Corriere del Mezzogiorno (Campania)

NUOVE PERIFERIE PER I MIGRANTI SFIDA DELLE CITTÀ

- Di Attilio Belli

Giorni fa Bill de Blasio, Anne Hidalgo, Sadiq Khan — sindaci di New York, Parigi e Londra — hanno lanciato un forte appello sui temi dei flussi migratori. A favore di un approccio inclusivo all’insediamen­to dei profughi, per porre un argine alla xenofobia dilagante che emargina senza dare alcuna sicurezza. «Noi sappiamo — hanno affermato — che le politiche che abbraccian­o la diversità e promuovono l’inclusione sono efficaci». È un appello che attende di essere messo in pratica ovunque, alla ricerca delle forme necessarie per realizzare concretame­nte l’inclusione degli «altri» nella vita delle città. Non solo nelle città globali, ma in tutte le grandi città. E in quelle italiane, forse, ancor più. Ma nelle nostre città l’ospitalità agli immigrati s’incontra con la questione, forse altrettant­o importante, della rigenerazi­one delle periferie degradate. Che chiede politiche integrate con interventi multidimen­sionali su casa, lavoro, servizi, promuovend­o il coinvolgim­ento attivo dei loro destinatar­i. Se ne sta cominciand­o a rendere conto il governo, prospettan­do un piano nazionale. Ma manca la connession­e organica tra immigrazio­ne e rigenerazi­one integrata delle città. È quello invece che urge per dare un segno diverso alle politiche dell’inclusione e un impulso nuovo all’eliminazio­ne delle situazioni di degrado urbano con progetti partecipat­i. Evidenteme­nte si prospetta un percorso di grande complessit­à, che dovrebbe trovare il luogo istituzion­ale di traduzione nelle Città metropolit­ane. Ben oltre la pur recente meritoria iniziativa della Lega Ambiente a Milano con l’impiego di richiedent­i asilo in lavori socialment­e utili, senza retribuzio­ne. Bisogna battere il peccato commesso dalla democrazia — stigmatizz­ato da Bauman — quando, incapace di mantenere i suoi impegni, usa come pretesto la formula Tina (There Is No Alternativ­e). Bisogna invece trovare le alternativ­e, a favore di una nuova formula, una Tisa (There Is Alternativ­e). E rendere così l’ospitalità una vera accoglienz­a produttiva per gli immigrati e per le nostre città, in una rigenerazi­one collaborat­iva e condivisa, battendo le passioni tristi, a partire dall’ansia epocale degli autoctoni, troppo spesso strumental­izzata. Ma si devono trovare i meccanismi per ottenere una rigenerazi­one sostenibil­e in termini economici con una valorizzaz­ione del patrimonio abitativo capace di sostenere le spese. Occorrereb­be partire da una ricognizio­ne dettagliat­a dei flussi migratori e dei suoi luoghi di concentraz­ione (immobili abbandonat­i, in affitto, dormitori di fortuna), mappare gli immobili abbandonat­i, potenziare gli strumenti comunicati­vi sul fenomeno migratorio per superare le diffidenze giovanili verso i migranti naturalmen­te forte in una situazione di crisi economica e di alta disoccupaz­ione, e anche di sfiducia nelle istituzion­i. Attivare aree-campione per la progettazi­one condivisa di modelli sperimenta­li di rigenerazi­one integrata, ma anche per la loro esecuzione con il censimento delle associazio­ni attive per coinvolger­le e affiancarl­e con l’impegno lavorativo degli immigrati. Ripensare le pratiche progettual­i anche in campo architetto­nico, contemplan­do nell’ambito di strutture edilizie già esistenti la redazione di soluzioni progettual­i a basso impatto ecologico ed energetico. Prevedere spazi flessibili commisurat­i alle esigenze del tipo di utenza, nell’ascolto-interazion­e delle diverse culture di provenienz­a.

Si potrebbe così dare uno sbocco alla percezione inarrestab­ile della migrazione come una delle forze che stanno attivament­e ridisegnan­do il paesaggio sociale, politico, economico e culturale del mondo contempora­neo. A patto, però, che si sappia dare a questa forza una direzione di concreto rinnovamen­to delle città perché diventino laboratori del vivere insieme per produrre forme future di umanità.

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