Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Bianchi «sfonda» lo spazio di Casamadre con un ciclo inedito
Nella mostra che Domenico Bianchi presenta da domani alle 19.30 nella galleria Casamadre di piazza de’ Martiri, c’è la conferma di quella inquietudine speculativa che da sempre ha portato l’artista romano a interrogarsi sul rapporto fra oggetto e spazio. Una relazione insita alla ricerca artistica di ogni tempo, ma che qui si connota con la tendenza a ordinare, indirizzare e controllare, non affidandosi all’ignoto mondo presente dietro la tela, come accadeva con i tagli di Lucio Fontana, ma piuttosto rivelando le possibilità visive legate all’idea stessa di sfondamento dei piani spaziali. Che nell’inedito ciclo napoletano, Bianchi affida tanto alla misura mentale che a quella fisica. «Ho predisposto – spiega l’artista – sulla parte di destra della sala grande della galleria una superfice composta da dieci opere di forma rettangolare di 1 metro e 10 per 1 metro e 40, con all’interno riquadri in bianco e blu che si rivelano attraverso il vuoto ritagliato ritmicamente al centro della sagoma». Un ritmo che ritorna anche nella sala finale con l’occupazione della parte più ampia con un altro assemblaggio di opere, che diventano quasi tessere musive di un grande mosaico, un rettangolo gigantesco di 5 metri e 60 di lunghezza e 3 metri e 60 di altezza, in cui prevale il colore bianco abitato da disegni in argento. «Il problema a questo punto – continua Bianchi – era come mettere in relazione questi due spazi per offrire una visione simultanea del progetto. E così con Eduardo Cicelyn abbiamo immaginato di sfondare letteralmente la parete che divide le due stanze, creando due finestre rettangolari, che nel rispetto di un’unità di misura simbolica, saranno dello stesso formato dei quadri presenti nella prima sala. Così i visitatori entrando potranno contestualmente osservare il primo lavoro sulla propria destra e il secondo attraverso le aperture praticate nel muro divisorio, con un inevitabile effetto di moltiplicazione di segni e colori». Un gioco di volumi che sembra riportare all’idea di una camera ottica settecentesca, che però qui si predispone all’osservazione del reale piuttosto che dell’artificio riproduttivo del paesaggio. «Il tema è proprio questo – conclude Bianchi – ed è intercettabile anche nel lavoro della prima saletta nel corridoio della galleria, ovvero una sorta di plastico di una delle quattro sale del Museo Archeologico usate da Cicelyn per alcune mostre prima dell’apertura del museo Madre, e in cui io “esporrò” quattro piccole opere di 7 cm. di lato, paragonabili a foto Polaroid».