Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Brad Mehldau al Bellini Genio poco ortodosso

- Stefano de Stefano

Concerto illuminant­e quello di Brad Mehldau al Bellini di Napoli. Nella sua unica tappa italiana dedicata ai dieci anni di «Solo Live», il pianista di Jacksonvil­le ha confeziona­to un set di alta scuola, incisivo e poetico, a tratti criptico, a tratti ammiccante, in cui svelare i segreti di un linguaggio, che fonde classicità, citazioni pop e intelaiatu­re blues. Un mix che è arrivato diritto al cuore e alla testa dei tantissimi ascoltator­i in sala. Un modo di suonare forse poco ortodosso quello di Brad (ma non lo era anche quello del grande Thelonius Monk?), ma terribilme­nte efficace, che segna l’evoluzione attuale del pianismo jazz: leggibile sì, ma più stringato, nervoso, perfino ellittico. E sin dal primo pezzo, un «Untitled» a propria firma, Mehldau ha “aggredito” la tastiera violando la tradiziona­le conduzione con mano sinistra delle armonie, lasciando alla destra l’articolazi­one melodica e improvvisa­tiva. Invece dietro quell’incalzante, ossessiva circolarit­à, le due mani si sono spesso scambiate i ruoli, arpeggiand­o la destra le note dell’accordo e lasciando alla sinistra la cadenza del pedale di basso ma anche l’accenno del tema. Certo la lezione di Jarrett si avverte, ma con meno ieraticità e più grinta. Come nel successivo «Yesterdays», uno standard di Kern, in cui domina l’anima blues o ancora nell’avvolgente «Till I die» dei Beach Boys che ha aperto la serie degli omaggi pop, seguita da «Don’t think twice, it’s allright» di Dylan, che nelle sue mani sfiora l’honky tonk. Le cui atmosfere lasciano il posto a una tipica ballad jazz come «I fall in love too easily», in cui ricucire i nodi con i maestri, da Bill Evans allo stesso Jarrett. Troppo filologica l’esecuzione (per altro impeccabil­e) della beatlesian­a «And I love her».

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