Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL VENTENNIO BERLUSCONIANO NON HA LASCIATO TRACCE AL SUD
L’ottantesimo compleanno ha procurato a Silvio Berlusconi una valanga di auguri e di congratulazioni anche da parte di nemici o di avversari. È un buon segno. Tutto ciò che non degrada la lotta politica a una faida belluina o a un duello rusticano non può che essere approvato, e fornisce sempre qualche, sia pur pallida, nota di civiltà ai contrasti e alle contrapposizioni inevitabili nella vita pubblica.
Da venti anni e più a questa parte Berlusconi ha avuto, peraltro, un tale ruolo nella recente storia italiana che sarebbe apparso più che strano se così non fosse stato. Lo si era già visto in occasione delle sue recenti, gravi traversie di salute, per le quali ugualmente da tutta Italia e dall’estero gli erano giunti innumerevoli messaggi di augurio. E, poiché Berlusconi e i suoi portavoce o fedelissimi hanno annunciato che egli sta tornando talmente in piena forma da poter presto riprendere il suo posto di prima fila nella politica italiana, è da credere che la solidarietà e gli auguri così largamente espressigli da tante e così diverse parti, e non solo del mondo politico, siano stati un elemento importante della sua rapida ripresa.
Quale sarebbe l’azione di Berlusconi nel prossimo futuro è già abbastanza chiaro da ciò che ha detto e cercato di fare anche nei mesi della sua minore agibilità personale. Tutto sommato, nulla di particolarmente nuovo rispetto al senso e alle strategie della sua azione precedente: unità della destra intorno a lui, alleanza stretta con la lega Nord, contrapposizione frontale con il Partito democratico, solite promesse di misure economiche e fiscali anticrisi e alleviatrici, revisione degli atteggiamenti italiani sul piano internazionale, e in particolare verso l’Unione Europea, riconsiderazione del problema dei migranti. Il tutto a partire da una decisa, radicale opposizione alla politica di Renzi, alla sua stessa persona politica, a tutte le sue proposte di riforma istituzionale ed elettorale.
Nulla davvero di nuovo, dunque, come dicevamo. Qualcosa di meno, anzi, e comunque, rispetto al Berlusconi che abbiamo conosciuto nell’agone politico per tanti anni, finora, al governo o all’opposizione. Si è, infatti, totalmente disperso tutto ciò che aveva formato il nucleo politico e ideologico dell’attrazione a lungo esercitata da Berlusconi: la promessa di una «rivoluzione liberale», gli impegni in materia fiscale ripetutamente assunti nei suoi «patti con gli italiani», l’avvio a uno Stato leggero, una politica economica di stampo liberistico in equilibrio con alcuni tratti irrinunciabili dello stato sociale, e così via.
Su queste basi Berlusconi operò il prodigio della sua grande vittoria elettorale nel 1994, e su di esse ottenne ancora la successiva grande vittoria del 2001. Ma già la, pur essa grande, vittoria del 2008 non ebbe più lo smalto di quelle precedenti. Fu larga l’impressione che a determinarla fosse stata soprattutto l’inadeguatezza programmatica e politica della sinistra che gli si contrapponeva: una inadeguatezza già ampiamente dimostrata nei due periodi di governo dal 1996 al 2001 e dal 2006 al 2008. Poi Berlusconi vi aggiunse una gestione che a molti apparve sconsiderata della sua figura di uomo pubblico, e questo ne provocò la verticale caduta politica ancor più delle sue traversie giudiziarie.
Ci pare, perciò, improbabile che il ritorno in piena forma di Berlusconi sul palcoscenico della politica italiana possa dar luogo a nulla di paragonabile alle sue precedenti discese in questo campo, né annunciarne svolte profonde e positive.
A farcelo credere è, del resto, un altro incontestabile dato di fatto. Del ventennio berlusconiano, che cosa è rimasto di consolidato, di duraturo, di strutturato nella vita pubblica del paese quanto a classe politica e dirigente? Ben poco: tanto poco da potersi dire nulla. Una serie di colonnelli, sergenti e caporali in perenne rissa fra loro, una serie di micropartiti e gruppuscoli di più che ardua definizione politica, una serie di pretenziose quanto vuote chiesuole individualistiche e localistiche. Ciò vuol dire che la precedente seminagione non era stata felice e non aveva dato che frutti di cenere e tosco. Se poi parliamo del Mezzogiorno, queste note negative debbono essere moltiplicate varie volte. Tra l’altro, è stato proprio negli anni dell’alternanza al potere di Berlusconi e della sinistra che il Mezzogiorno è scomparso dall’agenda più attiva e rilevante della politica italiana, con una forte riduzione della sua già debole posizione nel contesto nazionale e internazionale.
La seduzione berlusconiana potrà nel prossimo futuro riavviare un processo virtuoso dopo un fallimento così plateale? Diremmo, ovviamente, proprio di no, e, comunque, lo vedremo. Un fallimento tanto più grave in quanto, a essere franchi fino in fondo come si deve, dall’opposto settore di sinistra il bilancio del trascorso ventennio è grosso modo analogo. Non avremmo avuto il grande slancio di Renzi se non fosse stato così, e non vi sarebbe una giustificazione così evidente del suo successo, né la speranza di molti che questo slancio non venga interrotto. E soprattutto non avremmo le «sorprese» – che erano da attendersi – di nuove parti politiche, che, malgrado i loro malfermi fondamenti ideologici e culturali e le nebbiose prospettive politiche, portano alla ribalta nuove persone, energie e figure di protagonisti del dibattito e della lotta politica, come quelle dei 5 Stelle, che, almeno per il momento, aggravano, non risolvono i problemi di guida politica del paese.