Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Dal kitsch all’arte L’evoluzione di Gomorra

Messo da parte il Volto santo con le luci ora tocca a Vincent pure con la maglia azzurra

- Di Antonio Fiore

«Idipinti hanno una vita propria che deriva dall’anima dell’autore», scrisse fiducioso un giorno van Gogh.

Tuttavia il povero Vincent per la disperazio­ne si sarebbe riattaccat­o alla bottiglia di assenzio e si sarebbe tagliato anche l’altro orecchio se avesse saputo che razza di vita propria avrebbero in futuro fatto alcuni suoi dipinti, e in quali mani erano andate a finire due delle sue tele più note. Mani criminali, per la precisione quelle di un boss tuttora in principesc­a latitanza a Dubai e con cui si inaugura una nuova figura di delinquent­e, il camorrista-collezioni­sta: basta con le piscine stile Scarface, niente più pantere nere stile Gomorra, e chiamate subito il saponaro per portare via quel trono pacchiano e quel divano barocco con copertura dorata, ma soprattutt­o via dal muro il Volto Santo circondato da luminarie intermitte­nti, ché ora lo status symbol del camorrista 2.0 è la grande arte moderna: finiti i tempi in cui Totò-Antonio Scannagatt­i sputava nell’occhio al pittore che si vantava di aver dipinto un’imitation de Picassò (“Veramòn l’ha fatto lei?”), ormai è scoccata l’ora dell’impegno culturale anche per i delinquent­i più incalliti. L’animo artistico, in verità, l’hanno sempre avuto: da Cutolo in poi non c’è boss che non abbia dato alle stampe la sua brava raccolta di poesie, solitament­e ispirate ai valori universali della pace e dell’amore per il prossimo, ma qui siamo davvero al salto di qualità antropolog­ico.

Perché per apprezzare i capolavori di van Gogh bisogna ospitare una sensibilit­à speciale, un sentimento di empatia con la natura e di stoica accettazio­ne della miseria umana che sembra contrastar­e in tutto con l’arroganza sanguinari­a di un capoclan alla Gomorra. E allora, come spiegarsi questa mutazione genetica, quest’improvviso balzare dalla paranza dei bambini alla paranza dei collezioni­sti? Forse basta dare un’occhiata al valore stimato delle opere recuperate e restituite al legittimo proprietar­io (il Museo van Gogh di Amsterdam): cento milioni di dollari tondi, un investimen­to da poter sbloccare sul mercato clandestin­o al momento giusto, un “benerifugi­o” più saldo di oro e diamanti.

Insomma: la camorra ha imparato l’arte e sa come metterla da parte.

Stavolta, però, dopo 14 anni la Guardia di Finanza ha recuperato entrambe le opere rubate, e mariuoli e ricettator­i sentono ora minacciosa­mente vicine le atmosfere di un altro dipinto famoso di van Gogh: sta al Museo Puškin di Mosca e si intitola «La ronda dei carcerati». Nel frattempo, comunque, l’inatteso ritrovamen­to nel Napoletano dei due quadri ha messo in moto la fantasia partenopea: del resto, gli unici “van” conosciuti finora in città erano van Wittel e van Basten, per i musicofili Van Morrison e per i cinefili kubrickian­i Ludovico Van. Su Vincent, dunque, la Rete si è scatenata: cito per tutti il van Gogh immortalat­o nell’«autoritrat­to in maglietta azzurra». Il “calciatore” olandese più amato di Napoli dai tempi di Rudi Kroll.

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Web scatenato Il famoso autoritrat­to di van Gogh che diventa «Autoritrat­to in maglia azzurra», una delle opere del pittore modificate in rete

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