Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Freud e le paure di Masaniello
Il saggio di Aurelio Musi sul padre della psicanalisi e la storia
Fin da quando Freud cominciò a enunciare e svolgere le sue tematiche psicanalitiche, l’interesse degli storici per la nuova prospettiva di ricerca che così si apriva fu immediato, anche se poi molto lento a svolgersi. Poi, in alcuni campi storiografici, come quello letterario, ad esempio, il riferimento o l’ispirazione psicanalitica si fecero larghi e frequenti.
Che queste applicazioni rispondessero appieno alle indicazioni freudiane o, più generalmente, psicanalitiche, non si può dire. Eppure, Freud stesso vagò e divagò largamente per i giardini di Clio. Anzi, in tempi più recenti questa fortuna storiografica del fondatore della psicanalisi ha dato l’impressione, in qualche modo di attenuarsi, senza che, peraltro, si sia ugualmente attenuato l’uso, di rado puro, per lo più impuro, che si fa di quel che si presume che sia il suo verbo. Del quale, comunque, nonostante tutte le apparenze in contrario, proprio per quanto riguarda il suo uso storiografico, si continua troppo spesso a parlare solo per sentito dire.
Tanto più opportuno, è perciò il lavoro, edito da Rubbettino, che a Freud e la storia ha dedicato Aurelio Musi. Scandito in una serie di brevi capitoli, strettamente connessi, ma anche ciascuno con un suo senso compiuto, il suo studio parte dagli anni di formazione di Freud. Partenza quanto mai opportuna, perché concorre a dimostrare che il rapporto di Freud con la storia non solo non è avventizio o casuale, ma addirittura originario.
Andava disdetto perciò il luogo comune corrente per cui con la psicanalisi si perde l’unità del vissuto umano e, con essa, la sua fondamentale nota di storicità; e le ragioni addotte da Musi per sostenerlo sono senz’altro persuasive, anche perché ricercate e dimostrate all’interno della complessiva prospettiva teorica ed ermeneutica di Freud. Musi è, peraltro, prudente, e precisa bene che questa parentela fra storiografia e psicanalisi può diventare stretta, in particolare, perché al centro della ricerca di Freud è la personalità, ossia una dimensione che è fra le più congeniali alla storio- grafia, e nella cui elaborazione come proprio polo teorico Freud fa un ricorso largo e determinante alle tipologie costruibili per via storica.. Non solo per questa strada, però. Non meno importante è la propensione freudiana all’analogia, che si rivela come un percorso difficile per i molti rischi di generalizzazione e di approssimazione che offre, ma anche tra i più espressivi della suggestione psicanalitica.
Alla fine l’analisi freudiana si pone come un’archeologia del personale, della persona nella sua concretezza psico-fisica individuale e nel suo senso e valore teorico di principio antropologico. Di antropologia fisica, naturalistica, o di antropologia storica e filosofica? Musi ha il merito di aver puntato su questo interrogativo per farne la parte forse culminante del suo lavoro. Il problema, com’egli mostra, era percepito già da Freud stesso. Con una breve, ma paziente indagine, egli va anche oltre questa consapevolezza e dimostra che l’antitesi tra scienze dello spirito e scienze della natura perde di significato in Freud perché anche la sua dottrina analitica, così come la storia, appartiene alle «scienze della vita».
È il punto di maggiore impegno teorico di questo lavoro, ed è lecito avere qualche dubbio al riguardo, non tanto per la psicanalisi quanto per la storiografia e per la definizione della posizione di Freud come «storicismo critico». Del resto, Musi stesso prospetta in più casi le molteplici ramificazioni di questi discorsi. Resta, intanto, il pregio del contributo che egli ha fornito allo studio (condotto sulla scorta di un’ampia letteratura) di un problema di oggettivo e grande rilievo, non solo scientifico. E per avere un’idea dell’interesse di questo suo lavoro si legga il capitolo, il più bello del libro, su Le paure di Masaniello, parimente equilibrato e suggestivo nella prospettiva analitica e in quella storica.