Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Carditello, quell’Italia «Bella e perduta»
Fatalismo, rassegnazione e quotidiana complicità nel film sul custode Tommaso Cestrone
Pulcinella tiepoleschi, un bufalotto parlante di nome Sarchiapone, una Reggia incantata da riconquistare: sembrerebbe una favola, e invece è quel che resta di un documentario, un «viaggio in Italia» post-Piovene che il regista casertano Pietro Marcello (già segnalatosi con titoli atipici come Il passaggio della linea e La bocca del lupo) avrebbe voluto girare sull’Italia «Bella e perduta» dei giorni nostri.
Nelle intenzioni originali Carditello con la sua reggia sarebbe stata solo una delle tappe del film: protagonista un personaggio reale, Tommaso Cestrone, il pastore-angelo custode del magnifico sito borbonico in abbandono che per anni ha strenuamente difeso da solo contro gli oltraggi degli uomini e le mire delle cosche. Poi, durante le riprese, l’evento tragico e ineluttabile che ha finito per cambiare la natura stessa della pellicola: nella notte della vigilia di Natale del 2013 l’angelo di Carditello improvvisamente muore e «il documentario si è arenato ed è diventato una fiaba», per dirla con le parole dello stesso regista.
Fiaba, ma soprattutto inchiesta poetica: perché questo
Bella e perduta (che da ieri ha iniziato il suo ardito percorso nelle sale dopo aver ricevuto lusinghieri apprezzamenti al Festival di Locarno e a quello di Torino) percorre – un po’ per necessità, un po’ per scelta – una strada assai poco battuta dal cinema italiano. Girato in autonomia (ma senza troppa prosopopea autoriale), in economia (ma senza mai apparire pauperistico) e in pellicola (a volte scaduta: «amo la sua alchimia e la sua imprevedibilità», dice il regista), il film procede per continui scarti tra la cronaca e la fantasia, immaginando che il bufalotto salvato da Cestrone (i bufali maschi vengono solitamente abbattuti perché improduttivi) venga da lui lasciato in «eredità» a un Pulcinella (il non-attore Sergio Vitolo) in grado di capirne il linguaggio: i due iniziano un picaresco pellegrinaggio risalendo una Campania ex-felix abbrutita dalle discariche di rifiuti tossici e dai conseguenti roghi, imbattendosi a ogni stazione in una umanità marginale, fuori dalla società e dalla Storia. Due bracconieri, un fratello e una sorella contadini ospitali, un pastore sardo che declama D’Annunzio e alre l’occasione fa il tombarolo (siamo ormai arrivati in Tuscia) sono alcuni degli incontri che scandiscono la missione di Pulcinella e la fuga di Sarchiapone verso una impossibile libertà, contrappuntati da materiali d’archivio sulla vita dei bufalari, o da filmati di cronaca relativi a manifestazioni contro la Terra dei Fuochi e alla (al momento illusoria, visto che dopo l’inaugurazione nulla di decisivo è accaduto) «riconquista» della reggia di Carditello da parte dello Stato.
Un cocktail linguistico e formale non esente dal rischio, ma è proprio quello che l’auto- e il prolifico co-sceneggiatore partenopeo Maurizio Braucci (Gomorra, L’intervallo, Anime nere...) hanno deciso di correre, inventandosi lo script quasi giorno per giorno, lasciando sempre una finestra aperta per accogliere nel set la realtà e le sue suggestioni. Firmando infine un film anche «politico» nel senso più nobile del termine: dove si intuisce che lo scempio perpetrato nelle aree più indifese e deboli del Paese discende sì da un modello malato (e talvolta criminale) di sviluppo, ma che le cause vanno anche cercate nell’indifferenza collettiva alla perdita dell’armonia.
Non solo camorra e malaffare, ma quotidiana complicità. Fatalismo e rassegnazione. Eppure qui persino una maschera come Pulcinella, che il teatro borghese ha ormai ridotto a logora caricatura della plebe, ne esce rigenerata e restituita alla sua dimensione mitica di psicopompo, con altri Pulcinella non più servitore degli uomini ma degli dei, traghettatore di anime: anche i bufalotti (ma perché non chiamarli con il loro vero e bellissimo nome, annutoli?) ne hanno una, e il nostro (con la voce di Elio Germano) si appella addirittura a un fantomatico «ministero per la difesa della natu- ra contro gli esseri umani».
Agnello, pardon bufalo sacrificale, Sarchiapone entra di diritto nella schiera degli animali testimoni e vittime della nostra cupidigia come l’asino Balthazar di Bresson e il corvo parlante di Pasolini (o, per venire a tempi a noi più vicini, al toro di Mazzacurati): spesso lo sguardo della cinepresa si identifica con quello in finta soggettiva di Sarchiapone. E – osservate con gli occhi mansueti e infine imploranti di un giovane bufalo – l’Italia, la Campania, persino Carditello ci appaiono sì perdute, ma non più così belle.
In viaggio Un vero percorso picaresco risalendo una Campania ex-felix abbrutita dalle discariche di rifiuti tossici e dai roghi