L'OSPITE INATTESO
Quest'anno ho deciso di non tornare a casa dei miei per le feste, salterò il solito pranzo in famiglia, preferisco starmene qui da solo. La sera dell'antivigilia però una ragazza si presenta alla porta. È l'inizio di uno dei Natali più belli della mia vit
L’altro ieri, quando abbiamo fatto la consueta festicciola di fine anno, in dipartimento, alla terza birra, mi è proprio scappato: «Il Natale, che gran...».
Non finisco l’espressione, perché qualcuno si gira di scatto e mi guarda in modo strano, ma sono abile a biascicare qualcosa per tornare in carreggiata.
«Che gran giorno, finalmente, non vedo l’ora!».
Ciò non toglie che pensi tutt’altro, per la verità. Comunque non voglio essere frainteso, o passare per il Grinch di turno, quella creatura verde e irascibile che odia questa festa. Non detesto tutto, del Natale. Quello che non sopporto è tornare a casa.
Siamo una famiglia numerosa: oltre ai miei genitori, ci sono i miei due fratelli e mia sorella più piccola. Uno è medico e l’altro è avvocato, mentre l’altra, che vende corsi di non so cosa su internet, è la cocca di papà, e perciò, qualunque attività faccia, anche se non si capisce, va sempre benissimo. Io, che faccio il ricercatore di cose chimico-fisiche troppo complicate e noiose per essere spiegate in poche parole, fatico a ritrovarmi uno spazio nel circo che diventa la nostra famiglia quando, puntualmente, ci si ritrova ogni anno a casa dei miei per le feste. Non è che non voglia bene a tutti loro. È solo che preferisco incontrarli in separata sede, o a piccole dosi, uno per volta. Non per così tanti giorni di seguito, stipati tutti insieme. Quando succede, mi sembra di essere tornato adolescente, e non nel senso divertente del termine. Siamo troppo cresciuti per abitare tutti insieme, e finisce che si litiga per il bagno, si mal sopportano le abitudini degli altri, ci si punzecchia di continuo, e il pranzo di Natale, dove sbuca fuori tutta la famiglia allargata, zii e cuginetti, diventa un incubo. Per quanto il cibo sia buono, non riesco a gustarmelo. E nemmeno i discorsi, visto che non ho salvato vite, né impedito a casi umani di finire in galera, o posso mettermi a proporre prodotti con tanto di video divertenti e ammiccanti.
Non avendo nemmeno uno stipendio che mi permette di portare regali clamorosi per tutti, rimane solo una gran confusione di cui, per giunta, finisco addirittura ai margini.
Avessi almeno una fidanzata da
prsentare in famiglia… Ma non credo che sarebbe meglio, anzi. Abito in questa cittadina universitaria perché il Politecnico dove lavoro vi ha una piccola sede distaccata, con un laboratorio. Ci sono alcuni appartamenti che vengono messi a disposizione di noi ricercatori, sono comodi e tutto sommato si vive bene.
Visto che i miei due colleghicoinquilini tornano entrambi a casa, l’appartamento rimarrebbe libero. E, francamente, l’idea di passare il Natale da solo in tutta tranquillità, con una passeggiata, magari mangiando qualcosa di buono, guardandomi qualche serie tivù in tutta pace spaparanzato sul divano come non posso mai fare, mi piace tantissimo. Il problema è che i miei ci tengono molto a vedermi, e come faccio a dire di no? Devo trovare una scusa decente! Aguzzo un po’ l’ingegno e non ci metto molto: praticamente, con uno sproloquio tecnologico (facilissimo da creare e praticamente inattaccabile, se sai i paroloni giusti), mi invento che in laboratorio abbiamo iniziato un esperimento di lunga durata i cui macchinari vanno tarati quotidianamente da un tecnico, che sarei ovviamente io, festivi compresi. Ovviamente verrò pagato profumatamente per il disturbo (magari!), ma non si può fare altrimenti, e non ho potuto dire no perché sono l’unico ad avere le competenze necessarie. Non è stato facile dirlo ai miei, e ho dovuto mandare giù più di un groppo alla gola sentendo la delusione nelle loro voci, ma devo ammettere che appena riagganciato, la sensazione di sollievo è stata impagabile, di quelle che ti fanno capire immediatamente di aver preso la decisione giusta. Perciò, inizio a fare programmi. Non che possa fare cose di lusso, anche perché il mio budget è risicatissimo. Lo so, è brutto da dire, ma non potendo beneficiare di mance e mancette provenienti da genitori, zii e nonni, mi devo accontentare. Pazienza, va benissimo così.
Quasi non vedo l’ora.
È la sera dell’antivigilia, e invece di preparare la valigia, sono seduto sul divano a gambe incrociate, sfogliando il volantino del discount qua dietro. Salmone norvegese in offerta speciale?
Tortellini Vip?
Moscato 3x2?
Mentre già pregusto la spesa che andrò a fare l’indomani, da solo, con calma, probabilmente all’alba per evitare la confusione, sento la chiave della porta girare nella toppa, e scatto in piedi. Mi prende un colpo, chi può essere?
Non aspettavo nessuno, tantomeno qualcuno che avesse le chiavi. Mi si presenta davanti una ragazza con tanto di trolley grigio. Carina, per la verità. Non molto alta, occhi azzurri e capelli castani e spettinati che incorniciano uno sguardo a metà strada tra il sorpreso e l’imbarazzato. «Ho sbagliato appartamento, mi sa» dice sorridendo.
«Dipende da chi stavi cercando. E poi se hai le chiavi…». Poche altre parole e l’equivoco salta fuori. Mauro, il mio coinquilino, aveva detto a sua sorella Silvia, di ritorno dall’estero, che avrebbe potuto passare lì il Natale, visto che l’appartamento sarebbe stato libero. Solo che, ora che ci penso, non l’avevo avvisato della mia repentina decisione di rimanere qui. E ora?
Dal punto di vista pratico, non è certo un problema: nell’appartamento c’è spazio per tutti e due. Per il resto, perché lei è qui e non appunto con Mauro e la sua famiglia? Quali sono i suoi piani?
Per quanto non sia nella mia migliore mise, maglietta dei Pink Floyd, pantaloni della tuta da calcio, calzini e felpa col cappuccio oversize nera, cerco di rendermi presentabile sistemandomi un pochino i capelli con la mano e dandomi una rapida spruzzata di deodorante. Immagino anche sia affamata, o per lo meno, mi sembra un gesto carino, quindi organizzo un aperitivo di benvenuto al volo. Nella dispensa c’è rimasto mezzo sacchetto di patatine e un paio di bitter, nient’altro. Controllo che non sia tutto scaduto. Non lo è, per fortuna. Poco prima che inizi a farle qualche domanda sulla sua presenza qui, mi precede: «Come mai sei qui da solo? Non torni a casa per Natale?» va dritta al punto, io ci avrei girato più attorno.
«Veramente no, sai com’è…». E racconto anche a lei la storia dell’esperimento. In fondo, perché dire a una sconosciuta tutte le mie paturnie familiari? Ascolta, ma a tre quarti, scoppia a ridere.
«Senti. Conosco bene il vostro lavoro, Mauro me lo ha raccontato un sacco di volte. Un esperimento del genere non esiste, non siete nemmeno lontanamente attrezzati per fare roba così sofisticata. Io ho l’impressione che la verità sia un’altra». Deglutisco, ma cerco di mantenere un certo distacco.
«E quale sarebbe, secondo te?» le ribatto con sguardo di sfida. «Che tu stia cercando disperatamente di rimanertene qui da solo, per qualche ragione». Davanti a quel sorriso furbetto ➤
È CARINA, HA UNO SGUARDO A METÀ TRA IL SORPRESO E L'IMBARAZZATO, ORGANIZZO UN APERITIVO DI BENVENUTO AL VOLO
crollo e non posso fare altro che ammetterlo. Rispondo con un mezzo sorriso, alzando le braccia in segno di resa:
«Va bene, mi hai scoperto. Non ne vado certo fiero, ma… credimi, non sai cos’è, il Natale a casa dai miei».
Si piega in avanti appoggiando le braccia sulle ginocchia. «Bene, allora spiegamelo tu». E io, davanti a quello sguardo, non posso fare a meno di spiegarle com’è. Poi, però, aggiungo: «E tu, piuttosto? Come mai non torni a casa nemmeno tu? Mauro mi aveva accennato qualcosa sul fatto che non siete molto “tradizionali” per quanto riguarda le feste, ma non credo di aver capito bene». Non ho bisogno di farle altre domande perché esplode subito. «Eccome, se non siamo tradizionali! Sai che negli ultimi dieci anni, ne abbiamo passati forse un paio, di Natali a casa insieme?».
«Davvero?».
«Sì, e sono stati decisamente i meno entusiasmanti. Pranzi e cene ordinati velocemente al ristorante, e poi ciascuno a
«SAI CHE NEGLI ULTIMI DIECI ANNI, NE ABBIAMO PASSATI FORSE UN PAIO, DI NATALI A CASA INSIEME?» MI DICE. «DAVVERO?»
farsi gli affari propri come una domenica qualunque. Perlomeno, c’erano i regali, ma nemmeno sempre, visto che i miei sono abbastanza contro tutte queste cose consumistiche. Ma il bello è che io amerei festeggiare il Natale con loro, trascorrendo la mattina a preparare tutto, andando a scegliere gli ingredienti i giorni prima. Aprire tutti i doni sotto l’albero insieme, magari con la neve che cade fuori».
Per un attimo mi viene nostalgia dei nostri caotici pranzi di Natale, l’appartamento pieno, insomma, tutto quello che ho sempre detestato. Ma solo per un attimo.
«E tutte le altre volte?». «Sempre in giro per il mondo. O da qualche amico. Messico, Norvegia, Sri Lanka, i miei di conoscenze ne hanno parecchie. E da quando siamo diventati più grandi, ciascuno va dove vuole, senza che nessuno abbia granché da dire. Non hai idea delle telefonate e delle videochat che ci facciamo. È capitato più di una volta che uno abbia chiesto all’altro: ma dov’è che sei, ora?».
Silvia è riuscita, in dieci minuti, a smantellarmi qualsiasi idea convenzionale io abbia del Natale, ma per quanto il suo stile non sia decisamente il mio, c’è un’intrigante idea di libertà in tutto ciò. Che è proprio quello che mi va di fare quest’anno! «Quindi, visto che siamo qui, ci toccherà passare il Natale insieme» concludo.
«A quanto pare. A meno che tu non abbia intenzione di liberarmi il campo» dice ridendo. «Neanche per sogno. Per una volta che ho trovato un posto dove passarlo anch’io a modo mio. Quindi, che facciamo?». Ci pensa su un attimo, con espressione pensierosa, in cerca di una soluzione. Dovrebbe fare teatro, è così espressiva! Di colpo mi viene un’idea. «Senti, e se lo trascorressimo qui insieme? Ciascuno per contro proprio, o a suo modo, come preferisci. Un Natale diverso dal solito, anche se non ci conosciamo. Calze, pigiami, vestiti pure da elfo se vuoi, la musica che preferisci, cibo del discount, patatine, serie tivù e relax. Se proprio vuoi, c’è persino una console collegata alla tivù piena di giochi retrò, opera di Matteo, l’altro nostro coinquilino».
«L’idea è talmente strana che potrebbe piacermi. Un altro modo di festeggiare da aggiungere alla lista».
«Guarda, proprio prima che tu arrivassi stavo guardando il volantino del supermercato». «Di solito non andiamo mai a fare shopping. Anche questa sarà una cosa diversa».
La mattina dopo, di buon’ora, siamo lì tutti e due a riempire il carrello, nel regno del carbonato acido di sodio, del cioccolato iperdolce e delle decorazioni superkitsch. «Guarda questi pandori con tripla crema. Me li prenderei tutti. Se penso a cosa direbbero i miei».
«E questo Christmas mix? A solo un euro? Perché no?». «Da bambini, queste cose non ce le avrebbe mai comprate nessuno, vero?».
«Siamo adulti, ora, direi che possiamo permettercele. Senza esagerare, ovviamente. Nessuno vuole stare male a Natale». «No, ovviamente. Guarda, non c’è solo il cibo. Pure le calze antiscivolo natalizie. Con gli alberi, le stelline e l’omino di pan di zenzero. Offerta 2 x 1».
«Se le metto, finisce che non me le tolgo più per due giorni. Ti scoccia?».
«E perché dovrebbe scocciarmi? Non ci sono regole, nel nostro Natale».
Ed eccoci qui rigorosamente in tuta, davanti alla tavola imbandita piena di pacchi e pacchetti e confezioni dai colori sgargianti, nemmeno nei sogni più strani che avevamo fatto da bambini.
«La cosa paradossale è che trovo tutto buono, tu?» mi dice, anche se sembra un pochino malinconica.
«A volte dicono che la bontà di un pranzo dipende dai commensali, più che dalle pietanze», ribatto. Caspita, deve proprio piacermi questo Natale! «Non è che magari dipende da entrambe le cose?».
«Può essere. O anche dall’atmosfera, o da una strana combinazione di cose. Guarda queavere sto: “Insaporitore natalizio. Per dare un tocco di magia speziata ai piatti delle tue feste”. Ne va giù un sacco, sembra che nevichi. Guarda». Ne verso una micro-manciata dal contenitore sulla mano e la lancio in aria. Sono granelli e foglioline leggere che ricadono su di noi, sulla tavola e su quello che c’è sopra come se stesse nevicando, come si intravede nella luce del lampadario basso.
Silvia ride, guarda affascinata e fa: «Sei matto! A casa mi avrebbero linciato, per uno spreco del genere».
«Non è uno spreco. Guarda come ti ha fatto sorridere». Penso quanto mi piacerebbe, una famiglia così. Che fa tutto quello che fanno le famiglie per bene al contrario. A un certo punto mi rendo conto che una delle poche cose sane che avevamo comprato erano le patate da fare al forno. Ma nessuno di noi due ne aveva avuto voglia. Mi alzo e vado a metterle via, poi prendo il mazzo di rosmarino che abbiamo rubato dall’orto del custode. Lo sollevo e glielo sventolo sopra la testa. «E adesso che ci facciamo con questo?».
Lei lo osserva: «Facciamo finta che sia il vischio natalizio?». «Per me va benissimo» sto per ritirare giù il braccio, quando mi accorgo che lei delicatamente me lo rialza con la mano. Non capisco, non voleva fare il finto vischio da appendere sulla porta, perché vuole che… Di colpo, realizzo. Però voglio esserne sicuro.
«Dobbiamo rispettare tutte tutte, le tradizioni legate al vischio?» la guardo negli occhi. Annuisce mentre il suo viso si avvicina al mio. Chiudiamo gli occhi. Le nostre labbra si sfiorano. Mi sorprendo a pensare, come uno scemo, che sarebbe perfetta da portare con me dai miei il prossimo Natale. Ma forse sto correndo troppo. Si stacca da me e subito mi dice: «Sai che pensavo?». «No» le sussurro mentre sto per baciarla di nuovo.
«Saresti la compagnia perfetta anche per il prossimo Natale. Vogliamo già darci appuntamento? Non ti lascio scappare». «Se è per questo, nemmeno io». Ci stringiamo di nuovo, lei profuma di rosmarino, spezie a basso costo e di qualcosa di nuovo e bellissimo che sta accadendo in uno dei Natali più belli della mia vita.
NON CI SONO REGOLE, OGNUNO MANGIA CIÒ CHE VUOLE VESTITO COME GLI PARE, È STRANO MA TROVO TUTTO BUONO