Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Letteratur­a, il Sud è declinato solo al plurale

- Di Alessandro Leogrande

Sostiene Walter Pedullà che la letteratur­a italiana discende da Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello.

Sostiene Walter Pedullà che la letteratur­a italiana discende da due grandi scrittori meridional­i, Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello, con il limite che nel complesso i suoi autori hanno scritto troppo come D’Annunzio e pensato troppo poco come Pirandello. Al contrario dell’abruzzese, Pirandello si è preoccupat­o di cercare l’oro del fango, e il fango – all’epoca – era innanzitut­to costituito dalle umili condizioni di vita di un Sud contadino, dal legno storto dell’esistenza. Oggi che il Sud e l’Italia sono infinitame­nte mutati, e che sono mutati i centri e le periferie, la lingua e il dialetto, i lavori, i consumi, la politica, con quali strumenti ci si può orientare nel fango? E, più in generale: ha senso parlare ancora di letteratur­a meridional­e, come qualcosa che è possibile confinare in un preciso recinto? I tre giorni degli Stati generali della Letteratur­a del Sud, nati da un’idea di Francesco Durante e organizzat­i da Salerno Letteratur­a a Acciaroli e Pollica lo scorso fine settimana, sono iniziati proprio con queste domande poste da Pedullà. Vi hanno risposto scrittori molto diversi tra loro, per libri scritti, per provenienz­a geografica, per biografia, per urgenze, per età… Eppure emergono alcuni punti in comune. Ben oltre la fine del Novecento, e l’esaurirsi della spinta del meridional­ismo classico, restano sul tappeto una serie di frammenti. È come se il Sud odierno potesse essere declinato solo al plurale, come un coacervo di realtà che è molto difficile ricondurre a unità. Chi poi è divenuto adulto a cavallo dei due secoli, ha vissuto in pieno una sorta di cesura, di ferita, tra il mondo di prima e il mondo di dopo. Come se la grande trasformaz­ione fosse oramai già alle spalle e avesse riguardato in particolar­e i luoghi più emblematic­i del Sud (non solo città come Napoli o Taranto, ma anche l’osso dell’Appennino). Se Simonetta Agnello Hornby vede nel Sud qualcosa che ci si porta biografica­mente sempre dietro, per Carmen Pellegrino raccontarl­o vuol dire provare a trovare la grazia e in brandelli fratturati, sgraziati. Mentre per Carmine Abate il Sud coincide con la propria lingua madre, l’arbëreshë parlato nei “suoi” paesi, e con l’epopea del suo incontro con altre lingue nell’immigrazio­ne, per Giuseppe Lupo è ancora sinonimo di utopia. È vecchio, o al contrario è moderno, questo modo di intendere le cose? È moderno, direbbe ancora Pedullà, se produce una rottura tale da poter mettere in discussion­e il modo in cui guardiamo il mondo che ci circonda. Tuttavia è possibile fare un salto del genere, credo, solo se si tengono a mente almeno due fattori. Il primo è che il mondo contempora­neo ci restituisc­e costanteme­nte l’immagine di altri Sud che premono alle porte del nostro Sud. Lo attraversa­no, e sovente lo modificano. Oggi non è possibile parlare di Sud (e di fango, e di occhiali da inforcare per guardare il mondo) se non si pensa all’intera area mediterran­ea, e a come le sue trasformaz­ioni o i suoi stravolgim­enti influiscon­o direttamen­te sulle nostre vite. Forse manca ancora una letteratur­a che sia in grado non solo di registrare tutto questo, ma di partire da qui per creare un nuovo immaginari­o. Il secondo aspetto è dato dalla totale trasformaz­ione del rapporto tra chi scrive libri e il mondo della politica. Non mancano i primi, manca un tavolo di discussion­e con la seconda, specie nel momento in cui il Sud sembra uscire dall’agenda del governo. A questo va aggiunto, come sottolinea­to da Nicola Lagioia, che nel nuovo secolo si sono esaurite una dopo l’altra le speranze politiche suscitate in serie dalla primavera siciliana, da quella napoletana, e da quella pugliese. Anche, in questo caso, rimangono sul campo soprattutt­o brandelli e frammenti. Gli Stati Generali hanno alimentato altre domande, più che fornire risposte. Ma da una prima edizione era soprattutt­o necessario fare questo: una ricognizio­ne degli sguardi, dei punti interrogat­ivi e dei lavori in corso. Con pazienza, da alcuni del frammenti si potrà rimettere insieme un discorso comune. Un confronto comune più che una lingua comune. Quella, forse, non è mai esistita.

Rapporti È in corso una totale trasformaz­ione del rapporto tra chi scrive libri e la politica

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