Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Dal kitsch all’arte L’evoluzione di Gomorra
Messo da parte il Volto santo con le luci ora tocca a Vincent pure con la maglia azzurra
«Idipinti hanno una vita propria che deriva dall’anima dell’autore», scrisse fiducioso un giorno van Gogh.
Tuttavia il povero Vincent per la disperazione si sarebbe riattaccato alla bottiglia di assenzio e si sarebbe tagliato anche l’altro orecchio se avesse saputo che razza di vita propria avrebbero in futuro fatto alcuni suoi dipinti, e in quali mani erano andate a finire due delle sue tele più note. Mani criminali, per la precisione quelle di un boss tuttora in principesca latitanza a Dubai e con cui si inaugura una nuova figura di delinquente, il camorrista-collezionista: basta con le piscine stile Scarface, niente più pantere nere stile Gomorra, e chiamate subito il saponaro per portare via quel trono pacchiano e quel divano barocco con copertura dorata, ma soprattutto via dal muro il Volto Santo circondato da luminarie intermittenti, ché ora lo status symbol del camorrista 2.0 è la grande arte moderna: finiti i tempi in cui Totò-Antonio Scannagatti sputava nell’occhio al pittore che si vantava di aver dipinto un’imitation de Picassò (“Veramòn l’ha fatto lei?”), ormai è scoccata l’ora dell’impegno culturale anche per i delinquenti più incalliti. L’animo artistico, in verità, l’hanno sempre avuto: da Cutolo in poi non c’è boss che non abbia dato alle stampe la sua brava raccolta di poesie, solitamente ispirate ai valori universali della pace e dell’amore per il prossimo, ma qui siamo davvero al salto di qualità antropologico.
Perché per apprezzare i capolavori di van Gogh bisogna ospitare una sensibilità speciale, un sentimento di empatia con la natura e di stoica accettazione della miseria umana che sembra contrastare in tutto con l’arroganza sanguinaria di un capoclan alla Gomorra. E allora, come spiegarsi questa mutazione genetica, quest’improvviso balzare dalla paranza dei bambini alla paranza dei collezionisti? Forse basta dare un’occhiata al valore stimato delle opere recuperate e restituite al legittimo proprietario (il Museo van Gogh di Amsterdam): cento milioni di dollari tondi, un investimento da poter sbloccare sul mercato clandestino al momento giusto, un “benerifugio” più saldo di oro e diamanti.
Insomma: la camorra ha imparato l’arte e sa come metterla da parte.
Stavolta, però, dopo 14 anni la Guardia di Finanza ha recuperato entrambe le opere rubate, e mariuoli e ricettatori sentono ora minacciosamente vicine le atmosfere di un altro dipinto famoso di van Gogh: sta al Museo Puškin di Mosca e si intitola «La ronda dei carcerati». Nel frattempo, comunque, l’inatteso ritrovamento nel Napoletano dei due quadri ha messo in moto la fantasia partenopea: del resto, gli unici “van” conosciuti finora in città erano van Wittel e van Basten, per i musicofili Van Morrison e per i cinefili kubrickiani Ludovico Van. Su Vincent, dunque, la Rete si è scatenata: cito per tutti il van Gogh immortalato nell’«autoritratto in maglietta azzurra». Il “calciatore” olandese più amato di Napoli dai tempi di Rudi Kroll.