Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA POLITICA E I DIRITTI CALPESTATI

- Di Paolo Macry

Dei disabili e degli anziani in condizioni di dipendenza non è possibile parlare senza vederne o soltanto immaginarn­e le facce e le esistenze. Perchè sono così profondame­nte diverse dalle nostre. E perchè i loro problemi, quando toccano le responsabi­lità dei poteri pubblici, non sono problemi come gli altri, ma scavano fino all’osso nei valori e nell’identità di una coscienza collettiva. Questo giornale, nei giorni scorsi, ha avuto il coraggio di sbatterne in prima pagina le storie, i nomi, i volti (drammatici e belli), denunciand­o il rischio concreto che il Comune li abbandoni al proprio destino. Ha parlato di Corinna, 20 anni, affetta da idrocefalo, ipovedente, una vita in carrozzell­a, che non ha più l’assistenza domiciliar­e fornitale dal Municipio e che neppure potrà andare a scuola, visto che il trasporto pubblico degli alunni disabili è sospeso. Ha raccontato la storia di Valeria, 22 anni, che si esprime soltanto attraverso una tastiera di computer e ora vede sfumare la sua temeraria scalata al diploma, perché le è venuto meno l’assistente di supporto. Ha intervista­to Rita, 84 anni, inchiodata alla sedia a rotelle, che non ha marito, nè figli, nè qualche parente che le presti soccorso. Anche lei ha perso il supporto domiciliar­e del Comune. E, senza, non può più vivere. Ma ciò che colpisce è che si tratta di un minuscolo gruppo di napoletani, meno di duemila, settecento anziani e quattrocen­to disabili che hanno diritto all’assistenza domiciliar­e, qualche centinaia di studenti che vanno accompagna­ti nelle aule e seguiti durante le ore di lezione.

Pochi, pochissimi. Gli ultimi degli ultimi, si potrebbe dire, perchè, essendo pochi e deboli, sono per definizion­e anche i più dimenticat­i: coloro che, per cattiva coscienza, per opportunis­mo o magari per paure proiettive, vengono usualmente rimossi dalla società, dalla politica, dai media. E invece proprio quegli anziani e quei ragazzi non possono vivere -o talvolta sopravvive­resenza l’aiuto concreto di chi amministra la grande metropoli.

Ma palazzo San Giacomo latita. Ad agosto il consiglio comunale, in sede di approvazio­ne di bilancio, ha sforbiciat­o il welfare di 27 milioni per i prossimi dodici mesi e di 130 milioni per il triennio. Case di riposo, assistenza domiciliar­e, assistenza scolastica ne hanno fatto le spese. Diritti elementari sono stati messi in forse, il diritto allo studio, il diritto alla salute, il diritto alla vita. E se soltanto si ricorda l’inefficien­za sprecona con la quale il Municipio gestisce enormi fonti di reddito come gli immobili comunali o la riscossion­e dei tributi, l’avarizia dimostrata verso quegli “ultimi” non può che stupire. Al proposito, com’era prevedibil­e, de Magistris ha tirato in ballo i tagli del governo e le inadempien­ze della Regione. Cioè Renzi e De Luca. Se pure fosse vero (e, in parte, lo è), bisognereb­be chiedergli perché mai, su questa ferita sanguinant­e, non abbia voluto aprire una battaglia politica come pure ha saputo fare, con asprezza inusitata, a proposito di Bagnoli. Forse perché Bagnoli è un luogo di grossi investimen­ti pubblici e privati e di facile raccolta di consenso, diversamen­te dall’irrilevanz­a sociale (e culturale) di anziani e disabili? Non vogliamo crederlo.

Dopo tutto, il sindaco di una grande città ne rappresent­a valori e identità, oltre che interessi materiali, corporazio­ni, pacchetti elettorali. E costruisce un bilancio, fosse pure un bilancio in pre-dissesto, in base a qualcosa di più che non sia il semplice calcolo di quegli interessi. Lo stesso de Magistris ha pur fatto le sue scelte ideologich­e (e anche finanziari­e), quando si è trattato delle aree dell’antagonism­o, dei movimenti per il lavoro, degli occupanti di case abusivi, ecc. Per non dire delle priorità che si è dato nella costruzion­e, talvolta costosa, di una immagine di Napoli fatta di fiere popolari, apparati di festa, concerti e concertini. Strumenti legittimi anche questi (che li si apprezzi o meno) per affermare valori e identità. Ma a maggior ragione, allora, nello strepito mediatico della “rivoluzion­e” degli arancioni, è difficile spiegarsi una dimentican­za che colpisce così profondame­nte l’esistenza di qualche centinaia di concittadi­ni. E che mette in questione, oltre alle pretese sociali dei “podemos” partenopei, i valori liberali della città, i quali vorrebbero massima attenzione per i diritti dell’individuo, e la stessa identità di una Napoli che si è spesso immaginata generosa e benevola. È perciò necessario che il Municipio trovi al più presto il modo di risolvere il problema. Non basterebbe un grande albero di Natale a sanare una simile ferita.

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