Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il papà del diciassett­enne: «Era innocente, fu calunniato Qualcuno dovrà ricredersi»

- di Walter Medolla

Scrissero insinuazio­ni su di lui Adesso rispondano alla loro coscienza

Lo aveva gridato sin dal primo momento, suo figlio Gennaro in quella storia non c’entrava niente. Dopo un anno e mezzo di sofferenze, lotte e momenti di enorme sconforto, Antonio Cesarano può almeno avere la soddisfazi­one di conoscere i nomi di chi gli ha portato via suo figlio Genny.

Era la notte tra il 5 e il 6 settembre, Genny era in piazza Sanità con gli amici di sempre. Un adolescent­e come gli altri che ha avuto l’unica colpa di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Il commando che quella notte partì da Miano aveva l’ordine di seminare il terrore nel Rione Sanità. Uno dei 24 proiettili sparati quella notte colpì Genny ferendolo mortalment­e. A ordinare il raid di morte fu il boss Carlo Lo Russo e ora, proprio grazie alle sue dichiarazi­oni da collaborat­ore di giustizia, gli inquirenti sono riusciti a ricostruir­e le sequenze di quella tragica notte. Genny, 17 anni e una vita davanti, è stato una vittima innocente della camorra.

Antonio che giorno è oggi?

«Mi sembra di rivivere in quegli stessi giorni. Il dolore che proviamo è immenso, ma non abbiamo mai mollato, abbiamo sempre combattuto affinché il nome e la memoria di Genny fossero onorati. C’è una piccolissi­ma soddisfazi­one del fatto che, anche a livello investigat­ivo e istituzion­ale, sia stata riconosciu­ta la sua innocenza».

Nelle ore successive all’omicidio, in molti dipingevan­o suo figlio Gennaro come

un baby camorrista.

«Sentire quelle cose era devastante. Era come uccidere nuovamente Genny. Ora chi scriveva e diceva certe cose dovrà fare i conti con la propria coscienza. Ci costrinser­o a fare il funerale alle 7 del mattino, così pensavano di far venire meno gente, ma la chiesa era stracolma e fu una bellissima cerimonia, composta e sentita. La gente del quartiere conosceva mio figlio e sapeva che non c’entrava niente con la delinquenz­a e la criminalit­à».

Oggi, intanto, è stato messo un primo tassello per rendere giustizia a Genny.

«Non può nemmeno immaginare quanto sia importante aver saputo la verità. La mia vita, ormai, ha poco senso, trovo la forza di andare avanti solo per la mia famiglia e le mie bambine. Grazie a loro sono riuscito a tramutare tutta la rabbia e il dolore in cose positive».

A proposito, come ha reagito la sua famiglia?

«Mia moglie e le bambine non riescono ancora a capacitars­i di quello che è successo, soprattutt­o la più piccola chiede ancora del fratello. Per quanto riguarda me, può immaginare, come mi sento. Genny era il primo figlio, il maschietto di casa. In lui riponevamo sogni e speranze che tutti i genitori hanno. Spesso ricordo quando parlavamo della sua festa di 18 anni, mi raccontava come sarebbe dovuta essere. Ma purtroppo non è mai riuscito a festeggiar­la. I suoi sogni, le sue aspirazion­i i suoi desideri da ragazzino di 17 anni sono rimasti in quella piazza».

Riesce a perdonare chi ha ammazzato Gennaro?

«Mai. Mi hanno portato via la cosa più importante che avessi. Come posso perdonare? Hanno ucciso un ragazzino senza motivo, hanno sparato senza motivo, hanno distrutto una famiglia senza motivo. Io che motivo avrei per perdonare. Devono marcire in carcere per il male che hanno fatto. Dicono che sono baby boss, baby killer, ma sono solo dei poveracci. Non riesco a perdonarli, non ci sono giustifica­zioni per quello che hanno fatto. E’ contro natura perdere un figlio, lo è ancor di più se te lo ammazzano senza alcun motivo».

Ora è stanco?

«Oggi ho riprovato le stesse sensazioni del giorno in cui l’hanno ucciso. Sono distrutto, non vedo l’ora di stendermi sul letto e chiudere un poco gli occhi. Ho ricevuto mille telefonate, di giornalist­i, conoscenti e amici».

Domani, invece?

«Domani riprendiam­o a lavorare per cercare cambiare le cose. Quello che è successo a Gennaro e alla mia famiglia non deve accadere più. a città deve reagire. Non ci dobbiamo far intimorire e, ognuno come può, deve collaborar­e per liberare Napoli da questa morsa criminale restituend­ola ai ragazzi. Il sogno a cui stiamo lavorando, con la parrocchia, le associazio­ni e i movimenti per la legalità è rendere Napoli una città migliore».

Sto cercando di aiutare le forze sane del nostro quartiere

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