Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Giusto (e necessario) discutere sulle politiche industriali
Caro direttore, il recente editoriale di Paolo Grassi sul futuro dell’industria in Campania e il successivo intervento del segretario regionale della Uil Giovanni Sgambati hanno, a mio parere, il merito di aver riacceso la discussione sulla politica industriale in una fase caratterizzata ancora da incertezze e dall’assenza di una strategia definita sul futuro produttivo della nostra regione. I tre settori richiamati dai due interventi (Automotive, Aerospazio e Cantieristica) sono indubbiamente tra cardini fondamentali della manifattura campana e necessitano di importanti relazioni industriali sia per le grandi imprese che per tutto l’indotto. Cosi come sono necessari interventi della pubblica amministrazione con la definizione di tempi certi e procedure codificate per dare certezza agli investitori delle tre filiere. Nello stesso momento però non si può ignorare quello che avviene in altri settori come ad esempio gli investimenti pubblici (Alta Velocità/Alta Capacità, gli investimenti Anas, etc.) che cosi come programmati rischiano di tagliare fuori buona parte del sistema delle imprese regionali ed importanti territori condizionandone la competitività da una parte e l’attrattività dall’altro. Questi che non possono essere competitivi se non si realizzano le infrastrutture immateriali e materiali, come la banda larga necessaria, tra le altre, nel dare attuazione alle fasi dell’industria 4.0. Così come prioritaria resta la necessità di dare certezze alla filiera agroalimentare, fortemente penalizzata da cattiva informazione. Ritengo, inoltre, che bisogna in ogni caso valorizzare gli investimenti fatti negli anni passati soprattutto in innovazione e ricerca, penso ai distretti e ai laboratori pubblico privati, per mettere a valore industriale gli investimenti fatti, evitando di vanificare risorse e risultati raggiunti. Le piccole e medie imprese che faticosamente stanno cercando di superare gli effetti della crisi sono accomunate da investimenti in capitale umano, in attività innovative e in nuovi modelli di relazioni produttive. L’innovazione dei processi produttivi, le nuove tecnologie, gli effetti della crisi, hanno imposto ed imporranno nuovi scenari che nei prossimi anni determineranno uno stravolgimento dei ruoli degli attori delle relazioni industriali (sindacati, associazioni datoriali) cosi come diverso sarà il ruolo dei governi del territorio (regioni, città metropolitane). Il ruolo delle relazioni industriali sarà sempre più quello di accompagnare un processo di forte innovazione che avrà come effetto naturale una domanda di risorse umane diverse dalle attuali sia in termini quantitativi che qualitativi. Gli attori delle relazioni industriali (imprese, associazioni di categoria, sindacati), dovranno, soprattutto a livello territoriale (contrattazione di II livello) essere capaci di interpretare i cambiamenti, partendo dalle condizioni specifiche, e accompagnare i sistemi economici territoriali verso obiettivi di crescita duratura, e abbandonare atteggiamenti autoreferenziali. Nelle nuove forme di relazioni industriali indubbiamente il sistema più debole è quello delle pmi. Così come necessariamente dovranno innovarsi le forme di gestione dei territori. I territori sono in competizione tra loro, quelli ritenuti attrattivi saranno competitivi e saranno considerati luoghi in cui investire capitali e in cui troveranno spazio risorse umane con competenze ad alto valore aggiunto.