Corriere del Mezzogiorno (Campania)
VERITÀ, UN DOVERE DEL PD
Il rito delle primarie aperte è il principio su cui è nato il Pd. Walter Veltroni fu eletto primo segretario del partito sulla promessa di un’apertura dei processi decisionali non solo alla base dei militanti ma all’intero consesso degli elettori. Da quel momento, le primarie sono entrate nella vita comune di tanti, con esiti non sempre positivi. Napoli è uno di questi. Quelle del 2011 sono e rimangono l’emblema di una disastrosa gestione degli eventi. All’epoca, il Pd decise di non scegliere e di mettere la testa sotto la sabbia. Umberto Ranieri e molti esponenti del Pd che oggi sostengono Valeria Valente denunciarono coraggiosamente quelle omissioni. Oggi, drammaticamente, si è allo stesso bivio. A fronte di prove che sembrerebbero testimoniare anomalie nello svolgimento delle votazioni, e che parrebbero danneggiare Antonio Bassolino, ci si interroga sul da farsi. Bassolino ha giustamente presentato ricorso. Facendosi rappresentante delle istanze di chi si sente indignato e vive come un affronto, personale e politico, i presunti brogli. Questo fronte è numeroso e incita Bassolino a rompere gli indugi e a prendere comunque la propria strada. Di contro, i sostenitori della Valente invitano alla minimizzazione, circoscrivono la rilevanza dei fatti e, pur stigmatizzando l’operato dei singoli, invitano a concentrarsi sul successo politico della propria candidata. Entrambe le argomentazioni meritano un approfondimento.
È comprensibile il discorso dei vincitori formali, che si soffermano sull’esito favorevole per la Valente. Ma esso sarebbe legittimo se davvero vi fosse stata una chiara vittoria politica. I numeri, al contrario, dicono che chiunque abbia vinto, lo ha fatto sul filo di lana. E, anzi, gli stessi numeri inducono ad una riflessione. Quando due candidati sono così vicini ed entrambi superano soglie elevate di consenso, come il 40%, sarebbe più saggio rimettere l’esito del confronto ad un ulteriore turno di ballottaggio. Così da rendere la vittoria netta e defini- ta e chiare le maggioranze a sostegno del vincitore. Ma il punto vero è un altro. Scegliere di tenere primarie aperte, così rinunciando alla lecita opzione di selezionare i candidati con decisione degli organi interni al partito, significa scegliere di rendere pubbliche e trasparenti tutte la fasi del procedimento. Significa offrirsi all’esterno nella propria interezza, con pregi e difetti. Virtù e vizi. Può andar bene, e non potrà che magnificarsi l’opzione democratica e partecipativa. Ma può anche andar male. Ed è in questi casi che chi ha consapevolmente scelto di rendere collettivi e ufficiali tutti i passi delle proprie determinazioni, volutamente massmedizzandole, deve assumersi l’onere di renderne conto. A tutti. E quando vengono denunciati fatti e comportamenti che possono, sia pure astrattamente, mettere in discussione l’esito regolare della competizione, ha il dovere, morale e politico, di non voltarsi dall’altra parte. Ha il dovere della verità.