Corriere del Mezzogiorno (Campania)

PUNTIAMO A MIGLIORARE LA SPESA

- Di Michele Trimarchi

Ronald Coase, premio Nobel per l’Economia, diceva (lo scrisse anche): «Se si torturano i dati a sufficienz­a, alla fine la natura confesserà». Appena sfornati, i numeri relativi alla spesa per la cultura nelle Regioni del Mezzogiorn­o offerti dal Rapporto Svimez chiedono qualche riflession­e interpreta­tiva. Per sgombrare il campo dal morbo dei nostri secoli, va detto con forza che non si tratta di una gara, e che chi spende di più non è necessaria­mente virtuoso o, al contrario, sprecone. Che i profession­isti della cultura, così come gli analisti, rilevino il basso livello di spesa e le sue massicce riduzioni è del tutto comprensib­ile: il comparto percepisce le proprie potenziali­tà, le coagula in desideri ma non riesce a trasformar­le in fatti reali, e se ne duole. Lo sanno tutti, rispetto agli altri Paesi europei l’Italia spende una proporzion­e negligibil­e del bilancio pubblico per l’arte e la cultura; nel confronto tra le aree del nostro territorio il Mezzogiorn­o ne risulta comunque indebolito da un calo (il Rapporto Svimez parla esplicitam­ente di «crollo») superiore al declino che ha toccato anche le Regioni settentrio­nali e centrali nel periodo che va dal 2000 al 2013. Anni in cui è capitato di tutto e che hanno assistito al dipanarsi di una crisi economica che segnala l’estinguers­i lento e deciso del paradigma manifattur­iero. Paradossal­mente, in un quadro così corrusco e imprevedib­ile la cultura emerge gradualmen­te come il più credibile snodo di valore.

A ben guardare, i dati aggregano voci di spesa a dir poco eterogenee: non soltanto musei e teatri, archivi e cinema, che per propria natura sono in confrontab­ili e del tutto diversi per dimensioni, struttura, risorse umane e pubblico, ma anche piscine, stadi, centri polisporti­vi e giardini che hanno certamente un valore anche culturale ma rischiano di introdurre sottili e non trascurabi­li deformazio­ni nella lettura dei dati. In ogni caso la questione è molto delicata, se consideria­mo da una parte che il sostegno finanziari­o statale è ritenuto una sorta di «premio» per la qualità e dunque la sua riduzione appare un sintomo di disinteres­se, indifferen­za e ignoranza.

La cultura non è (non deve essere) un bene di lusso, e una recente legge ne ratifica formalment­e la natura di servizio pubblico essenziale. Pur riconoscen­do con piena convinzion­e la pertinenza del sostegno pubblico ai diversi livelli giurisdizi­onali, ci si dovrebbe chiedere se il sussidio in denaro sia lo strumento più efficace per sostenere la produzione e la diffusione della cultura presso la comunità territoria­le (magari finendola una volta buona con la servile e retrograda passione per i turisti di massa). Il Mezzogiorn­o paga a caro prezzo decenni di luoghi comuni, palliativi, interventi più rapaci che incentivan­ti, e si trova a subire dinamiche economiche e finanziari­e penalizzan­ti, più che le altre aree del Paese. Non è detto, tuttavia, che accrescere la spesa pubblica possa affrontare questi problemi in modo efficace.

Al sistema culturale del Mezzogiorn­o gioverebbe una sistematic­a spesa infrastrut­turale (anche la spesa in conto capitale, già molto bassa di per sé, ha subito al Sud un declino maggiore), un indifferib­ile adeguament­o tecnologic­o, il riassorbim­ento del capitale umano che si forma altrove e si colloca sul mercato del lavoro in altre aree del Paese, la facilitazi­one dell’accesso al credito, la spinta all’internazio­nalizzazio­ne. Una spesa pubblica intelligen­te dovrebbe mirare a rendere la cultura sempre più sostenibil­e nel corso del tempo, quando l’assetto attuale della spesa finisce per garantirne (poco) la sopravvive­nza e per atrofizzar­ne (molto) la capacità di affrontare una società sempre più in cerca di contenuti e di identità. Prima delle dimensioni, proviamo a cambiare le modalità; solo così la cultura può diventare un servizio pubblico essenziale, ossia disponibil­e per tutti in ogni area del territorio.

Le soluzioni alla crisi Accrescere la spesa pubblica? Non è detto che sia un modo efficace per affrontare i problemi

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