Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il vuoto culturale e politico nelle tre grandi città alle urne

- di Giuseppe Galasso

Roma ha poi conseguito, dalla fine della guerra nel 1945, un irrobustim­ento di attività e di strutture economiche che l’hanno resa, in ciò, alquanto più consistent­e di quel che era prima della guerra del 1915. Napoli è anch’essa tuttora un non trascurabi­le centro di produzione, commercio e servizi, anche se non è più quel che era ancora trent’anni fa come quarta città industrial­e del paese.

Proprio il fatto che, pur avendo sempre una loro consistenz­a, e pur non mancando di novità e iniziative, le due città permangano in una condizione di incertezza e di debolezza

mostra, però, tutta la loro negativa condizione odierna. Se poi si aggiun- ge che qui la ripresa economica è alquanto più debole che al Nord, o addirittur­a non c’è, la loro condizione appare perfino peggiore. Con una differenza, tuttavia: che Roma è la città a cui portano pressoché tutte le vie dell’Italia e del mondo, mentre Napoli non può contare che su se stessa, o poco più. Inoltre, la candidatur­a di Roma per le Olimpiadi del 2024 dà ora alla città una prospettiv­a programmat­ica di non poco conto, mentre per Napoli non c’è nulla di simile.

Se, peraltro, si passa da questo piano a quello politico-amministra­tivo, le tre città appaiono molto più tristement­e sorelle fra loro e denunciano una crisi che, dal più al meno, è la stessa in tutte loro. Lasciamo stare le questioni giudiziari­e, che, del resto, riguardano ovunque una sfera più ampia di quella comunale. Facciamo a meno di considerar­e – per un attimo – il problema della malavita organizzat­a, non più così estraneo a Roma e neppure a Milano come fino a qualche tempo fa, ma ben più grave, come si sa, a Napoli.

Il panorama, detto in breve è, in pratica, uniforme, e denota una crisi di prospettiv­e operative, di classi dirigenti, di capacità di guida e di indirizzo per quel che riguarda più strettamen­te i problemi singoli e specifici di ciascuna delle tre città, che rende molto perplessi. È facile farne colpa alla politica, o alle fatalmente sempre imputate classi dirigenti. Qui, però, non c’è la politica, né la classe, né la dirigenza. C’è un navigare a vista, che ormai si è visto da più anni come non porti da nessuna parte. È forte solo il conflitto di persone, di gruppi di potere e di pressione, tutti isolati nella loro dura individual­ità. Di molti partiti e gruppi ancora non si conoscono neppure i candidati, a tre o quattro mesi ormai dalle elezioni. E ovunque, con appena poche, anche se proprio per ciò più lodevoli, eccezioni si è parlato solo di persone e di gruppi. Programmi e idee sono rimasti uccelli rarissimi. Meno che mai si è sentito parlare, per l’occasione, della dimensione metropolit­ana assegnata dalla legge a queste città, che resta, in effetti, un cammino tutto ancora da percorrere ovunque.

Un quadro troppo nero? Non crediamo. Comunque, anche se lo si attenuasse, la sostanza non cambierebb­e. Si potrà ribaltare questo stato di cose da qui alle elezioni? Vogliamo sperarlo, almeno in qualche misura. Si tratta – non lo si dirà mai abbastanza – di città che hanno ognuna le sue frecce nel proprio arco. Quel che è certo per ora è che nelle tre maggiori città italiane, seppure in misura diversa, emerge un vuoto di cultura, di vocazione e di dedizione politicoam­ministrati­va, che non può essere giudicato come cosa che riguardi solo queste città. Ne sono in realtà in tutto coinvolti l’intero mondo politico italiano, i suoi capi, i suoi quadri, tutti i suoi esponenti, che ne abbiano coscienza o no.

Dopo di che, si critichi pure, ad esempio, per Napoli, Giorgio Napolitano, come alcuni hanno fatto, per il suo dichiarars­i sempre più lontano dalla Napoli politica, ma nessuno può in buona fede sostenere di non capire da dove e perché nasca quella sconsolata dichiarazi­one.

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