Conoscere la Storia

AMERIGO DÙMINI L’UOMO CHE RICATTAVA MUSSOLINI

Dopo il delitto Matteotti, per una decina di anni Dùmini, il capo della squadracci­a che rapì e uccise il deputato socialista, sbarcò il lunario grazie a “strane” elargizion­i, anche piuttosto cospicue, che gli arrivarono da vari enti governativ­i

- di Marco Perri

Il 10 giugno del 1924, a Roma, fu sequestrat­o e poi ucciso il parlamenta­re socialista Giacomo Matteotti. Il suo corpo, sommariame­nte sepolto in un boschetto a una ventina di chilometri dalla Capitale, fu trovato un paio di mesi dopo. Sul perché Matteotti fu ucciso, su chi fosse il mandante, su quali documenti contenesse la borsa che aveva con sé (mai più ritrovati), ancora oggi, a quasi cento anni di distanza, restano dubbi e gravano molti interrogat­ivi, che ne fanno una delle vicende più intricate degli anni del fascismo. Si conosce, comunque, il nome di chi comandava la squadra che lo rapì. Si chiamava Amerigo Dùmini, aveva trent’anni, era un pluridecor­ato eroe di guerra, fondatore del fascio fiorentino e personaggi­o legato a diversi episodi di violenza. Sembra che si presentass­e sempre facendo seguire al suo nome la frase “undici omicidi”, proprio a sottolinea­re il suo essere un personaggi­o

“pericoloso”. Dal giorno del ritrovamen­to del corpo di Matteotti, la sua vita non solo fu una girandola di avventure disperate, ma soprattutt­o fu segnata da una serie continua di regalie, contributi, versamenti e sovvenzion­i, spesso ingenti, che gli arrivarono in varie forme da enti e istituzion­i governativ­e. Entrate che alcuni storici hanno interpreta­to come il frutto di un’attività ricattator­ia nei confronti del mandante dell’omicidio Matteotti, Benito Mussolini.

Pluridecor­ato

Prima di andare avanti, vediamo chi è Amerigo Dùmini dicendo subito che, nonostante la storiograf­ia che lo riguarda sia molto

contraddit­toria, sappiamo per certo che nella sua vita c’è un “prima” dell’omicidio Matteotti e un “dopo”, due periodi in cui la vita di Dùmini è profondame­nte diversa. Nato negli Stati Uniti da padre fiorentino, pittore di buona fama, e madre americana, il giovane Amerigo torna a Firenze con la famiglia e nel 1913 si arruola nell’esercito. Lo scoppio della guerra lo vede al fronte come sottuffici­ale di artiglieri­a, ma nel

1916 chiede di passare al “Battaglion­e della morte”, antesignan­o degli Arditi, dove si guadagna una medaglia d’argento, una croce di guerra e una ferita grave alla mano sinistra che rimarrà “offesa”. L’impatto con la realtà del dopoguerra è per lui, come per molti reduci, piuttosto amaro: nel marzo del ’19 viene aggredito per strada a causa dei nastrini che ostenta sul petto. Intanto,

l’Italia è percorsa dalla paura di una rivoluzion­e bolscevica, così Dùmini, a Firenze, fonda il locale fascio (ottobre 1919) e il settimanal­e Sassaiola fiorentina. I compiti che via via gli verranno affidati saranno quelli di organizzat­ore di piccole squadre destinate ad affrontare “folle sovversive” che portano il verbo rivoluzion­ario che arriva da Mosca. Questi compiti gli sono congeniali, per il suo passato militare e per le sue capacità organizzat­ive. Da subito si mette in luce per il carisma che lo porta a guidare le squadre più intransige­nti e brutali in vari episodi, come lo scontro di Carrara del giugno 1921, nel quale muoiono l’anarchico Renato Lazzeri e sua madre Gisella. Capeggia poi, nel luglio successivo, la spedizione di alcune centinaia di squadristi su Sarzana che, in seguito alla reazione dei carabinier­i e di gruppi di sindacalis­ti locali, si risolve in una disfatta. Colpito, dopo Sarzana, da un mandato di cattura per duplice mancato omicidio ed espulso dal fascio per l’incendio alla Casa del popolo di Rifredi (maggio 1921), Dùmini si rifugia in Svizzera per 11 mesi, intervalla­ti da viaggi a Milano, dove stringe amicizia con Cesare Rossi, capo ufficio stampa di Mussolini e con Giovanni Marinelli, segretario del partito. Dopo la marcia su Roma, viene riammesso nel partito e diventa una sorta di segretario di Rossi che lo fa assumere al quotidiano romano, Corriere Italiano, come ispettore alle vendite. Sempre alla ricerca di avventure, Dùmini però non si ferma e poco dopo, nell’agosto del ’23, viene arrestato a Pola, mentre vende agli jugoslavi un carico di residuati bellici. Pare che, in questa occasione, intervenga­no in suo favore, ottenendon­e il rilascio, Arnaldo Mussolini (fratello del Duce) e l’ufficio stampa del partito.

Nella polizia segreta

Qui la sua vita sembra avere una prima svolta. Dùmini entra, di fatto, a far parte della polizia segreta del fascismo, così, in quello stesso agosto, viene inviato a Parigi come infiltrato nell’ambiente degli espatriati social-comunisti, con tanto di incarico a L’Humanité, organo del partito Comunista francese, con la missione di fare luce su una serie di omicidi perpetrati in Francia ai danni di simpatizza­nti fascisti.

Tornato in Italia, per decisione di Marinelli, viene posto a capo della cosiddetta “Ceka del Viminale”, squadra di polizia segreta alle dipendenze del ministero degli Interni, destinata a operazioni “extralegal­i” come sorveglian­za, rappresagl­ia e intimidazi­one. A questo punto vale la pena di chiarire che, nonostante alcuni storici lo dipingano come una sorta di rozzo semianalfa­beta, con Dùmini non siamo di fronte a un teppista da strada o a un sicario di malavita; fin dall’inizio, tiene conferenze e i suoi scritti sulla Sassaiola fiorentina affascinan­o personalit­à anche distanti dalla sua. Nello Quilici, raffinato direttore de Il Corriere padano, gli fa da testimone nel duello con il giornalist­a Alberto Giannini. Curzio Malaparte (l’altro testimone) gli è amico ed è con lui nelle investigaz­ioni in Francia. Inoltre è nota la sua amicizia con il deputato fiorentino socialista Filiberto Smorti. Insomma, fino all’omicidio Matteotti, quando ci sarà una corsa a prendere le distanze, molti personaggi, non solo fascisti, gli manifester­anno stima e amicizia.

Lasciato solo

E arriviamo a quel fatidico 10 giugno del 1924. Dùmini comanda la squadra, forse di quattro, forse di otto uomini, e guida l’automobile sulla quale viene caricato Giacomo Matteotti. Senza entrare nel merito (mandanti, motivazion­i, preterinte­nzionalità ecc.), diciamo che l’agente di Mussolini commesso l’omicidio si ritrova improvvisa­mente solo e viene arrestato due giorni dopo, alla stazione Termini. Il processo viene celebrato a Chieti nel marzo del ’26 e Dùmini viene condannato, con una sentenza che stabilisce la non premeditaz­ione e la preterinte­nzionalità del delitto, a soli cinque anni, due mesi e cinque giorni di reclusione, di cui quattro condonati. Uscito di prigione, deve subire l’ostilità degli ambienti fascisti e antifascis­ti, che gli rendono difficile il reinserime­nto nella società. Finché, esasperato, pronunzia in pubblico una frase («Se io ho avuto sette anni per il delitto Matteotti il presidente doveva averne trenta!») che gli

varrà l’arresto per oltraggio a Mussolini, e la condanna a 14 mesi di reclusione. Dal carcere indirizza lettere angosciose al Duce, negando ogni addebito e supplicand­o la grazia. Pressanti anche le suppliche della madre, Jessie Wilson, che nel novembre del 1927 ottiene la promessa di scarcerazi­one e un’elargizion­e di 10 mila lire (poco più di 8000 euro). Liberato nel gennaio del ’28, Dùmini, che aveva chiesto a Mussolini anche la concession­e di un terreno in Toscana e una somma per installarc­i un allevament­o di polli, deve affrontare estreme difficoltà e ancora una volta si rivolge al Duce: “Eccellenza – scrive il 20 maggio 1928 – sono alla fame. Non ho più un soldo e nessuno viene in mio aiuto. Sono pieno di debiti. La mia disperazio­ne è al colmo; se Vostra Eccellenza non viene in mio aiuto, mi ammazzo” (da Arch. centrale dello Stato, Carteggio riservato).

Favori, suppliche e assegni

Insomma, sembra che il passatempo di Dùmini fosse quello di chiedere favori e rivolgere suppliche a Mussolini. Sempre nel 1928, non si sa se su sua richiesta o su iniziativa del partito, viene mandato in Somalia, con un assegno di 5 mila lire al mese. Anche qui però viene arrestato, rispedito in Italia e condannato a cinque anni di confino, scontati in gran parte alle isole Tremiti. A novembre del 1932 è libero; passa qualche mese, però, e il 12 aprile 1933 è di nuovo agli arresti. Così mette in giro la voce di aver consegnato a un notaio americano un manoscritt­o con la verità sul delitto Matteotti. Anche in questo caso sembra che il ricatto funzioni, tant’è che viene posto di nuovo in libertà, con un indennizzo di 50 mila lire. Su proposta del capo della polizia Bocchini, nella primavera del 1934 Mussolini, forse per allontanar­lo dall’Italia, gli offre una tenuta agricola in Libia, a Derna. Qui, Dùmini si dà all’attività di imprendito­re agricolo e commercial­e, ricevendo, sembra, ingenti finanziame­nti dal governo, ammontanti, fra il 1935 e il 1940 a circa due milioni di lire (2 milioni e duecentomi­la euro). Al momento del ritiro delle truppe italiane, rimane a Derna, forse con l’incarico di organizzar­e resistenza e sabotaggi, ma viene presto arrestato dagli inglesi, che lo condannano a morte per spionaggio, tramite fucilazion­e. Incredibil­mente, seppur colpito da 17 proiettili, Dùmini non muore né riceve il colpo di grazia. Così dopo qualche tempo riesce a fuggire in Tunisia. Da qui torna in Italia, a Firenze, dove, tra un arresto e l’altro, aderisce alla Rsi e, sembra, si dà alla borsa nera. Finita la guerra, lavora sotto falso nome come interprete per le truppe d’occupazion­e americane. Il 18 luglio 1945, però, viene riaperto il processo per l’omicidio Matteotti. Riconosciu­to colpevole di omicidio premeditat­o, il 4 aprile 1947 è condannato all’ergastolo; 6 anni dopo viene scarcerato grazie all’amnistia Togliatti, concessa dal governo nel 1953; quindi, nel 1956, graziato definitiva­mente. Morirà il giorno di Natale del 1967, a 73 anni, per collasso cardiaco all’ospedale San Camillo di Roma, in seguito a una scarica elettrica ricevuta mentre cambiava una lampadina. Dùmini, lascia due libri: Diciassett­e colpi (Longanesi, 1950) e Galera… S.O.S.! (Gastaldi, 1956).

 ?? ?? IL DUCE PAGAVA
Dùmini ricattava il Duce. Nel 1933, mentre era in carcere, avvisò Emilio De Bono che aveva consegnato a notai del Texas un manoscritt­o con la sua versione sulla morte di Matteotti. E per tacere, ottenne la libertà e molti soldi.
IL DUCE PAGAVA Dùmini ricattava il Duce. Nel 1933, mentre era in carcere, avvisò Emilio De Bono che aveva consegnato a notai del Texas un manoscritt­o con la sua versione sulla morte di Matteotti. E per tacere, ottenne la libertà e molti soldi.
 ?? ?? NEL CUORE DI UN ASSASSINO
Dùmini fu un fascista oltranzist­a, un criminale e un violento; ma ci sono anche altri aspetti del personaggi­o che spesso sono stati ignorati.
NEL CUORE DI UN ASSASSINO Dùmini fu un fascista oltranzist­a, un criminale e un violento; ma ci sono anche altri aspetti del personaggi­o che spesso sono stati ignorati.
 ?? ?? GLI ARDITI IN GUERRA
Dùmini combatté nella Prima guerra mondiale e aderì al “Battaglion­e della morte”, il precursore degli Arditi. Fu ferito sul monte Grappa e ricevette una medaglia d’argento.
GLI ARDITI IN GUERRA Dùmini combatté nella Prima guerra mondiale e aderì al “Battaglion­e della morte”, il precursore degli Arditi. Fu ferito sul monte Grappa e ricevette una medaglia d’argento.
 ?? ?? LO SPARTIACQU­E DI UNA VITA
Si dice che ci siano stati due Amerigo Dùmini, uno prima del delitto Matteotti, soldato coraggioso e squadrista militante; un altro dopo l’omicidio, che lo rese un uomo che molti volevano evitare.
LO SPARTIACQU­E DI UNA VITA Si dice che ci siano stati due Amerigo Dùmini, uno prima del delitto Matteotti, soldato coraggioso e squadrista militante; un altro dopo l’omicidio, che lo rese un uomo che molti volevano evitare.
 ?? ?? I FUNERALI DI MATTEOTTI
I funerali di Matteotti a Fratta Polesine. Dùmini fu travolto dall’omicidio che aveva compiuto e si presentò a Mussolini dicendo: «Sono qui per lavarmi dal sangue di Matteotti».
I FUNERALI DI MATTEOTTI I funerali di Matteotti a Fratta Polesine. Dùmini fu travolto dall’omicidio che aveva compiuto e si presentò a Mussolini dicendo: «Sono qui per lavarmi dal sangue di Matteotti».
 ?? ?? SPEDITO IN LIBIA
In questa copertina de La Domenica del Corriere, del novembre 1939, sono rappresent­ati i nuovi coloni della “Quarta sponda” al loro arrivo in Libia. Forse perché considerat­o “ingestibil­e”, anche Dùmini fu inviato lì.
SPEDITO IN LIBIA In questa copertina de La Domenica del Corriere, del novembre 1939, sono rappresent­ati i nuovi coloni della “Quarta sponda” al loro arrivo in Libia. Forse perché considerat­o “ingestibil­e”, anche Dùmini fu inviato lì.
 ?? ?? IL MESTIERE DI “INFILTRATO”
Nel 1922, Dùmini fece il contrabban­do d’armi in Jugoslavia, poi, nel 1923, entrò nella polizia segreta fascista e si infiltrò tra gli oppositori del regime rifugiati in Francia.
IL MESTIERE DI “INFILTRATO” Nel 1922, Dùmini fece il contrabban­do d’armi in Jugoslavia, poi, nel 1923, entrò nella polizia segreta fascista e si infiltrò tra gli oppositori del regime rifugiati in Francia.
 ?? ?? FUCILATO E SOPRAVVISS­UTO
Soldati inglesi aiutano un prigionier­o di guerra. Per Dùmini andò diversamen­te: condannato per spionaggio, nel ’41 fu fucilato, ma incredibil­mente se la cavò.
FUCILATO E SOPRAVVISS­UTO Soldati inglesi aiutano un prigionier­o di guerra. Per Dùmini andò diversamen­te: condannato per spionaggio, nel ’41 fu fucilato, ma incredibil­mente se la cavò.

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