Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Goethe e il pensiero crociano, una relazione profonda
A duecento anni dal «Viaggio in Italia» Un convegno internazionale e la presentazione di una lettera inedita
L’intervento di Emma Giammattei anticipa i temi del convegno internazionale su «Goethe e l’Italia», che oggi vede impegnati all’Università Suor Orsola Benincasa dalle 9.30 alcuni dei principali germanisti europei (da Marino Freschi ad Albert Meier) riuniti a Napoli in occasione del bicentenario della pubblicazione de «Il viaggio in Italia» di Goethe. Il convegno sarà aperto dal rettore del Suor Orsola Lucio D’Alessandro, con la presentazione di un’inedita lettera autografa di Goethe ritrovata negli archivi dell’ateneo.
Nel 1932 Thomas Mann tenne a Weimar un discorso celebrativo sulla fisionomia di scrittore di Goethe, nel centenario della morte. Lo iniziò con una descrizione dei gesti del braccio di Goethe morente nell’alba del 22 marzo 1832, gesti che a lungo, prima della fine, tracciavano nell’aria i segni della scrittura: «Goethe moriva scrivendo, esercitava questa attività per cui il corporeo si scioglie e si fa spirito e i prodotti dello spirito si consolidano e restano ». Questa immagine dello spirito che si incarna, per dir così, sulla carta è forse l’emblema più nitido di un’epoca della cultura europea di cui oggi si intravede la fine. Per il tramite di un testimone affine, T ho mas Mann,è lecito cogliere in triangolazione significativa il nesso profondo instaurato da Croce con il Goethe proprio a partire da una ontologia della scrittura e da una immaginazione grafica del reale. Croce considerava lo stesso processo della storia nei termini di «una frase in via di articolazione», in corrispondenza figurata con la forma-manoscritto e la composizione tipografica. A riscontro, i Taccuini di lavoro, testo centrale e non accessorio nel corpus crociano, offrono la testimonianza rivelatrice della identificazione fra soggetto, temporalità e scrittura. Nell’ultima pagina, del 1950, si legge permano della figlia Alda che scrive su dettatura: «Tornato il 29 settembre in Napoli mi accorsi che questo Diario volgeva alla sua fine». Il passaggio dalla prima alla terza persona segnala l’attribuzione di autonomia alla figura del Diario. In un discorso dell’io-senza-io, il concludersi del testo preannuncia la fine dell’Io empirico della scrittore, il quale riesce, in tale modo, a narrare l’epilogo, la propria morte, cioè l’ inenarrabile, quel medesimo gesto impossibile che è nella simulazione goethiana raccontata da Mann. Una così portentosa gittata dello spirito dentro ed oltre il regno della Vita accosta il lettore alla classicità inquieta e mai perfettamente classificabile del Goethe e, in certa misura, al modello goethiano tratteggiato dall’adepto novecentesco il quale non volle mai darci, è stato detto, «la rappresentazione del suo caos». Sullo sfondo di una relazione così stretta e potente, si comprende bene che Goethe sia chiamato a presiedere, in apertura, all’autobiografismo trascendentale del Contributo alla critica di me stesso, il testo chiave del Croce scrittore, all’insegna della equilibrata identità fra storia che è biografia e biografia che è storia: «Perché ciò che lo storico ha fatto agli altri, non dovrebbe fare a se stesso?». Solo in questa prospettiva totale assume pieno significato la molteplicità dei livelli in cui si registra la presenza ed anzi l’onnipresenza goethiana nel mondo di Croce, a partire dal 1885 fino agli ultimi anni: dai piccoli scritti eruditi su Volfango Goethe a Napoli firmati con lo pseudonimo bohèmien di Gustavo Colline alle letture e interpretazioni e traduzioni via via raccolte nelle edizioni accresciute del libro su Goethe dal 1919 al 1946, fino al drammatico messaggio inviato all’Unesco e trasmesso dalla Radio italiana nel maggio 1949, Goethe e la Germania.