Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La nazione napoletana fra mito e realtà
Quello di Aurelio Musi ( Mito e realtà
della nazione napoletana, Guida Editori, Napoli, 2016) è un notevole e riuscito affresco storico (nel senso più comprensivo della storia della cultura e della politica) che ha ad oggetto l’evolvere e l’incrociarsi di categorie e concetti che caratterizzano la lunga durata della nazione napoletana: quelli di invenzione, mito identitario e realtà storica. L’obiettivo della ricerca è quello di cogliere, nel lungo periodo della storia del Regno di Napoli, dallo splendore del periodo umanistico fino all’Unità d’Italia, i tratti essenziali del formarsi e dello sformarsi della «nazione napoletana». Ciò che entra subito in questione è se vi sia o meno un rapporto di filiazione tra Stato e Nazione e viceversa. È una ipotesi che Musi giustamente problematizza, anche alla luce del fatto che «la nazione è il risultato di un processo storico di lunga durata: in nessun caso è stata un’invenzione puramente politica». Si è così fatto ricorso alla distinzione fra «nazionalità» e «nazione», fra un sostrato nazionale preesistente e la nazione come materiale di cui è oggettivamente fatto lo Stato. Ma come si pone la questione con riferimento all’Italia? A differenza del percorso seguito dai grandi Stati europei, il cammino intrapreso dall’Italia ha fatto sì che la nazione italiana si delineasse ben prima della realizzazione dello Stato-Nazione unitario. In questo processo si intrecciano fattori positivi e negativi (ne cito solo due: l’equilibrio tra sviluppo dello Stato e sviluppo della società civile contraddetto dalla presenza di dislivelli notevoli in questa relazione), la cui continua mescolanza è alla base del lento formarsi della nazione italiana prima dello Stato unitario. Perciò – argomenta Musi – l’esperienza della storia d’Italia mette allo scoperto il rapporto conseguenziale tra il lento costituirsi di una unità condivisa e lo scarso radicamento nazionale di tutte quelle forze protagoniste nel lungo periodo della storia italiana. Ciò non toglie che vi sia stato in questa storia un «forte pluralismo delle identità territoriali preunitarie», dentro il quale si profila il caso della nazione napoletana. Tutta la prima parte del volume è dedicata all’analisi della natura e identità della nazione Regnum, vista attraverso le riflessioni della cultura storica e politica napoletana: da Pontano a Collenuccio, da Di Costanzo a Summonte, da Tutini alla rivolta di Masaniello. E poi la grande stagione della cultura filosofica e scientifica napoletana tra fine del XVII secolo e inizi del XVIII contrassegnata dalla Accademia di Medinaceli e dai grandi nomi di Paolo Mattia Doria, Gregorio Caloprese e Pietro Giannone. Il passo successivo, con l’avvento al trono di Carlo III, è quello dello «Stato nazionale borbonico» e della fioritura della grande scuola genovesiana. Non v’è qui lo spazio per ricordare tutti i successivi passaggi dell’argomentazione di Musi – valga per tutti l’idea di nazione napoletana elaborata da Vincenzo Cuoco – che si concentra specialmente in un denso capitolo dedicato alla complessa transizione, scandita dagli eventi del 1860-61, dalla nazione napoletana alla nazione italiana. Con l’Unità d’Italia ha inizio un’altra storia. Finisce l’entità politicoistituzionale del Regno di Napoli, e restano però tracce del mito/invenzione della nazione napoletana, spesso utilizzato in chiave revisionistica (Musi parla di stereotipi e luoghi comuni della ideologia neoborbonica), da contrapporre alla forzata integrazione del Meridione nel nuovo quadro politico ed economico dell’Italia unita. A questa tendenza si contrappone quella che Musi definisce «la via della riflessione critica» sui modi in cui si è dato vita alla costruzione dell’unificazione e dentro questa alla nascita della questione meridionale. Con l’unità nazionale si apre una dialettica non ancora conchiusa tra il passo necessario dell’ex regno di Napoli verso l’integrazione nazionale, da un lato e, dall’altro, la progressiva permanenza di una crisi di identità, rivelatasi più che nelle farneticazioni dei neoborbonici, in quel continuo alternarsi di rotture e squilibri che ancora oggi segnano la vicenda storica e politica del Mezzogiorno.