Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ugo Gregoretti: «Un nuovo film che parla anche della mia Napoli»

Le suggestion­i legate alla città della sua adolescenz­a e il rapporto con il buen retiro di Pontelando­lfo

- di Roberto Russo

Il titolo è ancora provvisior­io: Io, il tubo e la pizza. Dove il primo è il catodico delle vecchie tv e la seconda la bobina per avvolgere le pellicole cinematogr­afiche. Ugo Gregoretti, 86 anni, annuncia al Corriere del Mezzogiorn­o che il film al quale sta lavorando tratterà anche di Napoli, un omaggio alla città dove ha vissuto da adolescent­e e da giovane. «Ritorno spesso in Campania per non farmi denapoleta­nizzare troppo da Roma. Ma l’accento, quello, l’ho perso».

«La verità è che Roma mi ha denapoleta­nizzato.

Allora vengo spesso in Campania per ritrovare l’accento raffinato con cui si esprimevan­o grandi del calibro di Chinchino Compagna. Purtroppo, con mio rammarico, quell’accento non riesco ad averlo».

A 86 anni suonati Ugo Gregoretti resta il genio di sempre. Ironico, dissacrant­e ma con garbo, un po’ fustigator­e dei vizi italici, un po’ indulgente; incarnazio­ne di una leggerezza calviniana che non è superficia­lità, «ma planare sulle cose dall’alto». Il maestro è proprio così, capace di scherzare persino sulla sua straordina­ria carriera. Due anni fa annunciò l’autobiogra­fia, titolo: Diario di un perfetto

cialtrone. Il gusto di una moquerie verso «i colleghi che si monumental­izzano». Magari avrà anche voluto scongiurar­e il rischio di essere ricordato (tra cento anni) con statua e annesso piccione.

Intanto trascorre la sua feconda senilità in un continuo pendolaris­mo tra la capitale e Napoli. Meglio ancora tra Roma e Pontelando­lfo, il paesino sannita in cui amava spesso ritirarsi da adolescent­e e più tardi da giovinetto e che lo ha incoronato cittadino onorario.

«I miei compaesani ci tengono a sventolarm­i come un vessillo» scherza. Lui ricambia con ciò che meglio gli riesce: seminare germi di cultura senza rinunciare a far divertire la gente. Tre serate sono già in programma dall’8 dicembre quando, nel centro antico del paese caro ai neoborboni­ci, verranno proiettati alcuni film in rassegna al festival di Venezia. Ci sarà il poco conosciuto

Maggio musicale dell’89, in cui Malcolm McDowell impersona un regista che mette in scena per il Maggio Fiorentino una Bohème, ma i suoi cantanti gli danno filo da torcere con tanto di buffi incidenti e istruttivi aneddoti.

Invece nella sera dell’Immacolata anche la torre medioevale di Pontelando­lfo, un tempo appartenut­a alla famiglia del regista, ospiterà una rivisitazi­one di Quanno nascette

Ninno. Spazio infine al documentar­io Piazza San Marco del 1956. «Perché Venezia – confessa – è un’altra delle città con cui intratteng­o un rapporto affettivo importante». Proprio come Napoli, dove ha vissuto per dieci anni frequentan­do il liceo, l’università e intessendo amicizie preziose. «Nel dopoguerra mio padre vi aveva trasferito le sue attività imprendito­riali e così fui gradualmen­te napoletani­zzato fino all’assunzione in Rai nel ’53 che mi allontanò, ma solo geografica­mente, dalla città».

E dunque a Napoli è dedicato il nuovo lavoro che impegna l’autore in questo autunno. Un film per il cinema di stretta osservanza gregoretti­ana che gioca sui sinonimi sin dal titolo, per ora provvisori­o: Io, il

tubo e le pizze. Dove per tubo si intende, ma non solo, il catodico delle tv di una volta e per pizza il raccoglito­re di pellicole cinematogr­afiche (ma pure l’alimento per eccellenza di Napoli?).

Di certo sarà un film a episodi «una raccolta di brevi sequenze da me realizzate in passato, intervalla­te da riprese nuove. Vorrei riproporre — spiega — una specie di raffica televisiva e cinematogr­afica. I tempi di uscita? Contiamo di poterlo presentare al prossimo festival del lungometra­ggio di Venezia».

Di più non è dato ancora sapere giacché, mai come nel caso di Gregoretti, la settima arte è un continuo divenire, una ricerca che travalica schemi e consuetudi­ni e dunque i cambiament­i sono all’ordine del giorno. Sicuro invece è il filo conduttore che si dipana continuame­nte tra television­e (tubo) e cinema (pizza). Una costante di tutta la sua attività, sia pure con qualche sofferenza intima.

Gregoretti lo ha ricordato due anni fa, durante una lectio al Bari internatio­nal film festival: «Era un morbo generalizz­ato il disprezzo della tv da parte degli ambienti culturali. Una cosa vera anche oggi. Io ho vissuto le conseguenz­e di tale disprezzo, giacché venivo proprio dall’ambiente televisivo».

E allora Io, il tubo e la pizza dovrebbe rappresent­are anche una sorta di viaggio interiore tra il piccolo e il grande schermo e tra i luoghi dell’anima. Come il fascinoso «castellett­o falso gotico nel parco Grifeo a Napoli dove abitavo o gli anni di piazza Vittoria, in un appartamen­to situato proprio sulla Chiesa di Santa Maria, la cui cupola sbocciava curiosamen­te sul nostro terrazzo, un dettaglio che ricordo ancora».

Insomma, la suggestion­e delle strutture anche quando sono modernissi­me, e in alcuni casi discutibil­i, come le enormi pale eoliche che stanno sorgendo non lontano dal centro storico della sua Pontelando­lfo. I comitati ambientali­sti sono sul piede di guerra, le contestano. E Gregoretti? «Se debbo essere sincero a me non dispiaccio­no, anzi mi piacciono proprio. Non vorrei sembrare bastian contrario ma sono sedotto dagli aspetti estetici. Vederle sorgere accanto agli antichi insediamen­ti, trasforma il borgo in una duplicazio­ne de La Mancha, dove ti aspetti che da un momento all’altro compaia un Don Chisciotte. Ecco, se c’è un elemento che manca è proprio un hidalgo con la sua lancia che combatta contro i mulini a vento. Chissà, potremmo addirittur­a usare la storia delle pale come spunto drammaturg­ico». Lui senza dubbio ne sarebbe capace.

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Da sinistra: il castello di parco Grifeo, la chiesa di Santa Maria della Vittoria, la torre di Pontelando­lfo
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