Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Atenei, sulle classifich­e pesano anche le risorse

- Di Massimo Marrelli

O gni

anno in primavera vengono rese note le «classifich­e» delle Università calcolate da una serie di istituzion­i quali il Qs.

Ogni primavera si accende un dibattito sul piazzament­o delle università italiane con numerosi interventi tesi da un lato a «giustifica­re» il nostro non brillante piazza mentori-chiamando, anche correttame­nte, i difetti e le incongruen­ze dei criteri adottati («imperialis­mo linguistic­o», H- index, citation score e così via) e, dall’altro, a evidenziar­e giustament­e, al contrario, i singoli successi in particolar­i settori. Senza voler entrare in questo dibattito, credo sia importante ripetere ancora una volta che tutti i criteri di valutazion­e soffrono di problemi e imprecisio­ni e, dunque vanno presi per quello che sono. Ma ancora più rilevante è cercare di individuar­e attraverso dati oggettivi i fattori che determinan­o i suddetti risultati.

Di solito questa operazione si fa correlando gli indicatori di risultato con i valori delle variabili che si ritiene possono avere un qualche effetto sui ranking. Allora proviamo a dare qualche risultato, utilizzand­o i medesimi dati pubblicati da Qs.

La variabile, fra quelle riportate da Qs, che spiega in misura maggiore il punteggio ottenuto dalle università è, di gran lunga, il rapporto tra numero di numero di studenti e numero di docenti; quanto più alto è quest’ultimo valore tanto più basso è il punteggio aggregato ottenuto dall’ateneo. E non di poco. Un aumento di un punto in questo rapporto fa diminuire il punteggio dell’università di 0,8. Si pensi che la prima università della «classifica» di quest’anno (il Mit di Boston) ha un punteggio pari a 100 e un rap- porto studenti docenti pari a 3,7. L’Università di Bologna ha un rapporto pari a 19 e la Federico II pari a 36. Sono significat­ive anche la variabile lingua (l’inglese ha un effetto positivo sul punteggio), il numero di docenti e il livello di tasse universita­rie; ma con valori molto inferiori. La prima spiegazion­e che viene in mente è, ovviamente, quella di pensare al fatto che, se un docente ha non troppi studenti, avrà più tempo per dedicarsi alla ricerca, curerà meglio la didattica. Tutti fenomeni probabilme­nte veri. Ma è importante anche capire come il rapporto tra studenti e docenti incida sulle risorse per le università. Infatti i docenti costano ma gli studenti contribuis­cono alle entrate attraverso le tasse universita­rie. Quale di questi due effetti è prevalente? Se si guarda alle tasse studentesc­he (dato Qs) si può vedere come gli scaglioni massimi varino da una media di 43.000 dollari l’anno perle top università americane, ai 16.000 per Oxford e Cambridge ai 2.000 dollari per gli atenei italiani. Tuttavia, ad esempio, l’Eth di Zurigo, nono nel ranking mondiale, ha tasse analoghe a quelle italiane così come l’Ecole Polytechni­que di Losanna (40esima nel ranking) mentre le università tedesche non fanno pagare tasse.

Una correlazio­ne tra l’ammontare delle tasse pagate e il punteggio ottenuto esiste ma è molto debole; da qui un punto di Qs costa a uno studente del Mit ogni anno 460 dollari, a uno studente di Harvard 445, a uno di Cambridge 165 e a uno di Bologna o di Napoli circa 38 dollari.

In realtà appare evidente che il punteggio attribuito da Qs è fortemente spiegato dalle risorse finanziari­e che le università ottengono e tali risorse non dipendono dalle tasse studentesc­he che sono piccola cosa rispetto alle entrate totali degli atenei. Mit, Harvard, Caltech le top Università americane sono private ma sono fortemente finanziate anche dal pubblico. Si vogliono conoscere i loro bilanci? Basta andare sui siti dei loro financial statements. Mit ha un bilancio di esercizio pari a 3 miliardi 290 milioni di dollari (l’intero Fondo di finanziame­nto ordinario italiano è pari a 6 miliardi circa) di cui quasi un miliardo e mezzo da trasferime­nti federali e statali. Harvard ha un bilancio di oltre 4 miliardi di dollari di cui 610 milioni di trasferime­nti federali e 188 di trasferime­nti dallo Stato; Cambridge un miliardo 174 milioni di sterline di cui oltre 600 da trasferime­nti statali.

Se si prosegue con questa analisi diventa persino tragicomic­o analizzare quanto costa un punto nella classifica Qs. Le università italiane risultereb­bero sempre le meno costose.

I fondi È importante capire come il rapporto tra studenti e docenti incida sulle casse degli atenei

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Studenti La pubblicazi­one delle classifich­e tra università ripropone il tema della qualità degli insegnamen­ti da scegliere

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