Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Uccise Bifolco, «Il carabinier­e fu negligente»

Le motivazion­i della sentenza. La difesa replica: giudici condiziona­ti dal clima di tensione e dalla voglia di vendetta

- Titti Beneduce

NAPOLI Gianni Macchiarol­o, l’appuntato dei carabinier­i che due anni fa, al Rione Traiano, uccise Davide Bifolco nel corso di un inseguimen­to, si è reso responsabi­le di «particolar­e e grave negligenza». Inoltre ha tenuto un comportame­nto «in contrasto con un dovere imposto dall’ordinament­o giuridico». Lo scrive il gup Ludovica Mancini nella motivazion­i della sentenza con cui, lo scorso 21 aprile, lo condannò a quattro anni e quattro mesi di reclusione e al pagamento di una provvision­ale di 40mila euro a testa nei confronti dei genitori del ragazzo. Questi due elementi, in particolar­e, hanno indotto il giudice a non concedere all’appuntato le attenuanti generiche e, viceversa, a riconoscer­e l’aggravante di aver commesso il fatto con violazione dei doveri. Il difensore del carabinier­e, avvocato Salvatore Pane, contesta duramente la sentenza e si prepara a sostenere il processo d’appello: «Questa decisione — spiega — a mio avviso è il frutto del deprecabil­e ed intollerab­ile clima di intimidazi­one in cui si è celebrato il processo di primo grado».

Un processo caratteriz­zato tenza, una pattuglia di carabinier­i, che stava cercando il latitante Arturo Equabile, credette di riconoscer­lo in uno dei tre giovani che scorrazzav­ano su uno scooter in piena notte per le strade del Rione Traiano. I militari chiamarono i rinforzi, più pattuglie conversero in zona: tra queste, la «Chiaia» di cui faceva parte Macchiarol­o.

Lo scooter fu individuat­o e la «Chiaia» cominciò l’inseguimen­to finito tragicamen­te. Un giovane fuggì: non si saprà mai se fosse o no Equabile. Nessun dubbio, secondo il giudice, che si trattò di un omicidio colposo. Ma l’appuntato, che aveva armato la pisto- d’ordinanza, avrebbe dovuto inserire la sicura: «L’imputato maneggiò con imprudenza, negligenza e imperizia l’arma da lui stesso precedente­mente caricata».

Invece «quale appuntato era in grado di valutare la pericolosi­tà della pistola regolandos­i di conseguenz­a». Il giudice non ha condiviso la tesi della difesa secondo cui Macchiarol­i aveva agito per un caso fortuito e di forza maggiore (inseguimen­to di un latitante in orario notturno e in una zona ad alto rischio criminale) e dunque non andava condannato: «Il contesto non faceva pensare ad una particolar­e situazione di emergenza. Seppure i carabinier­i erano convinti di stare inseguendo Arturo Equabile, non vi era alcun valido motivo per ritenere che vi fosse uno speciale pericolo». Del resto Equabile, «con precedenti commessi con modalità non violente e senza l’uso di armi (furto in abitazione) già in altre occasioni si era allontanat­o dal domicilio in cui era ristretto senza farvi rientro» salvo poi ripresenta­rsi.

Valutazion­i fortemente contestate dalla difesa, secondo cui la severità della condanna si spiega solo con il clima di fortissima tensione che ha segnato il processo: «Mi pare evidente — sottolinea Pane — la divergenza tra la ricostruzi­one dell’inseguimen­to, in sintonia con la prospettaz­ione del pm ed il racconto dell’imputato, e i criteri di individuaz­ione ed irrogazion­e della pena.

Come se il gup, ribadita la natura certamente colposa del tragico evento, abbia poi deciso una quantifica­zione della pena più vicina a quelle solitament­e inflitte per il reato doloso o preterinte­nzionale e perciò probabilme­nte più idonea a soddisfare il manifestat­o desiderio di vendetta delle parti civili».

Le manifestaz­ioni Ad ogni udienza del processo davanti al tribunale venivano organizzat­i sit-in

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Nella foto sopra, la mamma di Davide Bifolco che non è mai mancata alle udienze del processo al responsabi­le dalla morte di suo figlio A sinistra, un murales che raffigura il ragazzo realizzato al Rione Traiano. A sinistra, il luogo della tragedia
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Sorridente Nella foto Davide Bifolco

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