Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA CADUTA DEI GIGANTI È PENALIZZATA
Caro direttore, sul Corriere del Mezzogiorno è in corso un dibattito proficuo sul rilancio dei Musei autonomi, napoletani e non, rilancio che incontra obiettive difficoltà: ad esempio l’isolamento di Capodimonte a causa degli scarsi collegamenti con la città. Tra le idee proposte per valorizzare anche le potenzialità del grande bosco del Museo, quella di utilizzare uno degli antichi edifici esistenti quale «Museo del mare» mi sembra tuttavia poco pertinente con la storia e le caratteristiche della grande pinacoteca napoletana di età borbonica. Brillante reputo invece l’idea, espressa dal nuovo direttore Sylvain Bellenger, di organizzare una Mostra della grande Collezione di Armi dei Farnese e dei Borboni, conservate a Capodimonte (anni orsono erano state imballate per essere definitivamente trasferite in un remoto castello del Salento, ma, su intervento di Italia Nostra, l’allora ministro Melandri bloccò l’operazione che avrebbe depauperato il patrimonio artistico napoletano: la Collezione costituisce l’eredità anche Farnese che Carlo di Borbone ha donato alla città di Napoli). Bellenger invece afferma che «le Armi erano i gioielli degli uomini: le armi da guerra raccontano del modo di vivere cavalleresco, della tecnologia, della moda, della identità e del rappresentarsi aristocratico e reale. Sono oggetti d’arte trasversali, legati a tante altre espressioni artistiche. La Mostra andrà anche all’estero e sarà molto popolare perché parla anche ai giovani, che conoscono meglio di noi la cultura dei fumetti digitali dove l’arte marziale e la civiltà Medievale sono spesso fonte di ispirazione». Vorrei poi porre in evidenza che l’attività culturale di Capodimonte, mai interrottasi, è brillantemente ripresa in coincidenza con l’avvento del nuovo direttore, al quale è toccato di inaugurare giorni orsono, dopo l’eccellente e laborioso restauro, l’esposizione di un monumento ceramico di enorme importanza: «La caduta dei giganti», lo strepitoso, gigantesco gruppo scultoreo in biscuit (h. cm. 162), prodotto dalla Real Fabbrica della porcellana di Napoli, e dovuto al capomodellatore della Manifattura, lo scultore Filippo Tagliolini. Per l’occasione la benemerita associazione «Amici di Capodimonte» ha pubblicato una elegante brochure, dedicata al restauro della «Caduta dei giganti», con un saggio storico-artistico di Patrizia Piscitello, che è una valida rilettura dell’opera, ben documentato per gli aspetti tecnologici e per la ricerca delle fonti iconografiche. Ma l’autrice si iscrive nella scia di quanti hanno «unanimemente ascritto l’opera» a Filippo Tagliolini (che certo l’ha eseguita), senza avere la consapevolezza che essa è l’esito di una complessa pia- nificazione programmatico-iconografica, dovuta al grande Soprintendente della Real Fabbrica di porcellana, l’archeologo e storico dell’arte Domenico Venuti. Il Gonzàles-Palacios aveva avvertito (1988) che si doveva al Venuti la svolta neoclassicista del programma della produzione della porcellana della Real Fabbrica di porcellana di Napoli, ma la sua monografia era dedicata al Tagliolini e non si è attardato sul problema del programma iconografico della «Caduta dei giganti». Tuttavia i documenti parlano chiaro: il grande gruppo doveva far parte di un «dessert sullo stile di Ercolano». In precedenza, nel 1782, era stato inviato a Carlo III in Spagna un servizio di porcellana: era corredato da una pubblicazione a stampa a firma del Soprintendente Venuti «Spiegazione d’un servizio da tavola dipinto e modellato in porcellana nella Real fabbri cadi S. M. il Re della Sicilie ». Analogamente nel 1787 venne inviato a Londra il Servizio Etrusco, donato a Giorgio III d’Inghilterra, con una pubblicazione del Venuti« Interprétation des peintures dessinées sur un service ...», corredata da ben 179 tavole con la morfologia dei singoli pezzi del vasellame ecc. (e il Soprintendente scelse Tagliolini per presentare l’opera al re).
Tornando al gruppo, per realizzare la grande «macchina», il «gruppo di invenzione», si ricorse alle fonti iconografiche della Raccolta di repertori e stampe «ad uso dei modellatori», presente nella Real Fabbrica e scelte dal Soprintendente Venuti, del quale Gonzalés afferma: Tagliolini «aveva un’enciclopedia vivente a portata di mano» e la sua produzione in bisquit delle sculture di marmo antiche «segue certamente idee del direttore». Una attenta conoscenza della bibliografia, per esempio quella sulla terraglia (che pure è stata prodotta presso la Real Fabbrica di Napoli), dove il ruolo del Soprintendente Venuti è stato rivalutato, avrebbe evitato la predetta omissione. Concludo osservando che mi sembra sconcertante che un così solenne, straordinario monumento in bisquit, di grande impatto visivo, sia stato collocato senza un adeguato contesto nell’atrio del Museo dove transitano frettolosamente i visitatori.