Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Patto» tra boss mentre sono al 41 bis

Il pentito Mario Lo Russo: «Le celle erano vicine, una di fronte all’altra e ci potevamo dire di tutto Così facemmo rinascere l’Alleanza di Secondigli­ano»

- di Fabio Postiglion­e

NAPOLI Un summit nel carcere dell’Aquila per dettare ordini all’esterno, ristabilir­e le gerarchie e ribadire che l’Alleanza di Secondigli­ano, il super clan che negli anni Ottanta e Novanta mise in ginocchio Napoli con omicidi, contrabban­do di sigarette e traffici di droga, c’è ed esiste ancora. Un verbale di 17 giorni fa che apre ad uno scenario inquietant­e perché racconta la facilità con la quale i capi della camorra napoletana continuano a dettare legge anche se reclusi nei penitenzia­ri di massima sicurezza o al regime del carcere duro. A spiegarlo ai pm della Dda di Napoli, impegnati quotidiana­mente con le forze dell’ordine nella lotta al crimine, è l’ex boss Mario Lo Russo, 60 anni compiuti il 23 agosto e per oltre 40 ai vertici della camorra napoletana.

Da pochi mesi ha deciso di collaborar­e con lo Stato: prima di lui il fratello Salvatore e due mesi fa l’altro congiunto Carlo. Una valanga di verbali, in gran parte secretati, che via via vengono depositati nei processi contro i boss che ancora non si sono «arresi» allo Stato e che sono sotto processo per svariati reati. Una pagina, in parte «omissata» nella quale l’ex boss spiega come riusciva a parlare con gli altri capi della camorra detenuti in regime di 41bis, dove finanche le ore di aria sono trascorse in solitudine. Eppure qualcosa si è inceppato nel sistema, ed è lo stesso Lo Russo a spiegarlo al magistrato della Dda Ida Teresi che il 12 settembre ha firmato il verbale di interrogat­orio: «Dottoressa — dice — è un problema dovuto alle strutture carcerarie». Il “capitone”, così come è soprannomi­nato l’ex capoclan, fa anche i nomi dei detenuti con i quali era recluso. È la fine del 2015, al carcere dell’Aquila e riferisce un messaggio importante per gli «007»: l’Alleanza di Secondigli­ano è tornata unita. Il carcere e gli spifferi

«Conosco Nicola Rullo, come un uomo di vertice del clan Contini e con lui sono stato recluso al carcere duro all’Aquila — mette a verbale Lo Russo alle ore 10,45 del 12 settembre 2015 — Di fronte a me c’era Giuseppe Mallardo ed è lì che ci parlavamo». Il pm allora lo interrompe e gli chiede spiegazion­i, cercando di capire come fosse possibile che boss reclusi al carcere duro potessero parlare tra loro. «Certo che potevamo parlare», risponde il pentito. E continua: «Avevamo le celle una accanto all’altra, o di fronte, e ci potevamo dire di tutto. Trasmetter­ci messaggi, ordini e notizie». Poi la spiegazion­e, semplice quanto surreale: «È un problema dovuto alle strutture carcerarie». Infine il sigillo a quello che è il nuovo accordo criminale ristabilit­o: «Voglio chiarire che per tutti noi i clan Contini e Mallardo sono ancora uniti, una sola cosa. Noi siamo le famiglie camorristi­che napoletane più forti». Quando dice noi, Lo Russo intende l’Alleanza di Secondigli­ano: «I Lo Russo, i Licciardi, i Contini e i Mallardo». Parla e tanto Mario Lo Russo, arrestato a marzo del 2014 per armi e tentato omicidio (una questione di donne che provocò l’omicidio di Mario Raffone a Capodimont­e), trasferito al carcere duro all’Aquila a settembre del 2015 e diventato collaborat­ore a marzo.

Ha passato una vita intera in galera. È lui a spiegarlo: «Sono stato in carcere dal 1991 al 1998. Libero per un anno. Poi in carcere dal 1999 al 2013 e libero fino al marzo del 2014». Quando fu fondata l’Alleanza di Secondigli­ano, il gruppo criminale che aveva piegato la vecchia camorra del centro di Napoli (Misso, Giuliano e Mariano), lui era detenuto. «Accanto ai boss storici quali Eduardo Contini, Patrizio Bosti, Ciccio Mallardo, Salvatore Botta, Egidio Annunziata, c’era mio fratello Giuseppe come componente e capo dei Lo Russo. Per i Licciardi c’erano i fratelli Vincenzo, Pietro, Maria e i nipoti Pierino e Giovanni». Anni di guerre, pentimenti e arresti. Ma anni anche di grandi affari in giro per il mondo. «Negli ultimi tempi — spiega Lo Russo — il rapporto tra Patrizio Bosti, Ciccio Mallardo ed Eduardo Contini è lo stesso di decenni fa: sempre uniti».

Il ruolo delle donne

In assenza dei mariti latitanti o al carcere duro, chi comanda? Mario Lo Russo non ha dubbi: le donne. E fa i nomi ai magistrati. «Anna e Rita Aieta fanno di certo parte del clan, sia in quanto gestiscono i soldi della cosca dei Contini ad alti livelli, sia perché il clan le riconosce come donne di vertice: se loro due danno l’ordine di non fare estorsioni a uno, il clan esegue l’ordine e l’estorsione non si fa». Le due donne sono sorelle, Rita è moglie di Patrizio Bosti e suocera della figlia di Mario Lo Russo: «Mena ha sposato Ettore Bosti detto “’o russo”».

Il ruolo delle donne «Se i mariti sono finiti in cella a comandare sono le mogli Se danno l’ordine di non fare estorsioni, l’estorsione non si fa»

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Penitenzia­ri inadeguati Per il camorrista contatti tra criminali favoriti dalle strutture che li ospitavano

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