Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL RUOLO DECISIVO DEL MEZZOGIORNO
Le urne sono aperte. E la Campania, insieme con la Puglia e la Sicilia, promette di essere determinante per l’esito del referendum. Le tre principali regioni del Sud contano oltre quindi milioni di abitanti, e potrebbero essere loro a far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. A meno che, come hanno suggerito i sondaggi (finché è stato possibile pubblicarli) nel Mezzogiorno non prevalga l’astensionismo, ovvero la rinuncia a dire la propria opinione. Un’opzione legittima, anche questa, che costituirebbe tuttavia il segno dell’estraneità del Sud dai grandi momenti del dibattito politico nazionale. Lo capiremo tra qualche ora. Ma intanto bisogna riconoscere che, nelle ultime settimane, la mobilitazione del Sì e del No è sembrata in netta crescita. E che quindi la campagna referendaria, benché spesso giudicata troppo lunga e troppo urlata, ha avuto in realtà una sua efficacia. I contenuti della riforma appaiono oggi meno ostici, per gli elettori, di quanto non fossero all’inizio della maratona referendaria. Non che, improvvisamente, si sia diventati tutti esperti di diritto costituzionale e di storia d’Italia, ma il senso politico della riforma (semplificazione legislativa, taglio dei parlamentari, ridimensionamento delle competenze regionali) appare abbastanza chiaro. Rispetto a qualche mese fa, il Sì e il No dovrebbero essere opzioni più ragionevoli e meno «di pancia», più pensate e meno emotive. E meno nebulosa dovrebbe apparire anche la posta in gioco per il Mezzogiorno e per Napoli. Al riguardo, c’è chi vede la riforma come un’occasione per rendere più coeso il territorio nazionale e per ridimensionare il particolarismo delle classi dirigenti locali. E chi, al contrario, teme gli effetti della maggiore capacità decisionale del governo, attribuendo ad essa un’ispirazione «nordista». Ma pochi, ormai, tra leader politici, economisti e commentatori, negano che si tratti di questioni capaci di influenzare il futuro del Sud.
Pochi sostengono in modo credibile l’argomento che nulla cambierà dopo il voto. È sempre più diffusa l’opinione opposta. Che, anche per il Sud, quella referendaria non sia una consultazione come le altre, ma un momento strategico. Che cioè il responso degli elettori meridionali (qualunque esso sia) non soltanto contribuisca a varare o affondare la nuova Costituzione e a determinare le sorti del governo Renzi, ma incida pesantemente -e in modo non effimerosulla politica locale.
Con il voto odierno dovrà fare i conti il sindaco di Napoli, che non a caso si è impegnato fino allo spasimo sulle barricate del No, nella speranza appena dissimulata di conquistare un ruolo nazionale all’interno della sinistra antigovernativa. Ma con esso dovrà vedersela anche Vincenzo De Luca, campione del Sì in Campania, il quale mira a diventare una sorta di leader meridionale del partito maggioritario di Renzi. Per non dire degli endorsement arrivati, in questi giorni, da segmenti significativi del contesto cittadino e regionale: i politici di lungo corso Cirino Pomicino, De Mita, Caldoro per il No, gli imprenditori Boccia, Prezioso, Tuccillo per il Sì, i sindacalisti della Cgil per il No, la Cisl e la Uil per il Sì, Francesco Paolo Casavola per il No, Biagio De Giovanni per il Sì. E via dicendo. Anche queste prese di posizione hanno contribuito a definire i contorni politici, culturali e sociologici dei due campi. Fornendo agli elettori elementi utili per orientarsi nelle loro scelte. Convincendo l’opinione pubblica che il voto è destinato a pesare non poco sulle opere dei due leader del territorio, il sindaco di Napoli e il governatore della Campania, e sulle prospettive (ad essi collegate) di imprenditori, sindacati, lavoratori, giovani.
E sebbene non sia chiaro quale opzione, tra il Sì e il No, verrà alla fine avvantaggiata da questo surplus di consapevolezza, è possibile -e certamente è auspicabile- che a crescere sia comunque la propensione a recarsi alle urne. Il che, sia detto fuor di retorica, sarebbe un grande successo per la democrazia di un Mezzogiorno tradizionalmente meno partecipativo del resto del paese.