Confidenze

UN RICORDO DA SCARTARE

Da qualche anno nonna Maria si è ammalata di Alzheimer, non parla quasi più e non riconosce nessuno. Ma quel giorno di festa ci ha dato prova della forza della memoria degli affetti

- STORIA VERA DI EVA D.

‘‘ ata una donna forte come un ulivo ato nella terra. Aveva perso il marito da giovane ed era rimasta sola, ma si era presa cura della famiglia e di tutti noi

Quell’anno l’inverno era arrivato con una gran furia e il freddo penetrava nella carne come fosse fatto di piccoli aghi appuntiti. A Lecce la neve si vedeva di rado, ma la notte del 23 dicembre 1996 i fiocchi caddero silenziosi e al mattino un manto bianco aveva ricoperto le strade. Io avevo 15 anni e prima d’allora non avevo mai visto niente del genere, era capitato che facesse freddo al punto da vedere qualche fiocco danzare in aria, ma mai prima d’allora la neve si era posata.

Io e mia sorella Ginevra eravamo euforiche, indossammo i giubbotti e ci precipitam­mo fuori a giocare. Immergevam­o le mani in quella gioia gelida e ci stendevamo a terra allargando braccia e gambe per fare gli angeli di neve come avevamo visto fare in un film.

Il giorno era iniziato da poche ore e mamma era già intenta a preparare la cena. Faceva così a ogni Natale, iniziava a cucinare dalle prime ore del mattino senza mai fermarsi. Il profumo di soffritto aveva inondato ogni angolo della casa, quello per me era il profumo della domenica e della festa. A cena saremmo stati almeno una decina, c’erano anche i parenti di Torino che scendevano per l’occasione, si respirava una frizzante aria d’attesa. Io e Ginevra rientrammo in casa con i fiocchi di neve ancora incastrati tra i capelli, si scioglieva­no piano mentre la nostra euforia non accennava a diminuire.

Nonna Maria era seduta sulla poltrona in salotto, accanto all’enorme abete adornato, le palline colorate scintillav­ano riflettend­o il nostro spirito festoso in netto contrasto con la sua espression­e congelata in uno smarriment­o perpetuo. Era mia nonna materna, l’unica nonna rimasta. Si era presa cura di noi da sempre, era stata una donna dinamica e forte come un ulivo radicato nella terra con radici affondate nell’essenza della vita. Aveva lavorato nei campi sin da ragazzina e aveva provveduto a portare avanti la famiglia quando da giovane aveva perso il marito, era rimasta sola e mai per un attimo aveva smesso di essere forte.

Nonno Gino era morto ad appena 40 anni d’infarto, mia madre era una ragazzina, io ancora non esistevo, aveva lasciato un vuoto grande al punto da farsi sentire anche in chi non lo aveva conosciuto.

Da qualche anno nonna Maria si era ammalata di ➤

Alzheimer e io avevo pian piano visto la sua meraviglio­sa energia affievolir­si, fino a svanire. Restavo ore a sederle accanto tenendole la mano e mi chiedevo in quale lontano luogo della mente fosse rimasta intrappola­ta la mia nonna meraviglio­sa che portava il mondo sulle sue spalle senza accennare a lamentarsi del peso.

Nonna non parlava quasi più, capitava di rado che farfuglias­se parole senza senso e non ci riconoscev­a più nonostante ci avesse cresciute.

Entrata in casa mi avvicinai a darle un bacio sulla guancia. Come una mappa del tempo la pelle era increspata e soffice e in quegli occhi ormai piccoli e persi nel vuoto, si nascondeva una scintilla di vita e di storie da raccontare ormai intrappola­te in vuoti silenzi. La accompagna­i piano alla finestra, la feci sedere vicino al lustro che mostrava il manto bianco a contrasto con i decori colorati delle case. All’improvviso, dal nulla, lei sembrò tornare alla realtà, come svegliata da un sonno profondo, tornata in superficie da un abisso di quiete, guardò la finestra e la indicò.

«La neve nonna, la vedi?».

Ero sorpresa della sua reazione, accadeva sempre più di rado che tornasse alla realtà e quando capitava era emozionant­e quanto osservare i primi passi di un bambino. Lei mi sorrise. Mi sedetti accanto a lei tenendole la mano come facevo di solito, sorrise ancora, questa volta al vuoto e i suoi occhi si riempirono di dolcezza. «Le ho nascoste, ho nascosto tutto» sussurrò piano. «Cosa nonna? Di che parli?» provai a chiedere. Lei non mi guardava, continuava a sorridere probabilme­nte persa in qualche ricordo.

«Vedrai che non le troveranno, le ho nascoste bene, sotto la toeletta da trucco».

Io e Ginevra ci guardammo stralunate, quelle parole ci avevano decisament­e incuriosit­e ma cercammo di non dar troppo peso alla cosa.

Arrivò la sera, la tavola era imbandita a festa, c’erano segnaposto a forma di angioletti dorati e i piatti con il bordo rosso che mamma tirava fuori solo per le occasioni speciali, l’odore del cibo riempiva gli spazi assieme alle chiacchier­e e alle risate allegre di tutti.

Zio Alfredo, fratello di mamma, iniziò a raccontare aneddoti della loro infanzia, raccontò di quando rimase appeso come un salame all’albero di gelsi perché un lembo dei pantaloni si era impigliato in un ramo. Poi si avvicinò a nonna continuand­o a ridere, le accarezzò il viso e le disse: «Quanti guai combinavam­o, vero? Mamma mia bella. Mi dicevi sempre di non arrampicar­mi sugli alberi ma era più forte di me. Quanto ti abbiamo fatto impazzire!».

Gli occhi di zio si riempirono di tristezza, in netta dissonanza con il suo sorriso che ancora non accennava a spegnersi.

«Oggi nonna ha parlato» disse Ginevra di scatto attirando l’attenzione di tutti.

«E cosa ha detto?» chiese mamma stupita.

«Non abbiamo capito bene, parlava a bassa voce come se stesse sussurrand­o un segreto, diceva che aveva nascosto qualcosa».

Ginevra mi guardò, quasi a chiedermi conferma dell’esattezza del suo ricordo.

«Sì» incalzai, «diceva che aveva nascosto qualcosa in una toeletta da trucco».

«La toeletta da trucco!» esclamò zio di scatto guardando mamma. «Pensi che...».

«Di certo ci teneva in modo ossessivo, non ci permetteva di avvicinarc­i, ricordi?».

«Certo che mi ricordo».

Il loro sguardo scintillav­a come quello di due bambini di fronte a un regalo da scartare, si guardavano pieni di emozione, come se quella notizia avesse smosso qual

‘‘ mia sorella Ginevra, euforiche, cipitammo fuori a giocare a fare gli angeli della neve. A Lecce una nevicata era uno spettacolo raro da vedere

cosa di profondo, nella speranza di poter scartare un ultimo ricordo.

Zio, investito da una fretta improvvisa, si allontanò a passo svelto verso l’uscita, infilò di furia il pesante cappotto di panno nero e senza accennare a voltarsi urlò dall’altra stanza: «Torno subito».

«Ma dove vai Alfredo?» urlò sua moglie indispetti­ta. «Si fredda il cibo» aggiunse mamma in tono non troppo convincent­e ma dopo un attimo urlò: «Aspettami, vengo con te».

Dopo due minuti, io, Ginevra, mamma, e zio, camminavam­o per le strade piene di neve avvolti in enormi sciarponi che ci coprivano fino al naso, muovendoci come astronauti verso casa di nonna, che era poco distante dalla nostra.

Entrare in quella casa fu strano per tutti, si percepiva in ogni sguardo, un tempo festeggiav­amo il Natale lì. In ogni momento dell’anno la casa era immersa di luce, nonna si muoveva come una trottola in ogni stanza e sembrava che tutto al suo passaggio prendesse vita. Il profumo di limone che permeava l’aria era stato sostituito dal puzzo di chiuso, di aria stantia, per quanto mamma cercasse di smuoverla una volta a settimana, restava intrappola­ta, incollata tra muri e mobili. La vecchia toeletta di cui parlava nonna si trovava al piano superiore, era bianca con uno specchio ovale, e aveva dei motivi floreali disegnati lungo i bordi. Zio e mamma si avvicinaro­no a studiarne ogni angolo e nella parte inferiore, incastrata tra una gamba e un foro nel legno trovarono una piccola scatolina di rame. Quando tornammo a casa mio padre stava sbuffando come una caffettier­a, noi incuranti avevamo lo spirito di esplorator­i che avevano appena trovato un tesoro. Aprimmo la scatolina seduti attorno al tavolo, un fremito di euforia accelerava i battiti. Tremante mamma estrasse dei piccoli bigliettin­i ripiegati e ingialliti dal tempo, e una collana con un ciondolo a forma di farfalla e dei piccoli brillantin­i sulle ali. ”Sei meraviglia per gli occhi Maria, sei il mistero che desidero svelare ogni giorno”. E poi ancora: ”Grazie per il tuo sorriso, è stata una nota dolce che mi ha allietato la giornata, ne conserverò il ricordo fino a quando non ti rivedrò”. Si intuiva che fossero messaggi segreti, frasi brevi scritte su piccoli rettangoli di carta per poterli nascondere con più semplicità. ”Maria dolce, se anche tu vorrai amarmi, come desidero amarti io per il resto dei miei giorni, niente potrà fermarmi, neanche tuo padre. Solo un tuo no sarà il mio ostacolo. Provo per te sentimenti profondi, se vorrai sarò il tuo rifugio per la vita”.

I biglietti non erano firmati, ma avevano tutti la stessa intensità, un sentimento prepotente nascosto in una calligrafi­a traballant­e e incerta, parole degne della migliore storia d’amore. Leggevamo con un tumulto di emozioni contrastan­ti, i bigliettin­i passavano di mano in mano mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa. Tra le mille domande che sorgevano, una sovrastava tutte: chi era l’autore di quelle parole meraviglio­se?

La risposta arrivò sola, leggendo l’ultimo biglietto. “Maria, domani ti aspetto alle 15 vicino alla bottega del latte, se verrai ti porterò via con me, ti sposerò, e ti prometto che ti amerò sempre, perché il mio cuore altro non sa fare”.

«Papà!» esclamò mamma con il bigliettin­o tra le dita tremanti. «È papà!».

Nonna raccontava spesso una storia: era un giorno di gennaio e il forte freddo aveva fatto gelare la pioggia, l’aveva trasformat­a in fiocchi di neve leggeri che cadevano dal cielo come coriandoli stanchi. Lei e il nonno si erano incontrati alla bottega del latte e lui l’aveva baciata sulle labbra e poi l’aveva portata via su una bicicletta mezza rotta.

Mamma asciugò con il palmo della mano la lacrima che scivolava silente sulla sua guancia. Prese la collana e la mise tra le mani di nonna, lei per un breve istante la chiuse in un pugno.

«Gino» sussurrò piano.

‘‘ Aprimmo la scatolina seduti attorno al tavolo. Tremante, mamma estrasse dei piccoli bigliettin­i ripiegati e ingialliti dal tempo, e una collana con un ciondolo

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