Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’EFFETTO BOOMERANG DEL FURORE
Luigi de Magistris alza i toni della sua campagna elettorale. È questa la notizia della settimana. Ha reagito alla sentenza del Tar su Bagnoli (a lui sfavorevole) con un crescendo di aggressività. Attaccando la prossima riunione della cabina di regia, ha parlato di «stanze ammuffite in cui non si fanno le cose alla luce del sole». A Renzi ha lanciato poco meno che una minaccia: «Se pensa di mettere le mani sulla città, sarà respinto con fermezza». E poi, divagando: «È diventato presidente del Consiglio con una manovra di palazzo e governa con persone condannate per corruzione». E ancora: «È impregnato di scandali: Boschi, Verdini, Guidi, Bagnoli, primarie di Napoli, n’drangheta, mafia Capitale». Sull’estrema gravità di giudizi che vengono non da un comune cittadino, ma dal sindaco di tutti i napoletani, c’è poco da aggiungere. Lo strappo istituzionale ripetuto, l’attribuzione al governo di intenzioni delittuose, le accuse a ministri e politici per inchieste e processi non conclusi: tutto configura un furore politico e semantico al quale, pure in un clima tradizionalmente caldo come quello italiano, sarebbe sbagliato assuefarsi, finendo per ritenerlo fisiologico. La polemica demagistrisiana non lo è. È un fenomeno politicamente patologico, che dovrebbe allarmare non solo gli organi dello Stato, ma l’intera opinione pubblica. Ma proprio per il suo carattere estremo, c’è da chiedersi quale sia la logica e quali possano essere le conseguenze della radicalizzazione decisa da palazzo San Giacomo.
Che de Magistris intenda presentarsi come un leader antagonista, è noto. Antagonista nel significato corrente del termine, cioè vicino alle aree dell’antagonismo sociale. Antagonista del governo nazionale. Antagonista del ceto politico tout court, stigmatizzato come una banda di corrotti. Il problema è: quanto peserà questo approccio alle comunali di giugno?
La questione non è semplice. L’elettorato napoletano appare in una condizione di particolare debolezza. Non ha i connotati politici e le reti organizzative di una volta. La coalizione berlusc on ianaèevap orata. IlPdè sommerso dalla propria conflittualità masochista. Incombe la prospettiva di un forte astensionismo o di un voto post-ideologico, che esprima generico malcontento ed estraneità alla politica. Ebbene, de Magistris sembra puntare proprio sul disorientamento dell’opinione pubblica, sulla sua stanchezza, sui suoi umori vittimistici, recriminatori, antisistema. E i sondaggi suggeriscono che il calcolo non é infondato. Che cioè il sindaco, con i suoi twitter futuristi sulla città dell’amore e sul governo della mafia, é riuscito a costruire il proprio «zoccolo duro» e che così conta di approdare al ballottaggio. Già. Ma dopo? Cinque anni fa, il secondo turno si rivelò perde Magis tris una marcia trionfale. Mentre infatti Lettieri non fu capace di allargare i confini del proprio territorio politico (che allora si identificava con il Cavaliere), de Magistris ebbe dalla sua, oltre che i voti «arancioni» raccolti al primo turno, anche un’opinione pubblica di sinistra la quale, ligia al dovere di sconfiggere la destra, finì per votarlo. Magari poco convinta. Oggi però la discriminante destra/ sinistra è molto meno forte. E non sarebbe da stupirsi se, al secondo turno, l’elettorato (di sinistra o di destra) rimasto orfano del proprio candidato decidesse di fare confluire i propri voti sul competitore di de Magistris. Se cioè alla Valente andassero i consensi di una parte degli elettori di destra. O a Lettieri quelli di una parte degli elettori di sinistra. Non sarebbe da stupirsi, in altri termini, se al ballottaggio il voto trasversale penalizzasse l’attuale sindaco, invece di favorirlo, come fu nel 2011. Un simile comportamento di voto potrebbe essere rafforzato dalle molte perplessità chele performance dell’ amministrazione de magi strisian a hanno suscitato nella gente. Ma anche, per un segmento almeno dell’opinione pubblica, dalla stessa radicalizzazione che il sindaco ha voluto imprimere al suo profilo politico. Dal suo estremismo anti-istituzionale. Dal furibondo piglio antirenziano. Non é detto che i cosiddetti moderati (di destra o di sinistra) apprezzino tutto questo. Non é detto che non ne siano allarmati. Al punto da decidere di votare, al secondo turno, per il candidato rimasto a incrociare le armi con de Magistris, chiunque esso sia. In questo caso, proprio la strategia del sindaco di alzare continuamente l’asticella della propria «diversità» avrebbe finito per rinchiuderlo nel recinto dei suoi fan, precludendogli il consenso di un’opinione più ampia. Quella che cinque anni fa l’aveva portato a palazzo San Giacomo.