Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Masculillo» e «femmenella», violenza di genere tra i bambini
NAPOLI Una bambola al posto del pallone, pentoline e tazzine invece di pistole e fucili. Basta poco per essere discriminati, insultati e violentati psicologicamente già ad otto anni. Ma c’è di più: se al contrario una bambina mostra bravura e passione nel calcio e interesse a partecipare ai giochi dei maschietti, diventa il capo del gruppo. Viene stimata e osannata dagli altri.
È questo il risultato di una ricerca condotta dalla Federico II su 60 bambini di Secondigliano. Un riassunto, ovviamente, stringato al massimo ma che dà il senso della mentalità che i più piccoli subito assorbono dai più grandi. Lo studio «Giovanotti Femmenelle e Signurine Masculone. A ognuno la libertà di esprimere la propria identità» è stato illustrato ieri nel corso del dibattito «L’identità di genere tra passato e futuro», nell’ambito della settimana della prevenzione «Alpha Omega», in corso all’Hotel Royal di Napoli, con il coordinamento scientifico della professoressa Annamaria Colao.
La ricerca è stata condotta da Mariano Gianola, nell’ambito delle iniziative del Servizio antidiscriminazione e cultura delle differenze del centro di ateneo sinapsi della Federico II. Sotto la lente i «gender nonconforming» con bambini dagli 8 ai 12 anni che nel relazionarsi si discostano dalle norme sociali che definiscono e prescrivono i canoni di mascolinità o femminilità. «Su 60 di loro osservati - ha spiegato Paolo Valerio, professore di psicologia clinica e direttore del Centro Sinapsi - 5 erano chiamati dagli altri bimbi femmenella e due masculillo. I primi soffrivano per il termine considerato dispregiativo e vivevano un disagio profondo. Molto meno, invece, accadeva alle masculillo che rispetto a quel tipo di cultura rappresentavano un valore». Le bambine «gendernonconforming», infatti, non vengono discriminate, ma anzi vivono una condizione di inclusione sociale privilegiata tra i propri pari: se giocano a calcio vengono nominate capitane delle loro squadre, mentre i femminelli vivono una profonda condizione di esclusione. Tra le evidenze emerse c’è «che il vero tabù della nostra società è la femminilizzazione del maschio, perché la non conformità ai ruoli di genere può essere molto più pesante per i maschi che per le femmine».
Nella ricerca, durata circa un anno, i bambini discriminati percependosi come errati, per favorire la propria inclusione sociale all’interno del «gruppo dei pari», hanno attivato una serie di escamotage come l’ade- guamento ai comportamenti socialmente richiesti, ad esempio giocando a calcio, non giocando più con le bambole o con i puzzle delle principesse. «Tali escamotage - conclude la ricerca - non portano ad alcun tipo di inclusione rinnovando, invece, le discriminazioni subite. Inoltre, il mettere in scena comportamenti tipicamente maschili, snaturando il proprio modo di essere, non può essere mantenuto per lungo tempo».
Mario Gianola scrive: «L’inerziosa e, spesso, acritica tendenza umana, esemplifcatrice e riduttrice delle realtà possibili e percepibili, compie uno dei suoi più grandi omicidi quando, voracemente e sintomaticamente, nega sostanza e legittimità ai differenti colori e sfumature che può contemplare ogni atomo appartenente alle identità individuali e sociali. L’estrema prescrittività del dualismo di genere e le concezioni monodimensionali etero-centriche rappresentano i capri espiatori di questa terribile e, purtroppo, impeccabile missione distruttrice».