Confidenze

UN AMORE OLTRE IL TEMPO

Che strano oggetto smarrito è il cuore, resta silente per anni e poi si risveglia all'improvviso. È successo così tra me e Alessio, complici una lanterna e una cartolina misteriosa, testimoni di una speranza che non si deve spegnere mai

- STORIA VERA DI ELISABETTA T. RACCOLTA DA SILVIA CASINI

Tuduum. Tuduum. Tuduum. I battiti sono impazziti. Tuduum. Tuduum. Tuduum. Mi chiamo Elisabetta, Betty per gli amici. Ma è da un pezzo che non li ho più. Ho cambiato tutto: città, lavoro, cerchia sociale. Mi guardo allo specchio. Un’ultima passata di rossetto ed esco di casa. Tuduum. Tuduum. Tuduum. Stavo cercando un anello in fondo al cassetto e mi è saltata fuori una fotografia che chissà per quale motivo era riuscita a sottrarsi alla mia furia. Ero convinta di aver fatto a pezzi tutti i nostri scatti. E quando dico “nostri”, mi riferisco a Christian e alla sottoscrit­ta. Chi è Christian? Il mio fidanzato storico, colui che aveva giurato e spergiurat­o di amarmi. E invece… per un anno intero ha avuto una relazione segreta con mia cugina. Alla fine, l’ho scoperto. Ha confessato tutto e ovviamente l’ho lasciato.

Tuduum. Tuduum. Tuduum.

No, dico… mia cugina!

Tuduum. Tuduum. Tuduum.

Che rabbia! Mi devo calmare. Inspiro ed espiro. Faccio retromarci­a, infilo la chiave nella toppa della porta, prendo le forbici e straccio l’ultimo scampolo del mio passato. La foto è a terra, spezzettat­a in mille coriandoli.

Tuduum. Tuduum. Tuduum.

Emetto un sospiro di sollievo ed esco di casa soddisfatt­a.

Tuduum. Tuduum. Tuduum.

Non mi interessa più pensare a Christian e a Martina. Li ho messi nel dimenticat­oio.

Tuduum. Tuduum. Tuduum.

Sto in auto. Fa freddo. È dicembre inoltrato. Sto andando in un piccolo borgo del Lazio. Devo scrivere un articolo per una rivista.

Lavoro da freelance e viaggiare mi piace tantisbell­ezze simo. Mi offre l’opportunit­à di scorgere inconsuete.

MI GUARDO ALLO SPECCHIO, UN’ULTIMA PASSATA DI ROSSETTO E VIA, ESCO DI CASA

Tuduum. Tuduum. Tuduum.

Il cuore si sta calmando. Lo sento. Sto meglio. Forse perché dopo un’ora di auto i pensieri si sono azzerati grazie al ritmo della musica che ho ascoltato in radio.

Tuduum. Tuduum.

Sto per entrare nel cuore del borgo. Parcheggio e mi incammino a piedi in questo bellissimo luogo. Scatto diverse foto, rapita dalla natura incontamin­ata, dagli affascinan­ti sentieri che si inerpicano tra fitti boschi di querce ed elci. È un posto pieno di pace.

Tuduum.

Il santuario è incastonat­o nella nuda roccia e merita una sosta. Non lontano, scovo un caffè con un’insegna di legno.

Tuduum.

Apro la porta. Ordino un cappuccino e mi siedo in un angolo e tiro fuori il taccuino degli appunti. Sono soddisfatt­a di quanto ho scritto e ho visto.Alzo lo sguardo e incrocio gli occhi del tizio che è dietro al bancone. Occhi neri come la notte. Capelli castani. E un sorrisetto malandrino a fior di labbra.

«Turista?» mi chiede.

«Sto realizzand­o un articolo per una rivista di viaggi» gli rispondo in tono cortese.

«Che bello! Spero tu abbia aguzzato la vista in giro. È un borgo piccolo, ma nasconde parecchi segreti» si lascia sfuggire.

«Tipo?» gli chiedo incuriosit­a.

«Vedi qui?» mi dice piazzandom­i davanti una mappa del borgo, «in cima al monte, c’è una sorgente d’acqua nascosta, particolar­mente ambita per la sua purezza».

«Non ho nessuna intenzione di sfacchinar­e fin lassù» ammetto. Lui ride. «Hai ragione, è una faticaccia» commenta. «Comunque, io sono Alessio. Sono il proprietar­io del bar».

«Piacere di conoscerti. Io sono Elisabetta, ma tutti mi chiamano Betty. Puoi farlo anche tu». Appena glielo dico, mi strizza l’occhio e sparisce dalla mia vista andando nel retrobotte­ga.Tempo un minuto e ritorna con qualcosa in mano che a prima vista non riesco a decifrare.

«A proposito di segreti, un mese fa, quando ho rilevato questo posto», mi dice sedendosi di fronte a me. «Una persona saggia del luogo mi ha consigliat­o di renderlo magico a modo mio, non solo per attirare i turisti, ma soprattutt­o per dargli un’identità. Ecco perché ho deciso di puntare tutto sui blooming tea. Hai mai visto un tè sbocciare in teiera?» mi sorride.

«No, ma ammetto che sono curiosa» gli rispondo mentre osservo i gesti che compie con le sue mani.

«Bene, oggi osserverai lo spettacolo dei fiori che si aprono in infusione» mi dice mentre afferra una teiera di vetro. Poi prende un bollitore, posiziona un fiore di tè sul fondo della teiera e infine ci versa sopra l’acqua calda. «Attendi fino a che il fiore non si sarà completame­nte aperto e guarda la meraviglia delle foglie che lentamente si schiudono, rivelando i petali colorati fluttuanti nell’acqua» mi spiega. «Quello che berrai tra poco è un Hope Sun, un delicato blooming tea ai fiori di calendula» aggiunge.

«SONO QUI PER UNA RIVISTA DI VIAGGI» GLI SPIEGO. «QUESTO POSTO È PIENO DI SEGRETI» DICE LUI

Fisso la teiera trasparent­e. Schiudendo­si in acqua, le foglie rivelano il fiore nascosto al loro interno, che sboccia come un piccolo sole dorato in tutta la sua bellezza. Il colore giallo vibrante è un puro piacere per gli occhi e il suo lento aprirsi è davvero stupefacen­te. Il profumo è lievemente balsamico, con una piacevole nota floreale. «Wow è una bellissima magia» gli confesso felice. Dopo circa cinque minuti, mi serve il tè, di colore oro pallido, con riflessi rosati. «Stai per bere un tè realizzato a mano nella provincia del Fujian».

«Davvero?» gli chiedo colpita.

Alessio annuisce. «Il fiore dorato di calendula proviene dal sud della Cina ed elimina le tossine, nutre il fegato, migliora la vista, aiuta la rigenerazi­one della pelle e favorisce una migliore digestione» mi informa.

«Però… allora ne ordino una mezza dozzina» gli dico ironica.

Lui mi sorride. «La tradizione dei blooming tea risale alla dinastia Tang. Le foglie di tè bianco Da Bai Hao vengono legate a mano con fiori di calendula. Sono vere e proprie composizio­ni artigianal­i che una volta immerse nell’acqua regalano uno spettacolo bellissimo».

«Sì, hai ragione» commento. «Grazie per questa piccola magia. Ne avevo proprio bisogno» mi lascio scappare e poi mi fiondo ad assaggiare il ➤

tè. Il gusto è gentile, morbido, caratteriz­zato da note che richiamano i fiori di campo e la dolcezza delicata del miele di acacia. «Figurati, è un piacere» mi dice dirigendos­i di nuovo nel retrobotte­ga. «Ho della merce da sistemare. Gustati il tuo tè in santa pace. Ho parlato fin troppo» mi strizza l’occhio e scompare dalla mia vista. A piccoli sorsi bevo tutto il tè. Lo assaporo lentamente come fosse un sidro divino. Dopodiché, con un sorriso a fior di labbra, mi alzo e gironzolo un po’ per il locale, arredato con oggetti dal sapore vintage. Non è grandissim­o, ma lo spazio a disposizio­ne è sfruttato al meglio, e la sensazione che si ha appena si entra è di accoglienz­a e calore. Gli arredi sono tutti in legno e sparsi qua e là sono presenti diversi oggetti stravagant­i che rendono l’ambiente originale. L’atmosfera è rustica, ma avvolgente, con luci basse e soffuse. Mi avvicino a osservare un dipinto su una parete e inavvertit­amente urto qualcosa. Con una manovra maldestra, mi giro scomposta e riesco ad afferrare al volo l’oggetto misterioso che scopro essere una lanterna una volta che ce l’ho tra le mani. «Per fortuna è salva» dico ad Alessio che si è appena palesato davanti ai miei occhi con un sorrisetto beffardo per via della mia goffaggine.

«Sai…» mi dice. «Facevo l’avvocato. Ho cambiato vita e sono venuto qui. Quando ho deciso di ristruttur­are il locale, sono andato a caccia di cimeli per arredarlo… Fin quando non è passato l’uragano Betty» ironizza.

Scoppio a ridere e mentre sto per rimettere a posto la lanterna sulla mensola, sento qualcosa di strano.

«Posso?» gli chiedo e dopo il suo assenso, la scuoto un po’. «Senti?» gli dico passandogl­iela in mano. Alessio accosta l’orecchio alla lanterna e anche lui conviene sul fatto che dentro c’è qualcosa. Qualcosa di inusuale. «Il rumore non è quello di una batteria» asserisce, poi apre un cassetto e con un paio di attrezzi smonta la lanterna. «Wow!» esulto nel vedere una cartolina datata 1943. «Affascinan­te, questo sì che è un segreto ben custodito» continuo entusiasta.Tra le mani mi giro e mi rigiro la cartolina ingiallita dal tempo. Il foglio di carta è letteralme­nte sbrindella­to, ma con tanta pazienza Alessio riesce bene o male a ricomporlo. Riporta le parole di un ragazzo alla sua amata.

«Non sei curioso di risolvere questo mistero?» gli chiedo.

«Non fraintende­rmi, sono curiosissi­mo, ma non ho tanto tempo da dedicarci» mi confessa.

«Ho una proposta da farti» oso. «La calligrafi­a è sbilenca. Le parole impresse con l’inchiostro non sono del tutto leggibili, ma voglio provarci».

Alessio mi guarda incuriosit­o.

«Mi occuperò della cartolina, andrò alla ricerca di informazio­ni in modo tale tu possa concentrar­ti sul lavoro qui al locale. Ci terremmo costanteme­nte in contatto».

«Accetto» mi risponde subito di getto. «Anche se degli sconosciut­i di solito non mi fido mai, voglio fare questo azzardo».

Gli sorrido e mentre tasto ancora la cartolina che ho in mano, abbasso lo sguardo per osservarla meglio. Sulla carta giallognol­a vedo una data e un timbro. A chi appartenev­a quella lanterna? Perché è arrivata fino a qui? Mi scoppia il cervello per le troppe domande. E così con un pizzico di ingenuità e brio inizia un vero e proprio viaggio nel tempo, che affronto con uno spirito investigat­ivo senza precedenti.

Come promesso, durante tutto questo processo di recupero delle informazio­ni, non ho fatto altro che aggiornare Alessio con chiamate o vocali via WhatsApp. Passate diverse settimane, sono riuscita a scoprire che la lanterna era di foggia inglese e che era stata rinvenuta sulle sponde di un fiume, in un tratto che costeggiav­a una strada molto trafficata.

Dopo mille congetture, sono giunta alla conclusion­e che dalla vecchia tradotta, dove alcuni soldati vennero portati nei campi di internamen­to del nord, la lanterna venne gettata da un treno. Il soldato che aveva scritto la cartolina aveva una calligrafi­a spigolosa, che lasciava intraveder­e la fretta con cui l’aveva redatta, ma anche il suo amore per la sua amata.

«Il soldato innamorato e imprigiona­to, nei momenti più difficili si consolava pensando agli affetti più cari» dico ad Alessio in una delle mie tante chiamate.

È indubbio che a forza di sentirci, in tutto questo tempo, siamo diventati amici o forse qualcosa di più. Non so ancora dare un nome a ciò che sento. So solo che confidarmi con lui sul mio passato non è stato semplice, ma intuisco che posso fidarmi. Tra l’altro, è molto premuroso nei miei riguardi. Spesso mi telefona o mi invia messaggi solo per sapere come sto al di là della pazza ricerca che sto conducendo. La scoperta della verità è diventata quasi una scusa che entrambi usiamo solo per sentirci. Che strano “oggetto smarrito” che è il cuore… resta silente per anni e poi all’improvviso scoppia di gioia. Basta una voce, un dettaglio, un niente. D’altronde non è così che lo straordina­rio irrompe nell’ordinario? E a furia di aggiorname­nti e informazio­ni reperite sulla lanterna, Alessio mi ha rivelato di essere divorziato, di non avere figli e di aver preso il bar proprio per dare un taglio netto con la sua vita precedente. Con l’ex moglie non è né in cattivi rapporti, né in buoni. È in un territorio di mezzo, neutro. Hanno deciso di comune accordo di vivere separati e in armonia. Non erano anime affini. È passato un anno dal loro divorzio e al di là di alcuni flirt di poco conto, mi ha confessato di non aver mai incontrato il vero amore. Quanto lo capisco! Solo che c’è un feeling innegabile tra noi. Un sentimento che sento divenire sempre

A FORZA DI SENTIRCI PER LE MIE RICERCHE SIAMO DIVENTATI AMICI O FORSE QUALCOSA DI PIÙ. NON SO ANCORA DARE UN NOME A CIÒ CHE SENTO

più forte e profondo, ma non voglio farmi trasportar­e da qualcosa che forse avverto solo io. Motivo per cui ultimament­e mi sto concentran­do parecchio sul mistero della lanterna. Rintraccia­re i parenti dell’autore della cartolina è impossibil­e. Ma ho preso appuntamen­to con un collezioni­sta di cimeli storico-militari risalenti al periodo tra il 1848 e il 1946.

Una volta arrivata nello studio del collezioni­sta, gli spiego tutto per filo e per segno.

«Ai soldati internati nei campi di detenzione veniva imposto di inviare cartoline alle famiglie per comunicare che stavano bene, nonostante stessero passando le pene dell’Inferno» mi dice dopo avergli narrato il mio intero processo investigat­ivo. «Avrà inserito la cartolina nella lanterna, perché la speranza non doveva spengersi. Doveva restare accesa per illuminare il suo futuro, proprio come quella lanterna».

Mi alzo di scatto dalla sedia. Bingo! Ha ragione. Lo ringrazio, perché sinceramen­te non ci sarei mai arrivata a questa metafora. Non vedo l’ora di dirlo ad

Alessio. Sto per prendere il telefono, quando mi rendo conto di volerlo rivedere dal vivo. Salgo in auto, lo chiamo carica di entusiasmo. Non risponde, gli lascio un messaggio vocale su WhatsApp. Guido tutta gongolante e quando finalmente arrivo al bar, vedo Alessio al bancone. Ordino un espresso e vuoto il sacco. «Che storia pazzesca. Grazie!», mi dice commossbil­ancia so, ma non si più di tanto nei miei confronti e io faccio lo stesso, nonostante questo sia un addio. Dentro al mio cuore al galoppo sto vivendo una lotta impari. È per questo che con una scusa lo saluto e lascio di corsa il locale. Mentre torno a casa ripenso a tutto questo viaggio: anch’io voglio un amore che sia luce, faro, speranza. E mentre sto per entrare nel mio appartamen­to, sento la vibrazione del cellulare. Lo tiro fuori dalla borsa e leggo il messaggio di Alessio: “Sei riuscita a sollevare il velo del tempo, a tuffarti in altri tempi, altre vite. E il filo invisibile del destino, che lega e riannoda tutto, ci ha fatto incontrare. Qualunque sia la tua meta, puoi sempre sostare qui… nel cuore del mio locale”.

Sorrido. Mi piace la delicatezz­a che usa, le parole che sceglie. Poso il cellulare sul comodino, apro la finestra e osservo la luna gigantesca nel cielo. Sospiro. Rispondo ad Alessio, perché so benissimo che è arrivato il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo:“Verrò a trovarti presto”. D’altronde “a domani” la migliore delle promesse. Richiudo la finestra con la gioia in petto, perché so che in fondo, non c’è niente di meglio che avere il coraggio di correre il più grande dei rischi. Il rischio di essere felice.

ANCH’IO VOGLIO UN AMORE CHE SIA FARO, LUCE, SPERANZA. È ARRIVATO IL MOMENTO DI GETTARE IL CUORE OLTRE L'OSTACOLO

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