Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il vuoto culturale e politico nelle tre grandi città alle urne
Roma ha poi conseguito, dalla fine della guerra nel 1945, un irrobustimento di attività e di strutture economiche che l’hanno resa, in ciò, alquanto più consistente di quel che era prima della guerra del 1915. Napoli è anch’essa tuttora un non trascurabile centro di produzione, commercio e servizi, anche se non è più quel che era ancora trent’anni fa come quarta città industriale del paese.
Proprio il fatto che, pur avendo sempre una loro consistenza, e pur non mancando di novità e iniziative, le due città permangano in una condizione di incertezza e di debolezza
mostra, però, tutta la loro negativa condizione odierna. Se poi si aggiun- ge che qui la ripresa economica è alquanto più debole che al Nord, o addirittura non c’è, la loro condizione appare perfino peggiore. Con una differenza, tuttavia: che Roma è la città a cui portano pressoché tutte le vie dell’Italia e del mondo, mentre Napoli non può contare che su se stessa, o poco più. Inoltre, la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024 dà ora alla città una prospettiva programmatica di non poco conto, mentre per Napoli non c’è nulla di simile.
Se, peraltro, si passa da questo piano a quello politico-amministrativo, le tre città appaiono molto più tristemente sorelle fra loro e denunciano una crisi che, dal più al meno, è la stessa in tutte loro. Lasciamo stare le questioni giudiziarie, che, del resto, riguardano ovunque una sfera più ampia di quella comunale. Facciamo a meno di considerare – per un attimo – il problema della malavita organizzata, non più così estraneo a Roma e neppure a Milano come fino a qualche tempo fa, ma ben più grave, come si sa, a Napoli.
Il panorama, detto in breve è, in pratica, uniforme, e denota una crisi di prospettive operative, di classi dirigenti, di capacità di guida e di indirizzo per quel che riguarda più strettamente i problemi singoli e specifici di ciascuna delle tre città, che rende molto perplessi. È facile farne colpa alla politica, o alle fatalmente sempre imputate classi dirigenti. Qui, però, non c’è la politica, né la classe, né la dirigenza. C’è un navigare a vista, che ormai si è visto da più anni come non porti da nessuna parte. È forte solo il conflitto di persone, di gruppi di potere e di pressione, tutti isolati nella loro dura individualità. Di molti partiti e gruppi ancora non si conoscono neppure i candidati, a tre o quattro mesi ormai dalle elezioni. E ovunque, con appena poche, anche se proprio per ciò più lodevoli, eccezioni si è parlato solo di persone e di gruppi. Programmi e idee sono rimasti uccelli rarissimi. Meno che mai si è sentito parlare, per l’occasione, della dimensione metropolitana assegnata dalla legge a queste città, che resta, in effetti, un cammino tutto ancora da percorrere ovunque.
Un quadro troppo nero? Non crediamo. Comunque, anche se lo si attenuasse, la sostanza non cambierebbe. Si potrà ribaltare questo stato di cose da qui alle elezioni? Vogliamo sperarlo, almeno in qualche misura. Si tratta – non lo si dirà mai abbastanza – di città che hanno ognuna le sue frecce nel proprio arco. Quel che è certo per ora è che nelle tre maggiori città italiane, seppure in misura diversa, emerge un vuoto di cultura, di vocazione e di dedizione politicoamministrativa, che non può essere giudicato come cosa che riguardi solo queste città. Ne sono in realtà in tutto coinvolti l’intero mondo politico italiano, i suoi capi, i suoi quadri, tutti i suoi esponenti, che ne abbiano coscienza o no.
Dopo di che, si critichi pure, ad esempio, per Napoli, Giorgio Napolitano, come alcuni hanno fatto, per il suo dichiararsi sempre più lontano dalla Napoli politica, ma nessuno può in buona fede sostenere di non capire da dove e perché nasca quella sconsolata dichiarazione.