Confidenze

IL FUTURO È ROSA

Sono una mamma single con una bambina e Giada mi ha sempre dato una mano, a volte tenendo mia figlia in negozio o con altre piccole attenzioni. Perché non le ho mai fatto capire quanto è importante per noi? Ora mi viene un’idea…

- STORIA VERA DI ANNA G. RACCOLTA DA DANIELA AGOSTINONE

L’alba s’è accesa in silenzio, quello stesso silenzio che ci abita quando siamo soli con noi stessi. Ha sfumato di rosa il nero delle montagne, rivelando i giardini addormenta­ti nella brina, davanti alla mia finestra. Mi ha svegliata con una consapevol­ezza limpida come questo cielo d’inverno, con un proposito che mi riempie d’entusiasmo e che non vedo l’ora di mettere in atto. Apro l’armadio, tiro fuori il lungo sacchetto di carta rossa, attenta a non svegliare mia figlia. Da quando Gianni è venuto a mancare, lei dorme con me, nell’unica camera del monolocale in cui ci siamo dovute trasferire. L’ho cresciuta io, dall’età di quattro anni, unicamente col mio lavoro di segretaria. Sette anni di sacrifici e rinunce.

E in questa confezione c’è un premio per me, un regalo che mi sono concessa per la prima volta dopo tanto tempo.

Mi sposto in cucina, metto su un caffè e poi sbircio nel sacchetto che ho adagiato sul tavolo: un paio di guanti neri in pelle, di quelli che restano attillati alle dita, come nei film d’epoca delle grandi attrici americane, alla Audrey Hepburn per esempio; una sciarpa in lana mohair, di un rosa pastello illuminato da sottili fili d’argento, proprio come quest’alba. Infine, un cardigan a manica larga dello stesso colore, lungo fino ai fianchi, in grado d’impreziosi­re qualunque tipo d’abbigliame­nto.

Li desideravo da tempo. Ho risparmiat­o gli spiccioli del caffè al bar, ho rinunciato a qualche pizza con le amiche, al costume nuovo, a un paio di scarpe in più. Li ho immaginati addosso a me per la festa aziendale di fine anno, alla recita della scuola media, al colloquio per quel posto di segretaria nella principale clinica privata di questa città e ora, in questa luminosa alba invernale, mi è improvvisa­mente chiaro che non li voglio più.

Conosco qualcuno a cui vale la pena regalarli. Una donna che, con quel tocco di rosa addosso, in contrasto coi suoi riccioli neri, farebbe un figurone. So poco di lei, ma la vedo quasi ogni giorno: Giada è una giovane donna dagli occhi tristi e dal sorriso dolce. Ci siamo intese subito, fin dalla prima volta che sono entrata nella macelleria dove lavora. Ero nuova in città, con una figlia a carico e i genitori lontani, mi sentivo persa.

Quella sera, dopo il lavoro, ero andata in negozio per la prima volta, verso l’ora di chiusura. Avevo bisogno del latte, che da lei si poteva acquistare solo in confezioni da sei. Io al momento non avevo abbastanza soldi, così, vedendomi affranta, ha fatto un’eccezione per me aprendone una.

Giada mi ha riservato da subito un’attenzione sincera e quando, dopo un po’ di tempo, ha intuito che non era vero che non mi piaceva la carne, ma che ne compravo solo porzioni per la mia bambina perché non potevo permetterm­ela, ha cominciato a vendermi del fegato “in offerta” o a regalarmi qualche etto di macinato in più, una coscia di pollo per il brodo o una fettina dal taglio “sfilacciat­o”. Ogni qualvolta tornavo nervosa dall’ufficio perché il capo mi aveva caricata di lavoro straordina­rio, trafelata prima della chiusura della macelleria, lei mi stava pazienteme­nte a sentire e

So poco di lei, ma la vedo ogni giorno nella macelleria dove lavora, ha gli occhi tristi e il sorriso dolce

«Non sono abituata a ricevere regali» dice arrossendo. L’abbraccio e le dico che da oggi non è più sola

cercava di tirarmi su con partecipaz­ione. Mi offriva le caramelle al limone che teneva sul banco e di tanto in tanto mi nascondeva nell’incarto della spesa delle polpettine per Gloria. Nonostante fosse tardi, non mi metteva mai fretta. «Faccia pure con comodo» mi rassicurav­a «tanto a casa non ho nessuno che mi aspetta».

Quasi subito siamo passate a darci del tu. «Non riesco a tornare in tempo per andare a prendere Gloria a scuola, domani, e la baby sitter non può venire in anticipo, non so come fare». «Potrei andarci io. La porto in negozio con me, tanto ho la pausa pranzo. Ci mangiamo un panino insieme intanto che la baby sitter arriva». «Giada, davvero faresti questo per me?».

«Ma figurati, tanto io ho due ore libere, lo sai. E poi non ho nessuno a cui rendere conto». “Com’è che non mi sono resa conto finora di quanto Giada sia preziosa?” mi domando mentre m’infilo sotto la doccia. E com’è che non mi sono mai soffermata sui suoi scarponcin­i consumati, sugli occhiali fuori moda, sulle maniche troppo corte delle sue maglie? Mi sono sempre lamentata con lei dei miei orari assurdi in ufficio e non ho mai preso in consideraz­ione che lei si porta un panino in negozio perché non farebbe in tempo a tornare a casa con i mezzi pubblici per pranzo. Come mai non possiede un’automobile? E soprattutt­o perché non c’è mai nessuno che l’aspetta?

Finalmente, quando sono le 8.30, mi chino sul letto della mia piccola, ancora addormenta­ta, e l’avviso che mi assenterò per una mezz’ora. Prendo il mio sacchetto dalla cucina e mi avvio verso la macelleria.

Eccola Giada, sta lucidando i vetri del bancone con indosso il suo grembiule rosso. «Buongiorno Anna» mi sorride.

È sola per fortuna, non c’è nemmeno il titolare. Noto le sue mani screpolate, un bel paio di guanti potrà esserle utile. Mi faccio coraggio, la invito a passare dalla mia parte poi, con voce emozionata, le dico: «Questo è per te». Le porgo il regalo. «Per ringraziar­ti di esserci».

Le guance di Giada diventano color porpora. Quando apre la busta scoppia a piangere. «Non sono abituata a ricevere regali e questo era totalmente inaspettat­o» si giustifica. «Sono sola e non posso credere che tu abbia pensato a me…» quasi balbetta. L’abbraccio. «Perdonami Giada, sono un’egoista, sempre presa dai miei problemi, venivo qua a lamentarmi e a cercare conforto e non ti ho mai chiesto niente di te».

«Sì be’, non c’è molto da dire. Ho 32 anni, i miei genitori sono morti quattro anni fa a poca distanza l’uno dall’altra, lasciandom­i piena di debiti e con un mutuo da estinguere, ho passato la mia gioventù ad assistere mia mamma malata di cancro e ora… eccomi qua, completame­nte sola. Senza sorelle né fratelli e nessun parente nel raggio di 500 chilometri».

«Da oggi non sei più sola. Hai me e Gloria» faccio in tempo a dirle, prima che la porta si apra ed entri la sua prima cliente.

Giada cerca di nascondere la commozione all’anziana signora, voltandole le spalle.

«Un attimo e sono da lei» si affretta a dire, prima di sparire dietro la tendina di bambù che dà sul retro del locale.

Ne approfitto per prendere dalla borsa il mio blocchetto e una penna e, mentre la cliente scruta salsicce e cotolette oltre il vetro del bancone, improvviso un invito a pranzo per Giada. Domani è domenica, avremo tutto il tempo per chiacchier­are e conoscerci meglio e per fare una passeggiat­a insieme alla mia Gloria. Anzi, mia figlia sarà proprio contenta di averla con noi e sono sicura che le chiederà anche di aiutarla a completare quel puzzle dei gatti che io non ho mai la pazienza di fare!

Me lo sentivo che era la cosa giusta, me l’ha suggerito il mio cuore, pieno di gratitudin­e. La gratitudin­e è un percorso circolare, una sorgente che alimenta se stessa, all’infinito, come le acque di un fiume con il suo mare e stamane ha le tinte rosa di un’alba piena di futuro.

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