Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quando le donne descrivono i crimini dell’anima
Il meccanismo narrativo che tiene uniti fra loro i sei racconti dell’antologia Crimini dell’anima (edizioni Homo Scrivens, a cura di Mariagiovanna Capone) è interessante: le storie, in quanto a trama, sono in larga parte indipendenti fra loro, ma i protagonisti sono tutti allievi di un corso di scrittura noir che si svolge in una libreria napoletana. Qui, grazie agli insegnamenti di un importante scrittore di thriller contemporanei che si chiama Fabrizio Di Domenico (dotato di una «figura imponente che lo faceva somigliare ad un grosso orso dal pelo brizzolato», si legge in uno dei racconti), gli «studenti» metteranno pericolosamente a punto qualcosa in più delle semplici tecniche creative finalizzate alla scrittura di genere.
Crimini dell’anima è davvero il prodotto di un corso di scrittura noir tenuto da Maurizio De Giovanni, e comprende gli «elaborati finali» di sei autrici: Mariagiovanna Capone, Brunella Caputo, Vera Arabino, Gabriella Ferrari Bravo, Francesca C. Laccetti e Rosaria Vaccaro. Ciò che ne scaturisce sono sei storie nere: certe pagine sono evidenti esercizi di stile, mentre in altre si trova più di uno spunto utile a delineare la «crime fiction napoletana al femminile» come un vero e proprio genere in attesa di affermarsi. C’è qualche concessione al pulp, e il tentativo di calarsi nella psiche e nell’emotività di un assassino (uomo o donna che sia) è quasi sempre riuscito. Dominano, salvo rare eccezioni, ambientazioni familiari e professionali borghesi, crogiolo di traumi e perversioni inconfessabili.
Quel che è certo è che Fabrizio Di Domenico è il peggior docente che la letteratura contemporanea possa annoverare: mentre i suoi allievi attendono la fine della lezione per scannarsi a vicenda, progettano inquietanti giochi erotici, sviluppano invidie omicide, lui sembra non rendersi conto di nulla. Possibile?