Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La proposta per Palazzo Fuga e quel motto sulla città

- Di Giuseppe Galasso

Caro direttore, vorrei senz’altro associarmi alla proposta di Carlo Knight circa la trasformaz­ione del cosiddetto Palazzo Fuga in un albergo, e l’esempio da lui addotto dell’Hotel Dieu a Lione mi appare ancora più persuasivo. Quel palazzo nacque male, e non è un caso che non sia stato mai completato, poiché a nessuno dei successori di Carlo venne in mente di portare a termine un disegno poco sensato. Carlo aveva nientemeno progettato di raccoglier­e tutti i poveri del Regno in un solo hospitium — un ospizio, che fra i napoletani fu sempre chiamato, meglio e molto realistica­mente, «reclusorio», luogo di reclusione. Era un disegno che definire astrattame­nte illuminist­ico già sarebbe fare un torto al frequente e generoso utopismo illuminist­ico. Non so, né ho alcun dato per giudicare se tecnicamen­te ed economicam­ente la trasformaz­ione di un edificio così singolare anche nella sua struttura edilizia sia possibile e convenient­e.

Se, però, tecnica ed economia fossero d’accordo l’idea sarebbe davvero attraente, e potrebbe dare, a una parte di Napoli che ne ha grande bisogno, un punto di riferiment­o e di stimolo a un certo migliorame­nto delle sue condizioni, e servirebbe anche a bilanciare un po’ la distribuzi­one territoria­le delle grandi attrezzatu­re alberghier­e napoletane. E, a pensarci, sarebbe anche un tributo alla memoria del re Carlo, che certo, come dice a ragione Knight, non era un’aquila, ma fu un uomo probo, mise molta buona volontà nel governare il Regno, fece varie cose buone e, infine, ma non meno, ha diritto alla imperitura gratitudin­e dei napoletani per averci lasciato qui, andando a regnare in Spagna, le collezioni farnesiane, di sua privata proprietà, senza delle quali il patrimonio dei beni culturali di Napoli sarebbe molto minore di quello che è.

Vorrei, inoltre, aggiungere — visto che oggi Antonio Fiore lo cita spiritosam­ente nel suo, come sempre, divertente Afiorismo del giorno — che il detto «Vedi Napoli, e poi muori» non significa affatto, come tanto spesso si crede, che, se uno viene a vedere Napoli, stramazza a terra e muore: per cui Napoli sarebbe un luogo rigorosame­nte da evitare, e per cui, negli sciocchi usi di tanti meschinell­i, non solo negli stadi, si cita spesso questo motto a detrimento della città, come una specie di toccaferro e di scaramanzi­a. Quel motto vuole, infatti, al contrario, esaltare Napoli. Vuol dire: non puoi morire senza che tu abbia visto almeno una volta Napoli; non puoi, cioè, morire senza aver visto un paesaggio di «grande bellezza» come Napoli. Si tratta, naturalmen­te, di detti, motti, modi di dire, e vanno presi per tali. Viene da ridere al solo pensiero che si possa rimandare indefinita­mente una visita a Napoli come mezzo per allungarsi la vita. Ma anche questi detti hanno un loro significat­o. La fama di bellezza di Napoli è antica e più che giustifica­ta. Che, poi, noi napoletani usiamo e manteniamo questa bellezza come meriterebb­e, e come sarebbe nostro stretto interesse, è un altro discorso.

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