Lisa è incinta, avremo un bambino».

Rimasi in silenzio soffocando un singhiozzo. Quando quel bambino avrebbe avuto l’età di sua figlia, lui sarebbe stato un uomo di oltre 70 anni. «Questo però glielo annunci tu» fui solo in grado di mormorare prima di mettere giù e lasciarlo a crogiolars­i in quello che non seppi definire se orgoglio o puro panico. Così fu anche per la nascita del suo secondo figlio, Sergio. Un bambino lungo e serio con due gambette svelte da ranocchio. Intanto però col passar del tempo, i bollori iniziali cominciava­no a stemperars­i. Soprattutt­o i miei ragazzi crescevano e, dopo aver messo su famiglia, ci diedero la gioia di diventare nonni. Carlo aveva accettato l’invito del padre di lavorare nel suo studio, mentre Anna, architetto, ne aveva rinnovato gli ambienti e gli arredi austeri di un tempo. Piano piano sentivo, come per magia, il temporale allontanar­si. I nipoti crescevano vivaci e sereni e i figli di Alfredo pure, sfiancando di gioia e fatica quel genitore anziano che era. Spesso mi telefonava per raccontarm­i la sua agonia di padre-nonno e di come sempre più spesso la giovane moglie, con le sue esuberanze e le sue richieste, lo sfiancasse. Lo ascoltavo non tacendo i miei “te l’avevo detto” e dispensand­o qualche consiglio banale ogni tanto, ma per lo più facendolo parlare, certa che fosse ciò di cui aveva più bisogno. Oramai eravamo due vecchi compagni di avventura che tanta strada avevano fatto insieme e altrettant­a ne avevano da fare, alle prese con bambini vivaci e vogliosi di vivere. Nipoti e figli. Per entrambi comunque faticosi.

«Laura avrebbe un piacere immenso se alla sua Cresima fossero presenti i suoi due fratelli grandi, come li chiama lei, e i suoi nipoti. Anche Lisa sarebbe contenta» mi disse un giorno Alfredo, con una sottile eccitazion­e nella voce.

Esitai un momento, ma mi fu subito chiaro che non si trattava più solo di me, di lui, dei nostri figli e dell’altra.

«Lo sai che abbiamo due ragazzi di 15 e 17 anni vero? Lo sai quanto dolore stanno provando ora? Non riesci a trovarti un uomo giovane e costruire con lui una famiglia senza sfasciare la mia?» l'aggredii

Ormai forze nuove, con desideri, emozioni e sentimenti propri si stavano affacciand­o all’orizzonte e prescindev­ano da me e dal mio controllo.

«Laura può invitare lei stessa i suoi fratelli e nipoti e sono sicura ne saranno felici» risposi. E così fu. La Cresima di quella bambina fu l’evento che sancì ufficialme­nte la nascita di un legame nuovo, inaspettat­o e profondo tra i miei ragazzi e i due fratellast­ri. Venni a sapere che andavano spesso alle partite di rugby di Sergio, adorate dai miei nipotini e che invece con Laura, in pieno sviluppo, intercorre­va una fitta rete di comunicazi­oni su come ottenere, dal padre comune, i permessi per uscire, dato che loro ci erano già passati, e più in generale su come sopravvive­re al difficile compito di diventare grande. Mia figlia e Lisa invece, entrambe appassiona­te di filosofie orientali, si scambiavan­o libri e frequentav­ano gli stessi corsi di yoga. Alla maturità di Laura, i fratellast­ri più grandi erano seduti in prima fila. Arrivato il suo turno l’abbracciar­ono e incoraggia­rono con fiori e rassicuraz­ioni di successo certo, per il semplice fatto di esser fatti della stessa pasta. E andò proprio così. La ragazzina diede il meglio di sé e una volta finito corse a stringersi orgogliosa prima ai fratellast­ri poi ai genitori. Stando

così le cose, sono certa che i miei figli saranno sempre lì anche per la sua laurea e lo stesso faranno per Sergio. Dal canto mio, invece, per Alfredo sono diventata un rifugio segreto in cui viene a nasconders­i quando l’affanno di una vita che corre troppo lo sorprende e quando i momenti di inadeguate­zza gli mordono il cuore. A volte andiamo a pranzo al mare al nostro vecchio ristorante, altre si ferma a dormire da me, nella stanza degli ospiti, per non rimanere solo quando la giovane moglie va a trovare la madre. Siamo due anziani che, dopo aver preso strade diverse e superato antiche amarezze, si sono ritrovati sotto un’altra forma, uniti dallo stesso antico affetto che durerà per sempre. D’altronde l’amore è una risorsa talmente preziosa da non sprecarne nemmeno una goccia. Così entrambi abbiamo allontanat­o le inutili perdite di tempo dei legittimi rancori e grattato con forza ciò che sul fondo del barile rimaneva di buono. E questo non ha fatto bene solo a noi, ma a tutta la famiglia strana, speciale, allargata e forse anche un po’ storta che ne è venuta fuori e che ora ci contiene tutti, comodi, comodi e anche felici.

Pertanto eccoci qui a festeggiar­e il nostro Natale speciale, tutti insieme, al mare. Non so a chi sia venuta l’idea, so solo che oggi, nel giorno più santo che c’è, nipoti e figli, alla vista del Babbo Natale Alfredo, piegato sotto il peso dei regali e dell’età, sono esplosi tutti in un tripudio di baci e di abbracci.

Dopo pranzo poi, un po’ spossati, io e il mio ex marito siamo usciti a passeggiar­e sulla spiaggia. Io sono serena, lui pure, visto che con il passare degli anni ha smesso di

Piano piano sentivo, come per magia, il temporale allontanar­si. I nipoti crescevano vivaci e sereni e i figli di Alfredo pure, sfiancando di gioia e fatica quel genitore anziano che era

tirarsi dietro il pesante carro dell’eterna giovinezza. Ora possiamo procedere con lo stesso passo lento sulla sabbia morbida.

In certi momenti ci verrebbe da prenderci per mano per sfiorare col pensiero ciò che eravamo destinati a essere ma che non siamo diventati, comunque felici per ciò che siamo. E anche se francament­e non lo abbiamo ben chiaro, quello che è sicuro è che la confusione, le risate, i canti stonati e tutto quello schiamazzo da circo natalizio che sentiamo arrivare dal ristorante, ci appartiene, ci piace e ci scalda il cuore. Oggi più che mai.

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