Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UNA ZONA FRANCA PER L’ARTE
Napoli, zona franca della cultura. È questa la proposta che verrà lanciata oggi al Convegno organizzato dall’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Napoli dal titolo «Con la cultura si cresce.
Fiscalità e strategie di crescita in ambito culturale per la città di Napoli». Il dibattito pubblico si è concentrato molto negli ultimi mesi sulla possibilità di rendere il settore culturale un asset per la rigenerazione economica e civile della città di Napoli. In questo quadro si inserisce la proposta di utilizzare la leva fiscale per realizzare un progetto di crescita della città di Napoli mediante la creazione di una zona urbana defiscalizzata per il settore culturale. Si tratta di replicare un modello già sperimentato in Italia con l’istituzione delle zone franche urbane ma orientato a sostenere la crescita dei soggetti operanti sul mercato culturale e di stimolarne la creazione di nuovi. Le Zones Franches Urbaines sono state inizialmente introdotte nell’ordinamento francese nel 1996 e hanno coinvolto cento aree urbane periferiche con l’obiettivo di indurre un processo di riqualificazione del tessuto civile ed economico.
Istituire una zona franca della cultura in una delle più importanti capitali del Mediterraneo avrebbe l’effetto di sperimentare un nuovo corso nella politica fiscale: concentrare le risorse in un’area economicamente depressa ma ricca di un patrimonio artistico e di attività creative uniche al mondo. Si tratterebbe di rendere Napoli un laboratorio in Europa dove sperimentare un grande progetto nel comparto culturale e della creatività. La defiscalizzazione del comparto culturale unitamente alla creazione di strumenti giuridici per sviluppare nuove forme di imprenditorialità non lucrativa nel settore culturale e una definizione degli enti associativi culturali può rappresentare un progetto che lungi dal rappresentare l’ennesima richiesta di finanziamenti a pioggia ha il vantaggio di introdurre meccanismi non discrezionali e con effetti, anche in termini erariali, più che proporzionali. Dagli ultimi rapporti Svimez sappiamo che, considerando il settore culturale «allargato», inglobando cioè i settori industriali e terziari che contribuiscono alla realizzazione dei prodotti culturali, nel 2014 nell’Europa a 28 sono stati 17,7 milioni gli occupati, pari a una quota del 8,1% sul totale. Se Svezia (12,9%), Finlandia (11,5%), Regno Unito (11,2%) superano la media Ue, l’Italia si ferma invece al 7,3%, pari a 1 milione 600mila posti di lavoro. Di questi, 1 milione e 350mila si trovano nel Centro-Nord, circa 283mila al Sud. Da questo dato si evince che solo il 17% dell’occupazione nel settore culturale è concentrata nelle aree del mezzogiorno. Tanti in realtà sono i segnali di arretratezza che anche nella gestione dei beni culturali si registrano nella città di Napoli. Altrove si sono sperimentati negli ultimi anni dei tentativi di gestione dei beni storico artistici in grado di conciliare la natura pubblica del patrimonio e la partecipazione di soggetti privati nella conduzione dei beni culturali. Questi tentativi hanno trovato la loro sintesi nelle Fondazioni di partecipazione. Uno strumento giuridico, sorto dalla prassi, che ha innovato profondamente il tradizionale istituto delle Fondazioni introducendo due importanti novità: la possibilità dei capitali privati di aderire alle Fondazioni anche successivamente alla costituzione iniziale e la possibilità dei fondatori di partecipare attivamente alla gestione dell’ente e alle sue attività. Nella proposta elaborata a sostegno di una fiscalità di vantaggio per la città di Napoli si ritiene necessario stimolare la creazione di una figura giuridica di impresa culturale sul modello esistente delle società di capitali sportive senza scopo di lucro. Agevolare la creazione delle Fondazioni di Partecipazione, così come proporre la creazione di imprese culturali senza scopo di lucro, avrebbe l’effetto di modernizzare la gestione dei beni culturali per la città di Napoli attivando la comunità e sfruttando la considerevole diffusione territoriale dei beni culturali nonché l’originale intreccio urbanistico tra il patrimonio artistico e suoi abitanti. In un famoso saggio pubblicato nel 1975, Potere e società a
Napoli nel dopoguerra, il politologo inglese Percy Allum riconobbe come fondamento della società meridionale l’incoerenza esistente tra i valori e i principi della società moderna (Gesellschaft) e le dinamiche tipiche delle formazioni sociali tradizionali (Gemeinshaft). Napoli deve vincere questa sfida emancipandosi dalla recriminazione e facendosi carico di stimolare, a partire dalla cultura, la creazione di un modello per l’intera Europa.