Corriere del Mezzogiorno (Campania)
A -110 metri, la napoletana degli abissi
Per Mariafelicia Carraturo record femminile di apnea in assetto variabile Da Sharm sale sul tetto d’Italia
Chiunque di noi fa tuffi. Quello di Mariafelicia Carraturo, napoletana, classe 1980, è un tuffo del tutto particolare: l’ha portata a 110 metri di profondità; in 2 minuti e 28 secondi, quel tuffo (per un apneista è l’immersione) le ha regalato domenica scorsa il record italiano femminile di apnea ad assetto variabile No limits. E pensare che l’avventura di inseguire il record è cominciata maluccio; nel novembre scorso la “slitta” (cioè quell’accrocchio di metallo che porta l’apneista in fondo) le è sbattuta sull’occhio destro.
«Quindi — racconta — ospedale, punti e retina, cornea e congiuntiva ferite. Sono stata fino a marzo di quest’anno fuori dall’acqua». E allora si ricomincia, allenamenti in piscina al Circolo Posillipo,poi in mare, fino a Sharm el-Sheikh con la Nazionale di apnea, una settimana fa per preparare il record. Tre giorni di allenamento e si arriva a -100 metri. Giorno di pausa. Poi di nuovo in acqua. «Decido — ricorda — di provare i -110. Il
tuffo mi riesce. Lo provo ancora il giorno seguente per aggiustare i dettagli della compensazione». Una manovra che evita di farti perforare il timpano dell’orecchio dalla pressione idrostatica; un barotrauma, soprattutto a quelle profondità, manda tutto a ramengo. Nel senso più ultimativo del termine. Arriva così il 12 luglio, Sharm. «Due minuti di count down», afferma Mariafelicia. «Il giudice sgancia la slitta e vado. A fine corsa tocco il piattello dei -110. Ce l’ho già fatta. Apro la bombola dell’aria che gonfia il pallone di risalita: tutto fila liscio, mi rilasso, torno in superficie». Con un “I am ok” ai giudici dell’Aida (un po’ la Fifa degli apneisti) Mariafelicia incassa la white card e quindi il record.
Lei come Audry Mestre o Tanya Streeter, grandi donne dell’apnea mondiale. È una vita scissa, quella di Mariafelicia Carraturo. Da mamma normale accompagna i due figli a scuola (Guido e Davide), da atleta lancia nel blu una cima è s’immerge. Mariafelicia non aveva predestinazione all’apnea. Come spesso accade, nella scoperta d’un proprio talento è il caso che t’indirizza. Nel suo fu la prima gravidanza. «Ho sempre avuto estrema acquaticità e sempre praticato nuoto — dice —. Ma tornai all’acqua quando ero incinta del mio primo figlio. Non potevo fare sport a secco; il mio ginecologo mi consigliò di riprendere la piscina, da lì alla scoperta del fascino della profondità il passo fu breve». Ma lo sport aveva casa nella famiglia Carraturo. Il padre Guido era campione italiano di lotta libera, il fratello Ulderico è diver instructor. A Napoli Carraturo è nome da pasticcieri. Fra i più apprezzati in città.
Paura? «Mai dell’abisso, quando scendo libero la mente. Il timore, semmai, è quello di non riuscire a compensare la pressione idrostatica sulle orecchie (a -110 metri è di 11 chili per centimetro quadrato, ndr)». L’apnea è anche disciplina maschilista. Chi la pratica ti guarda con sospetto; e anche chi no («qualche mia amica è diventata un’ex; non comprendeva; ‘‘tutta quell’acqua ti andrà alla testa’’, mi ammoniva», ricorda). Qualche altra, un’ex compagna di studi (lei che ha fatto il Pontano e poi la laurea in Economia con il massimo dei voti) l’ha riconosciuta; e incoraggiata. Mariafelicia andrà avanti; anzi, più giù.
Il giudice sgancia la slitta e vado giù Quando tocco il piattello mi dico: ce l’ho fatta