Corriere del Mezzogiorno (Campania)
All’ottantatreesimo la curva canta il coro che unisce il popolo
C’ è un momento, quando il Napoli gioca in casa, che probabilmente più di ogni altro racconta della storia recente di questa squadra. Il momento corrisponde, con precisione quasi assoluta, allo scoccare dell’ ottanta tre esimo minuto. Dalla curva, e poi per l’intero stadio, in quel momento parte il coro al quale si unisce l’intero popolo azzurro; un coro che scavalca il bordo del televisore ed entra nei salotti di mezzo mondo, chiamando a raccolta i cuori e i sorrisi di chiunque tifi Napoli. Quel coro, una breve, divertente canzoncina che forse non ha senso e che comunque non appartiene certo alla pur vasta storia musicale della città, è la colonna sonora di questa stagione sportiva.
Una stagione che per molti versi promette o minaccia di restituire al tifo azzurro una dignità europea che pareva impossibile ricostruire sulle macerie psicologiche lasciate dalla precedente gestione tecnica. Quando parte quel coro, normalmente, la pratica in corso è stata archiviata. Gli avversari son ostati schiantati ed è il momento di sorridere e godersi la gioia di un’altra vittoria. Quel coro è un ringraziamento, un saluto, un abbraccio. Con quel coro il popolo chiama a sé la squadra, le dà un appuntamento a quando di lì a poco l’arbitro fischierà per tre volte e si potrà festeggiare insieme. Quel coro significa: siamo qui, attorno a voi. Non può succedere più nulla di brutto, perché siamo una cosa sola. La faccenda è ben lungi dall’essere risolta, lo sappiamo bene. La parte più difficile e pericolosa dell’anno calcistico, il combinato disposto di una coppa europea da onorare e di un campionato pieno di insidie non prevede distrazioni e tantomeno anticipati trionfalismi. La classifica si va un po’ sgranando, è vero, e qualche concorrente sembra mostrare evidenti cedimenti. L’Inter del nervoso Mancini, per esempio, ha cessato il lungo rapporto con le vittorie di misura e ha perso terreno; la Roma di Spalletti assomiglia troppo a quella di Garcia per far immaginare clamorose rimonte; e la Fiorentina di Sousa dipende troppo dall’estro di un paio di insostituibili elementi per costituire una preoccupazione seria. Ma i soliti grandi avversari, gli immortali bianconeri dall’ indistruttibile roccaforte, non accennano a perdere battute. Hanno campioni in grado di risolvere il match da soli e in ogni momento, e dalla loro hanno anche l’occhio favorevole di un sistema di cui sono da sempre la più diretta emanazione. Ma il Napoli è bellissimo. Questo è un aspetto di cui si deve obbligatoriamente tener conto. Un’orchestra sinfonica impreziosita da un paio di splendidi solisti, una coreografia che è meraviglioso veder danzare, mai più di due tocchi, mai meno di tre compagni pronti ad accogliere la palla. Bellissimo nella forma e bellissimo nella sostanza, con la caterva di occasioni messe in piedi e i moltissimi gol che ne costituiscono la concretizzazione. Bellissimo, da incantare chiunque ami il calcio, da affrontare ogni ostacolo con divertimento e rispetto ma senza paura. Questa squadra andrà a Torino, e ci andrà a testa alta. Sarà la stessa che ha schiantato il buon Empoli di Giampaolo e la disperata Sampdoria. Ci andrà con la consapevolezza di non essere la favorita, ma ci andrà con la mente e il cuore pieni di quel coro che parte all’ ottanta tre esimo. Quel coro forte e dolcissimo, fatto dell’amore di un popolo per il suo Napoli. Bellissimo.