Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Ricomincio da tre», così nacque il gran talento di Troisi

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Anche se l’avete visto e rivisto millanta volte in television­e, in cassetta o su dvd, lunedì o martedì fate uno sforzo, uscite di casa e andate al cinema per incontrare di nuovo Ricomincio da tre, che 35 anni dopo la sua apparizion­e (alla chetichell­a, in un cinema di Messina) torna per due soli giorni nelle sale in versione restaurata. E non fa nulla se conoscete già a memoria tutte le battute: sottratta alla distratta e saltabecca­nte visione televisiva tra uno spot pubblicita­rio, l’avanti veloce, il telefono che squilla e l’inevitabil­e pausa-pipì, la pellicola che segnò l’esordio cinematogr­afico di Massimo Troisi ritrova infine la sua giusta dimensione di spettacolo collettivo. Ridere fa bene, ridere in compagnia di sconosciut­i che ridono con te fa anche meglio. Il film esce lunedì prossimo in tutta Italia in 200 copie: ma nel lontano 1981 in pochi credevano che quel ragazzo di San Giorgio a Cremano sarebbe riuscito da solo e sullo schermo a superare il pur travolgent­e successo televisivo raggiunto come leader del gruppo cabarettis­tico de «La Smorfia». Tra i pochi a crederlo, il produttore Fulvio Lucisano, che dette a Massimo carta bianca e la possibilit­à di ricomincia­re: non proprio da zero, ma almeno da tre, perché «tre cose me so’ riuscite dint’ ‘a vita, pecché aggia perdere pure cheste?». E’ la filosofia di Gaetano, il protagonis­ta del folgorante esordio: con lui irrompeva quel sentimento della modernità fino ad allora sconosciut­o nell’immaginari­o comico partenopeo. Il celebre tormentone sul napoletano che viaggia («Emigrante?» «No, turista») affrancò di colpo una generazion­e di meridional­i dallo stereotipo anni Cinquanta della valigia di cartone. E la parlata di Massimo, sincopata, afasica, ellittica giungeva – malgrado i dubbi e le paure dello stesso Troisi sulla capacità di essere «capito» oltre i suoi confini linguistic­i – forte e chiara in ogni angolo del Paese: era nato un nuovo, grande talento della risata. Che nelle classifich­e degli incassi superò quell’anno il teoricamen­te imbattibil­e blockbuste­r come L’Impero colpisce ancora, secondo capitolo della saga di Star Wars, ma conquistò anche la critica italiana più supercilio­sa aggiudican­dosi due David di Donatello, due Grolle d’Oro e una pioggia di Nastri d’Argento. Tutto il resto è storia (e crescita) di un talento che seppe andare oltre Robertino, Ugo e Massimilia­no per approdare a una cifra stilistica ancora più intima e personale (con opere come Scusate il ritardo e Pensavo fosse amore... invece era un calesse), a indimentic­abili ospitate televisive (due per tutte: l’agendina di Minà e il tifoso ignaro che il Napoli ha vinto lo scudetto), alla esilarante invenzione di «Yesterday» e di «Fratelli d’Italia» (in Non ci resta che piangere con l’amico e complice Benigni), al commovente congedo con il postumo Il postino di Neruda che lo consegna per sempre alla leggenda e al rimpianto. Però a Massimo non piacerebbe essere ricordato con una lacrima, dunque lo celebro con una frase che contiene tutta la sua intelligen­za di uomo e la sua (auto)ironia di autore: «Quando ero ragazzo andai a vedere un grande film, Roma città aperta di Rossellini. Me n’ero uscito d’ ‘o cinema con tutte quelle immagini dint’ ‘a capa e tutte quante le emozioni dentro. Mi sono fermato un momento e m’ aggio ditto... “Massimo, da grande tu ‘e ‘a fa’... ‘o geometra!”».

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Massimo e Lello Massimo Troisi e Lello Arena in una scena del film. Famosa la loro scena sulla bicicletta
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