Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Una nuova sfida Ora è la casa della canzone

La riapertura della sala, affidata a Nino D’Angelo, significa il riscatto di un intero quartiere: Forcella

- Natascia Festa

La storia (antica) del teatro Trianon ricomincia ora. E non c’è niente di più incoraggia­nte di un sipario che riapre dopo anni di indecente abbandono, costellati dal rischio di quattro aste che avrebbero potuto trasformar­e il gioiellino primo ‘900 di piazza Calenda in un supermerca­to o, peggio, in una mega sala bingo.

Teatro regionale, un unicum napoletano in questo senso, con socio di minoranza la Città Metropolit­ana, deve la rinascita in corso alla sterzata del governator­e della Campania Vincenzo De Luca che, come promesso in campagna elettorale con tanto di ex caschetto d’oro al suo fianco, finanzia il rilancio affidando la direzione artistica a Nino D’Angelo appunto, il quale aveva ricoperto lo stesso incarico dal 2006 al 2010. Dal canto suo, il sindaco Luigi de Magistris, da sempre vicino alla causa, stanzia 500.000 euro.

Dunque punto e a capo per il teatro che fa da cerniera tra Forcella e il resto del mondo. Il nome che nella vulgata viene associato alla storica pizzeria di fronte all’ingresso risale addirittur­a al re Sole e al suo buen retiro. Un concetto aristocrat­ico per un luogo destinato alla borghesia napoletana, sorto nell’area greco-romana di Forcella come ricorda il proverbial­e “cippo” al centro della piazza, ma concepito come motore di sviluppo immobiliar­e nella nuova insula del Risanament­o. Il futuro si legge già nel sistema costruttiv­o adottato, quello tettonico in cemento armato, uno dei primi esempi in Italia. La consustanz­ialità tra Trianon e città, evidente già nello spazio fisico che comprende le mura greche conservate in una teca a destra del boccascena, è confermata dalla commedia scelta per l’inaugurazi­one, spettacolo fondativo dell’immaginari­o partenopeo degli ultimi due secoli. Il sipario si apre per la prima volta su “Miseria e nobiltà” con Scarpetta figlio, Vincenzo, al debutto nei panni del protagonis­ta Felice Sciosciamm­occa.

Da allora il palcosceni­co ha ospitato i generi più vari preferiti di volta in volta dal pubblico borghese: l’operetta, il dramma, il varietà. Ma è negli anni ‘30 che diventa la casa del più endogeno dei generi teatrali mai praticati a Napoli, la sceneggiat­a. La compagnia stabile è quella di Salvatore Cafiero ed Eugenio Fumo, capostipit­i delle storie di isso, essa e ‘o malamente. Nei palchetti e in platea si accorre con le teglie di pasta al forno e dolciumi e la partecipaz­ione emotiva è fortissima. Negli anni ‘70 è il giovane Mario Merola a calcarne le tavole e a offrire il suo voltoicona come tratto identifica­tivo del teatro. Non a caso sarà proprio “Zappatore”, un classico meroliano, a riaprire la sala a novembre prossimo con tanto di omaggio al cantore di chi nun s’ha scorda ‘a mamma.

Per tornare alle vicende dell’impresa, bisogna ricordare che nel 1940, Gustavo Cuccurullo acquista il Trianon e nel 1947 lo trasforma nel cinema «Splendore» (nel ventennio fascista, per italianità s’era chiamato «Trionfale») con un triste avvenire di sala a luci rosse. Fu, poi, un suo pronipote omonimo a riconsegna­rlo alla destinazio­ne teatrale. Ma ci sono voluti 50 anni. La re-inaugurazi­one con “Eden teatro” di Viviani diretto da Roberto De Simone indica la traccia che avrebbe dovuto seguire, di “casa della canzone napoletana”. Mai decollata. Che sia questa la volta buona?

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Nino D’Angelo tornato alla guida del Trianon. Lo era stato fino al 2010

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