Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA POLITICA E I DIRITTI CALPESTATI
Dei disabili e degli anziani in condizioni di dipendenza non è possibile parlare senza vederne o soltanto immaginarne le facce e le esistenze. Perchè sono così profondamente diverse dalle nostre. E perchè i loro problemi, quando toccano le responsabilità dei poteri pubblici, non sono problemi come gli altri, ma scavano fino all’osso nei valori e nell’identità di una coscienza collettiva. Questo giornale, nei giorni scorsi, ha avuto il coraggio di sbatterne in prima pagina le storie, i nomi, i volti (drammatici e belli), denunciando il rischio concreto che il Comune li abbandoni al proprio destino. Ha parlato di Corinna, 20 anni, affetta da idrocefalo, ipovedente, una vita in carrozzella, che non ha più l’assistenza domiciliare fornitale dal Municipio e che neppure potrà andare a scuola, visto che il trasporto pubblico degli alunni disabili è sospeso. Ha raccontato la storia di Valeria, 22 anni, che si esprime soltanto attraverso una tastiera di computer e ora vede sfumare la sua temeraria scalata al diploma, perché le è venuto meno l’assistente di supporto. Ha intervistato Rita, 84 anni, inchiodata alla sedia a rotelle, che non ha marito, nè figli, nè qualche parente che le presti soccorso. Anche lei ha perso il supporto domiciliare del Comune. E, senza, non può più vivere. Ma ciò che colpisce è che si tratta di un minuscolo gruppo di napoletani, meno di duemila, settecento anziani e quattrocento disabili che hanno diritto all’assistenza domiciliare, qualche centinaia di studenti che vanno accompagnati nelle aule e seguiti durante le ore di lezione.
Pochi, pochissimi. Gli ultimi degli ultimi, si potrebbe dire, perchè, essendo pochi e deboli, sono per definizione anche i più dimenticati: coloro che, per cattiva coscienza, per opportunismo o magari per paure proiettive, vengono usualmente rimossi dalla società, dalla politica, dai media. E invece proprio quegli anziani e quei ragazzi non possono vivere -o talvolta sopravviveresenza l’aiuto concreto di chi amministra la grande metropoli.
Ma palazzo San Giacomo latita. Ad agosto il consiglio comunale, in sede di approvazione di bilancio, ha sforbiciato il welfare di 27 milioni per i prossimi dodici mesi e di 130 milioni per il triennio. Case di riposo, assistenza domiciliare, assistenza scolastica ne hanno fatto le spese. Diritti elementari sono stati messi in forse, il diritto allo studio, il diritto alla salute, il diritto alla vita. E se soltanto si ricorda l’inefficienza sprecona con la quale il Municipio gestisce enormi fonti di reddito come gli immobili comunali o la riscossione dei tributi, l’avarizia dimostrata verso quegli “ultimi” non può che stupire. Al proposito, com’era prevedibile, de Magistris ha tirato in ballo i tagli del governo e le inadempienze della Regione. Cioè Renzi e De Luca. Se pure fosse vero (e, in parte, lo è), bisognerebbe chiedergli perché mai, su questa ferita sanguinante, non abbia voluto aprire una battaglia politica come pure ha saputo fare, con asprezza inusitata, a proposito di Bagnoli. Forse perché Bagnoli è un luogo di grossi investimenti pubblici e privati e di facile raccolta di consenso, diversamente dall’irrilevanza sociale (e culturale) di anziani e disabili? Non vogliamo crederlo.
Dopo tutto, il sindaco di una grande città ne rappresenta valori e identità, oltre che interessi materiali, corporazioni, pacchetti elettorali. E costruisce un bilancio, fosse pure un bilancio in pre-dissesto, in base a qualcosa di più che non sia il semplice calcolo di quegli interessi. Lo stesso de Magistris ha pur fatto le sue scelte ideologiche (e anche finanziarie), quando si è trattato delle aree dell’antagonismo, dei movimenti per il lavoro, degli occupanti di case abusivi, ecc. Per non dire delle priorità che si è dato nella costruzione, talvolta costosa, di una immagine di Napoli fatta di fiere popolari, apparati di festa, concerti e concertini. Strumenti legittimi anche questi (che li si apprezzi o meno) per affermare valori e identità. Ma a maggior ragione, allora, nello strepito mediatico della “rivoluzione” degli arancioni, è difficile spiegarsi una dimenticanza che colpisce così profondamente l’esistenza di qualche centinaia di concittadini. E che mette in questione, oltre alle pretese sociali dei “podemos” partenopei, i valori liberali della città, i quali vorrebbero massima attenzione per i diritti dell’individuo, e la stessa identità di una Napoli che si è spesso immaginata generosa e benevola. È perciò necessario che il Municipio trovi al più presto il modo di risolvere il problema. Non basterebbe un grande albero di Natale a sanare una simile ferita.