Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Letteratura, il Sud è declinato solo al plurale
Sostiene Walter Pedullà che la letteratura italiana discende da Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello.
Sostiene Walter Pedullà che la letteratura italiana discende da due grandi scrittori meridionali, Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello, con il limite che nel complesso i suoi autori hanno scritto troppo come D’Annunzio e pensato troppo poco come Pirandello. Al contrario dell’abruzzese, Pirandello si è preoccupato di cercare l’oro del fango, e il fango – all’epoca – era innanzitutto costituito dalle umili condizioni di vita di un Sud contadino, dal legno storto dell’esistenza. Oggi che il Sud e l’Italia sono infinitamente mutati, e che sono mutati i centri e le periferie, la lingua e il dialetto, i lavori, i consumi, la politica, con quali strumenti ci si può orientare nel fango? E, più in generale: ha senso parlare ancora di letteratura meridionale, come qualcosa che è possibile confinare in un preciso recinto? I tre giorni degli Stati generali della Letteratura del Sud, nati da un’idea di Francesco Durante e organizzati da Salerno Letteratura a Acciaroli e Pollica lo scorso fine settimana, sono iniziati proprio con queste domande poste da Pedullà. Vi hanno risposto scrittori molto diversi tra loro, per libri scritti, per provenienza geografica, per biografia, per urgenze, per età… Eppure emergono alcuni punti in comune. Ben oltre la fine del Novecento, e l’esaurirsi della spinta del meridionalismo classico, restano sul tappeto una serie di frammenti. È come se il Sud odierno potesse essere declinato solo al plurale, come un coacervo di realtà che è molto difficile ricondurre a unità. Chi poi è divenuto adulto a cavallo dei due secoli, ha vissuto in pieno una sorta di cesura, di ferita, tra il mondo di prima e il mondo di dopo. Come se la grande trasformazione fosse oramai già alle spalle e avesse riguardato in particolare i luoghi più emblematici del Sud (non solo città come Napoli o Taranto, ma anche l’osso dell’Appennino). Se Simonetta Agnello Hornby vede nel Sud qualcosa che ci si porta biograficamente sempre dietro, per Carmen Pellegrino raccontarlo vuol dire provare a trovare la grazia e in brandelli fratturati, sgraziati. Mentre per Carmine Abate il Sud coincide con la propria lingua madre, l’arbëreshë parlato nei “suoi” paesi, e con l’epopea del suo incontro con altre lingue nell’immigrazione, per Giuseppe Lupo è ancora sinonimo di utopia. È vecchio, o al contrario è moderno, questo modo di intendere le cose? È moderno, direbbe ancora Pedullà, se produce una rottura tale da poter mettere in discussione il modo in cui guardiamo il mondo che ci circonda. Tuttavia è possibile fare un salto del genere, credo, solo se si tengono a mente almeno due fattori. Il primo è che il mondo contemporaneo ci restituisce costantemente l’immagine di altri Sud che premono alle porte del nostro Sud. Lo attraversano, e sovente lo modificano. Oggi non è possibile parlare di Sud (e di fango, e di occhiali da inforcare per guardare il mondo) se non si pensa all’intera area mediterranea, e a come le sue trasformazioni o i suoi stravolgimenti influiscono direttamente sulle nostre vite. Forse manca ancora una letteratura che sia in grado non solo di registrare tutto questo, ma di partire da qui per creare un nuovo immaginario. Il secondo aspetto è dato dalla totale trasformazione del rapporto tra chi scrive libri e il mondo della politica. Non mancano i primi, manca un tavolo di discussione con la seconda, specie nel momento in cui il Sud sembra uscire dall’agenda del governo. A questo va aggiunto, come sottolineato da Nicola Lagioia, che nel nuovo secolo si sono esaurite una dopo l’altra le speranze politiche suscitate in serie dalla primavera siciliana, da quella napoletana, e da quella pugliese. Anche, in questo caso, rimangono sul campo soprattutto brandelli e frammenti. Gli Stati Generali hanno alimentato altre domande, più che fornire risposte. Ma da una prima edizione era soprattutto necessario fare questo: una ricognizione degli sguardi, dei punti interrogativi e dei lavori in corso. Con pazienza, da alcuni del frammenti si potrà rimettere insieme un discorso comune. Un confronto comune più che una lingua comune. Quella, forse, non è mai esistita.
Rapporti È in corso una totale trasformazione del rapporto tra chi scrive libri e la politica