ANNIBALE IL TACCHINO
Il mio fidanzato avrebbe preso parte al pranzo di Natale nella malga dei miei nonni. Loro non sapevano che lui era vegano, io già mi vedevo la tavola imbandita con carni di ogni tipo e temevo una baruffa…
Trascorrere la giornata di Natale (e se ci riuscivamo anche i giorni di vacanza seguenti) nella grande fattoria dei nonni materni, Olimpia e Callisto, rappresentava una tradizione consolidata importante. Tutta la tribù dei parenti attendeva compatta e trepidante quel giorno. Perché i nonni, aiutati da una nutrita schiera di laboriose zie e da tutto il vicinato, che per l’occasione riscopriva un indiscusso affiatamento, facevano le cose in grande.
C’erano sempre bellissime sorprese: profumati nonché insuperabili manicaretti, preparati rispettando rigorosamente antiche tradizioni culinarie, tramandate da generazioni e osservate alla lettera; giochi per gli ospiti di qualsiasi età; splendidi regali, frutto della squisita, innata creatività che le donne della nostra famiglia possiedono e custodiscono come un gioiello prezioso; canzoni, poesie, tombole. Generosità, accoglienza, condivisione e fantasia facevano il resto, completando un affresco armonioso.
Non ci si annoiava mai! Le ore passavano in un lampo. Naturalmente anche gli amici che noi nipoti portavamo senza esitazioni per completare il gruppo venivano accolti con sincero, contagioso entusiasmo. Non tutti avevano la nostra sfacciata fortuna: chi durante le festività respirava una certa tensione tra le mura domestiche, per via di contrasti che parevano accentuarsi anziché dissolversi grazie all’atmosfera natalizia, si rifugiava da Olimpia e Callistoappena possibile, chiedendo a gran voce asilo politico. Lì trovavano la tavola imbandita e il caminetto acceso, ascolto e affetto.
Quell’anno però, se avessi potuto confesso che avrei abolito il Natale che avevo sempre adorato con tutto il suo bagaglio di luci e colori. Ero davvero angosciata, dilaniata da sentimenti contrastanti. La mia ansia si aggravava col passare dei giorni. Da circa sei mesi frequentavo Aurelio, un coetaneo irresistibile conosciuto all’università, un giovanotto che studiava e lavorava con impegno come me. Era un grande amore, pienamente e gioiosamente corrisposto. Aurelio piaceva a tutti: genitori, nonni, fratelli. L’intero clan lo aveva accolto con immensa simpatia.
Ma custodivo nel mio cuore affranto un segreto davvero scomodo. Il mio innamorato e tutto il suo giro di congiunti e amici erano assolutamente vegani. Mentre noi in famiglia eravamo indiscutibilmente carnivori. Per Natale, i nonni si preparavano a piazzare nel forno Annibale, il tacchino più maestoso e appetitoso della malga, ingrassato senza risparmio per l’occasione. E nei giorni seguenti era prevedibile che un certo numero di conigli facessero una gran brutta fine, in base all’affluenza degli ospiti che si sarebbero avvicendati a pranzo e a cena durante le varie ricorrenze di fine anno. I maiali che razzolavano ignari nei prati non erano peraltro destinati a un futuro longevo e roseo.
Fino a quel momento, avevo compiuto delle autentiche acrobazie diplomatiche, ricorrendo a machiavelliche bugie di cui non mi credevo capace: ero riuscita a fare in modo che Aurelio e il mio parentado non si sedessero mai a tavola insieme. Quando mi recavo dai miei futuri suoceri, consumavo sorridendo senza fiatare i pasti vegani che mi propinavano.
Ma il Natale mi poneva con le spalle al muro. Callisto e Olimpia aspettavano il mio futuro sposo come ospite d’onore.
Erano dei veri romanticoni: sempre felici di sentirmi raccontare del colpo di fulmine che ci aveva uniti, estasiati quando narravo per l’ennesima volta della galeotta freccia di Cupido che ci aveva trafitti ambedue. Aurelio, atteso come un principe azzurro, sarebbe stato inevitabilmente circondato
Fino a quel momento ero riuscita a evitare che la mia dolce metà e il parentado fossero a tavola insieme
da cacciatori rei confessi, ansiosi di narrare le proprie imprese che diventavano via via più ardite dopo ogni brindisi e da gourmet che divoravano bestiole innocenti senza ripensamenti.
Sicuramente avrebbe reagito nel peggiore dei modi e il nostro vincolo rischiava di risultarne danneggiato in modo grave. Tutte le mie menzogne sarebbero state svelate di colpo.
Non sapevo cosa escogitare. Il calendario incalzava e non mi restò che confessare in lacrime al mio innamorato quella diversità che tanto pesava sul mio cuore e sul nostro futuro.
Aurelio mi ascoltò con attenzione. Poi mi abbracciò con tenerezza, cancellando con i suoi baci tutte le mie paure più inconfessabili. Era un uomo sensibile e intelligente: aveva dubitato qualcosa fin dall’inizio. Ma presto ci saremmo sposati e avremmo avuto una casa tutta nostra, in cui vivere secondo le convinzioni in cui credevamo entrambi.
In fondo, anch’io amavo molto gli animali e avevo sempre provato una segreta fitta nell’anima vedendoli giacere inerti nei piatti con gli occhietti chiusi per sempre, sia nella quotidianità spicciola che durante le feste. Studenti lavoratori entrambi, forti di qualche risparmio, ci accingevamo a creare un nostro nido nella roccia. Percorrendo sentieri di pace. Ma adesso bisognava assolutamente salvare Annibale e le altre creature. Il piano si concretizzò alla Vigilia, mentre i nonni e l’intera parentela, me compresa, partecipavano alla funzione religiosa di mezzanotte, sempre suggestiva, poetica e coinvolgente. Dopo, il parroco e le sue assistenti offrivano sempre un rinfresco e si tirava per le lunghe tra zampognari, leccornie e canti. In pratica, tutto il paese era riunito nel salone parrocchiale. Nel pomeriggio, attanagliata da innegabili rimorsi e dopo lunghe esitazioni, avevo consegnato furtivamente ad Aurelio e ai suoi amici attivisti copia delle chiavi della magione.
La mattina seguente era Natale e i nonni constatarono con raccapriccio che gabbie e stalle erano inesorabilmente vuote! Una vera tragedia.
Nonna Olimpia piangeva sconsolata sul divano e temevo che si sentisse male. Quando Aurelio e il suo gruppo di animalisti arrivarono: guidavano un furgone pieno di manicaretti vegani e vegetariani. Confessarono ai nonni il colpo commesso ai loro danni per salvare gli animali, che ora si trovavano al sicuro in una struttura idonea dove nessuno li avrebbe mai cucinati. Le cose non si svolsero subito pacificamente: ci furono furibondi battibecchi. Volò qualche ceffone. Poi, grazie all’intercessione del parroco, don Mario, che avevo coinvolto confessando il ruolo che avevo svolto in quell’azione un po’ estrema, le acque si calmarono. Gli animalisti promisero di indennizzare i nonni e di restituire pennuti e quadrupedi, a patto che nessuno progettasse più di metterli in pentola.
Si offrirono anche di aiutarli nei lavori campestri quotidiani.
Consumammo in armonia quel pranzo natalizio tanto insolito e inatteso, senza cadaveri. I porcelli avrebbero continuato a scorrazzare fino a tarda età. Annibale avrebbe continuato a imperare sulle sue mogli e i conigli avrebbero prolificato in santa pace. Nei giorni a seguire il dialogo si fece meno acceso e sofferto.
Attualmente, la grande azienda agricola degli antenati è una fattoria didattica vegana di prim’ordine, dove gli animali giungono felicemente alla vecchiaia, accuditi e rispettati. Anche l’agricoltura è biologica. Abbiamo detto no a pesticidi e dintorni. Annibale è diventato un patriarca: genitore, insieme alle sue compagne, di meravigliose generazioni di tacchini vivi e vegeti.
Anche Aurelio e io aspettiamo la cicogna! Callisto e Olimpia preparano già i festeggiamenti per l’arrivo del loro primo, attesissimo bisnipote.
Grazie all’intercessione del parroco, don Mario, che avevo coinvolto io, le acque si calmarono