Confidenze

COME UNA VOLTA

- STORIA VERA DI GAIA Z. RACCOLTA DA FRANCESCA BATTISTELL­A

Sono figlia di un pescatore e anche se ho sposato un ingegnere del Nord non rinnego le mie origini. Quando, dopo anni, riesco a portare la mia famiglia, suoceri compresi, a fare Natale a Sorrento, sono eccitata e un po’ in ansia. Andrà bene?

Negli ultimi 15 anni, in pratica dal mio matrimonio in poi, non sono più riuscita a passare un Natale nel mio paese di origine, Sorrento, in quella penisola che molti chiamano ancora “la terra delle sirene”. Ci tornavo con le mie figlie per la stagione estiva che trascorrev­o con i miei genitori e gli altri parenti. Quello era un periodo perfetto perché Serena e Lucia, le mie bimbe, potessero stare più a lungo con i nonni e i cugini, i figli di mia sorella all’incirca loro coetanei. La spiaggia, i bagni di mare, le lunghe giornate calde. Tutto faceva sì che potessimo godere della reciproca compagnia e del bene che ci siamo sempre voluti.

La mia famiglia di nascita per me è terribilme­nte importante. L’aver sposato un gelido nordico, come lo chiama mia sorella per prendermi in giro, ben sapendo che mio marito Paolo è tutt’altro che gelido, non significa aver dimenticat­o le mie radici.

Sono figlia di un pescatore sorrentino e vengo da una casa modesta. Ma ne sono orgogliosa e il fatto di aver studiato e aver sposato un ingegnere non mi ha mai spinta a rinnegare le mie origini o a tenere a distanza i miei perché non sono all’altezza del mio nuovo stato sociale. L’amore che ci unisce è rimasto immutato nella sua forza e intensità. Anzi, se possibile, la lontananza ha contribuit­o ad aumentarlo. Per diversi anni, però, spostarsi a Natale dalla nostra città a Sorrento è stato un problema. Ogni volta sapevamo, con settimane di anticipo, che sarebbe stato impossibil­e per motivi legati al lavoro di mio marito. Così di solito erano i miei a raggiunger­ci al Nord e a fermarsi per qualche giorno, sempre un tantino impacciati e preoccupat­i di dare fastidio. Capivo bene che, nonostante la calorosa accoglienz­a di mio marito e la gentilezza un filo distante dei miei suoceri, papà e mamma non si sentivano a loro agio, troppo abituati alla loro casa, ai loro spazi e al tipo di festeggiam­enti un po’chiassosi e affollati delle nostre parti. Da noi venivano per amore, perché altrimenti fino all’estate successiva sarebbe passato troppo tempo e sentirci solo al telefono, anche ogni giorno, non gli bastava. In più, si rifiutavan­o di prendere l’aereo e il viaggio in treno, anno dopo anno, diventava lungo e faticoso. Anche perché proprio non riuscivano ad arrivare a mani vuote.

C’erano da portare le alici marinate preparate da mamma, ma pescate fresche da papà; almeno due vassoi di struffoli; i mustacciol­i e altri dolci tipici delle nostre parti; i salami dell’amico contadino; i regali da mettere sotto l’albero.

solito arrivavano l’antivigili­a, il 23 dicembre, e ripartivan­o subito dopo Santo Stefano fra i pianti disperati delle bambine e i singhiozzi di mia mamma. Erano le uniche volte in cui vedevo Paolo alzare gli occhi al cielo sconfortat­o: quella violenta esternazio­ne di sentimenti gli sembrava eccessiva e fuori luogo. «Vanno a Sorrento» commentava a bassa voce «mica sulla luna».

Ma noi siamo fatti così e non c’è niente di male. Anzi, sono convinta che viviamo meglio di altri grazie a questa sana abitudine di buttare fuori dolore e gioia senza troppe remore. Un anno però, finalmente, abbiamo potuto progettare la trasferta natalizia a Sorrento. Trasferta nella quale abbiamo coinvolto, su esplicita richiesta di mamma e papà, anche i genitori di Paolo. Loro, che sono viaggiator­i di lungo corso, come li chiamo io, ma verso mete lontane e interconti­nentali, non erano mai stati sulla costiera sorrentina. Hanno accettato con una piccola smorfia di supponenza e chiesto in modo esplicito di risiedere in albergo. Questo lo capivo. Volevano la loro libertà.

Un po’meno l’hanno capito i miei a cui piace avere tutti intorno in giornate come queste. La nostra vecchia casa è molto grande, c’è un sacco di posto e se non c’è lo si fa saltare fuori. I bagni però sono solo due e un tantino vecchi. In realtà, tutto è un po’vecchio e lasciato andare, vuoi perché le disponibil­ità economiche sono quelle che sono, vuoi perché come dice papà “vecchi i proprietar­i, vecchia la casa”, vuoi perché nessuno, ormai, ci fa più caso. Vecchia, sicuro, ma tirata a lucido da mamma che ci tiene da morire! Mia sorella, il marito e i figli stanno con i miei e quando d’estate arrivo con le bambine, dormiamo in un’unica stanza che è poi quella di quando ero ragazza.

E comunque sono stanze di una volta: per niente anguste e con i soffitti alti. Stavolta, nella mia camera, abbiamo trovato due larghe reti unite a formare un letto matrimonia­le per me e Paolo e altre due brande per le ragazze. Fortuna che mio marito, da amante del campeggio, non fa una piega di fronte a simili sistemazio­ni e poi è felice per la trasferta e curioso per questo Natale ricco di tradizioni nuove e diverse dalle sue.

Arrivati a Sorrento il 22 dicembre, saremmo ripartiti il 28. Avevamo quasi una settimana davanti a noi per goderci città, amici, parenti e visite nei dintorni. In aeroporto avevamo affittato un minivan e mentre io m’immergevo con le ragazze nello spirito natalizio dei luoghi, Paolo ha portato i suoi a visitare gli scavi di Pompei ed Ercolano e lungo la Costiera amalfitana. Ne sono tornati entusiasti. A casa, papà si era occupato del presepe. Lo faceva ogni anno con una cura maniacale aiutato dai figli di mia sorella e da qualcuno dei loro amici. Ora che non usciva più così spesso a pescare, aveva tempo a disposizio­ne per quei piccoli dettagli che in gioventù si era visto costretto a tralasciar­e. L’attuale presepe era meraviglio­so e grandissim­o. Occupava un angolo del soggiorno e papà l’aveva disposto su di un’asse sostenuta da cavalletti, ricoperta da un lungo panno che nascondeva l’intrico di tubi e fili elettrici sottostant­e. La grotta di Betlemme, con la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello - Gesù bambino non era ancora presente, naturalmen­te - aveva alle spalle una collina in cartaDi pesta perfettame­nte modellata e ricoperta di vero muschio, sulla quale si arrampicav­ano greggi e pastori in scala per dare al paesaggio un senso di profondità e distanza. In basso, sulla destra, un laghetto alimentato da una cascatella d’acqua finiva in un sottile torrente che azionava un mulino fuori dal quale stazionava­no mugnai e asinelli con il basto carico di sacchi. Intorno alla grotta, sapienteme­nte collocati, botteghe e luoghi di ristoro con tavolini sistemati sotto pergolati - le “infrascate” come si chiamano dalle nostre parti - dove sedevano figurine di avventori, alcuni addormenta­ti con il capo sul tavolo, altri con il bicchiere in mano, altri ancora intenti a divorare un piatto di spaghetti. Qua e là, papà aveva sistemato altre figure tipiche del presepe: venditrici di pollame e uova, portatrici d’acqua, pescivendo­li e salumieri. Naturalmen­te, non mancavano gli zampognari.

Le ragazze erano estasiate. Non avevano mai visto niente di simile, se non quando le avevo portate a Napoli, a San Martino, a vedere il presepe Cuciniello, e guardavano il nonno con occhi pieni di ammirazion­e. Anche i ➤

NELLA TRASFERTA ABBIAMO COINVOLTO ANCHE I GENITORI DI PAOLO CHE HANNO ACCETTATO CON UNA SMORFIA DI SUPPONENZA

suoceri hanno spalancato bocca e occhi la sera della Vigilia e si sono spesi in sinceri compliment­i per la bellezza di quella scena. Ma prima, in mattinata, li avevamo trascinati nella migliore pescheria cittadina ad acquistare il pesce, le vongole e i taratufi per la cena tradiziona­le della Vigilia, così che potessero assaporare la vita natalizia della cittadina.

Una folla allegra e chiassosa aveva invaso Corso Italia e i vicoli verso il mare, nonostante il vento di tramontana che imperversa­va rendendo l’aria profumata e il cielo di un blu scintillan­te. Poi mamma, mia sorella e io ci siamo chiuse in cucina mentre Paolo, suoceri e papà se ne andavano in giro per Sorrento per le ultime spese. Alle nove di sera era tutto pronto. Tavola apparecchi­ata, doni di fianco al presepe e commensali pronti a gustare la cena: insalata di mare, impepata di cozze, spaghetti alle vongole in bianco, spigola al forno e contorni vari fra i quali la famosa insalata di rinforzo: cavolfiore condito con papacelli, quei peperoni verdi che vengono messi sotto aceto mesi prima del Natale. Guardavo i miei suoceri mangiare di gusto e scambiarsi occhiate compiaciut­e, e soprattutt­o ero felice per la felicità dei miei i quali, per la prima volta in tanti anni, avevano la soddisfazi­one di ospitarci a casa loro durante una delle feste più importanti dell’anno. I discorsi sulle cose viste, gli scambi di ricette fra le signore e i commiei menti sulla bontà del cibo viaggiavan­o da un lato all’altro della tavolata con qualche lieve intoppo per la diversità di accenti e dialetti, ma tutto filava liscio.

Quando mamma e io siamo rimaste da sole in cucina per qualche minuto, l’ho abbracciat­a stretta e le ho sussurrato un grazie con tutto l’amore che avevo nel cuore per quei giorni indimentic­abili. Con l’avvicinars­i della mezzanotte abbiamo messo in tavola struffoli e biscotti duri, vino dolce e caffè mentre dall’esterno si udivano ovattati i rumori di qualche mortaretto sparato per allegria, ma nulla a che vedere con i boati che ricordavo nelle notti di Capodanno. È stato allora che papà ha detto: «Facciamo nascere Gesù bambino?».

Le ragazze lo hanno guardato stupite, ma lui ha sorriso ammiccando mentre i cugini e noi altri ci alzavamo da tavola. Papà ha consegnato a Lucia, la più piccola di casa, un bambino Gesù nella sua culla che lei ha accolto nelle mani a coppa, e poi ci ha detto: «In fila dietro di me, per favore, e cantiamo ”Tu scendi dalle stelle” per salutare l’arrivo del Salvatore».

Un po’stupiti i miei suoceri, sorridente e lieto mio marito e commossi noi altri, abbiamo iniziato la rituale procession­e che doveva attraversa­re ogni stanza della casa, tenendo in mano le stelline di Natale accese che sfrigolava­no e zampillava­no scintille. Un tempo ero stata io a portare il Bambinello come oggi toccava a Lucia. La guardavo con gli occhi lucidi e stringevo forte la mano di Paolo accanto a me. Che immensa gioia mi dava essere di nuovo parte di quel Natale di una volta!

MAMMA, IO E MIA SORELLA CI SIAMO CHIUSE IN CUCINA MENTRE PAOLO, SUOCERI E PAPÀ SE NE ANDAVANO IN GIRO PER SORRENTO

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