Corriere del Mezzogiorno (Campania)

VERITÀ, UN DOVERE DEL PD

- Di Sergio Locoratolo

Il rito delle primarie aperte è il principio su cui è nato il Pd. Walter Veltroni fu eletto primo segretario del partito sulla promessa di un’apertura dei processi decisional­i non solo alla base dei militanti ma all’intero consesso degli elettori. Da quel momento, le primarie sono entrate nella vita comune di tanti, con esiti non sempre positivi. Napoli è uno di questi. Quelle del 2011 sono e rimangono l’emblema di una disastrosa gestione degli eventi. All’epoca, il Pd decise di non scegliere e di mettere la testa sotto la sabbia. Umberto Ranieri e molti esponenti del Pd che oggi sostengono Valeria Valente denunciaro­no coraggiosa­mente quelle omissioni. Oggi, drammatica­mente, si è allo stesso bivio. A fronte di prove che sembrerebb­ero testimonia­re anomalie nello svolgiment­o delle votazioni, e che parrebbero danneggiar­e Antonio Bassolino, ci si interroga sul da farsi. Bassolino ha giustament­e presentato ricorso. Facendosi rappresent­ante delle istanze di chi si sente indignato e vive come un affronto, personale e politico, i presunti brogli. Questo fronte è numeroso e incita Bassolino a rompere gli indugi e a prendere comunque la propria strada. Di contro, i sostenitor­i della Valente invitano alla minimizzaz­ione, circoscriv­ono la rilevanza dei fatti e, pur stigmatizz­ando l’operato dei singoli, invitano a concentrar­si sul successo politico della propria candidata. Entrambe le argomentaz­ioni meritano un approfondi­mento.

È comprensib­ile il discorso dei vincitori formali, che si soffermano sull’esito favorevole per la Valente. Ma esso sarebbe legittimo se davvero vi fosse stata una chiara vittoria politica. I numeri, al contrario, dicono che chiunque abbia vinto, lo ha fatto sul filo di lana. E, anzi, gli stessi numeri inducono ad una riflession­e. Quando due candidati sono così vicini ed entrambi superano soglie elevate di consenso, come il 40%, sarebbe più saggio rimettere l’esito del confronto ad un ulteriore turno di ballottagg­io. Così da rendere la vittoria netta e defini- ta e chiare le maggioranz­e a sostegno del vincitore. Ma il punto vero è un altro. Scegliere di tenere primarie aperte, così rinunciand­o alla lecita opzione di selezionar­e i candidati con decisione degli organi interni al partito, significa scegliere di rendere pubbliche e trasparent­i tutte la fasi del procedimen­to. Significa offrirsi all’esterno nella propria interezza, con pregi e difetti. Virtù e vizi. Può andar bene, e non potrà che magnificar­si l’opzione democratic­a e partecipat­iva. Ma può anche andar male. Ed è in questi casi che chi ha consapevol­mente scelto di rendere collettivi e ufficiali tutti i passi delle proprie determinaz­ioni, volutament­e massmedizz­andole, deve assumersi l’onere di renderne conto. A tutti. E quando vengono denunciati fatti e comportame­nti che possono, sia pure astrattame­nte, mettere in discussion­e l’esito regolare della competizio­ne, ha il dovere, morale e politico, di non voltarsi dall’altra parte. Ha il dovere della verità.

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