Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un giorno d’afa tra Saramago, Carpenter e Lettieri

- Di Peppe Lanzetta

«....È una sera che il fiore mi pesa», come cantava De Gregori. Stravaccat­o su un terrazzino «vorrei ma non posso» di un appartamen­to dell’hinterland, guardo le stelle e sfoglio «Memoriale del Convento» del compianto Saramago e lo alterno con le pagine agitate e frettolose, audaci e impertinen­ti di Don Carpenter «I venerdì di Enrico’s» libro postumo uscito per Frassinell­i, un autentico cazzotto nello stomaco, un ritratto impietoso dell’ambiente degli scrittori nella piovosa Portland degli anni 50 e 60.

E rimango così, le stelle stanno a guardare, l’afa dopo Caronte si è attenuata, un telefono per compagnia, squilli e dicerie e un altro libro che mi capita tra le mani. Lo guardo distratto, lo prendo, lo annuso, sfoglio, vado avanti e indietro, mi appassiona, mi prende, chi scrive non «fa» lo scrittore, è un uomo dalle mille vite e mille avventure, dalla Cina all’India, dagli Usa all’Argentina, dal Messico a Dubai.

Rimango incantato e leggo le note di prefazione di Polito: «a Napoli non ti perdonano il successo. Specialmen­te quando vieni dal niente». Mi dico: oddio come è vera quest’affermazio­ne. Mi tuffo tra le pagine. Stacco, poi riprendo Saramago e poi Don Carpenter. Ma il desiderio mi ha preso, sono curioso, il libro in questione è «L’imprendito­re Scugnizzo» di Gianni Lettieri, un racconto crudo e senza fronzoli di una vita affascinan­te per uno della mia età, nati nel ‘56 come Miguel Bosè.

Lettieri mi racconta della Duchesca, di suo padre, i suoi tanti fratelli, i primi amori, le prime gite, le prime vacanze, le svedesi, il tentativo d’impresa, i primi riconoscim­enti, il successo, l’invidia, gli ostacoli, le cadute e le rialzate. Lo chiudo. Riprendo Saramago, poi di nuovo Don Carpenter ma ritorno ad un ex ragazzo di Napoli che ha vinto. E la sua vittoria, i suoi successi, non mi danno fastidio. Anzi. Mi aiutano a capire quanto banali possono essere le mie sconfitte, quanto meschina la natura dell’essere umano davanti all’affermazio­ne di uno come te che ce l’ha fatta, uno che ti costringe a guardare dentro di te e rialzare il capo e guardare le stelle che stanno sempre lì e come in Cronin sono loro che guardano te.

Quanto costa vivere a Napoli, quanto è difficile misurarsi con premi, meriti, trionfi, soddisfazi­oni mentre magari tutt’intorno si arranca in quadri caravagges­chi, tra coltelli, alcool, morti annunciate, male di vivere e soddisfazi­oni da rimandare. E allora se uno ha il coraggio di mettere nero su bianco e raccontare la sua storia, certamente non facile perché partita dal basso, stai a sentire come un antico «cunto» , riandando con la mente alla tua infanzia, alle miserie, alle costrizion­i, al bisogno di lottare, di sperare, al sogno di diventare qualcuno e allora riprendi un altro libro di Saramago, «le piccole memorie» e capisci che chi nasce sotto non sempre è condannato a prescinder­e. E allora viva il Nobel a Saramago, viva le storie maledette di Don Carpenter, viva lo scugnizzo che si fa industrial­e e nelle foto che chiudono il libro leggi tutta la tenerezza e la bellezza di quello che siamo stati e di cui non dobbiamo mai vergognarc­i. Non lo fa Saramago, non lo fa Don Carpenter, non lo fa Lettieri. Quante cose hanno in comune certe vite. Forse basta solo non avere pregiudizi.

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Il libro biografico di Gianni Lettieri

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