Corriere del Mezzogiorno (Campania)
D’Isanto: settore che può valere fino a sei miliardi Pochi i controlli
Ma quanto vale il terzo settore in Campania? Marco D’Isanto, commercialista, esperto di fiscalità sociale, prova a sintetizzare: «In Italia, rappresenta il 4 per cento del Pil. In Campania, probabilmente, dai 4 ai 6 miliardi di euro».
Come si fa a controllare questo flusso di finanziamenti?
«Per quanto il decreto legislativo 460 del 1997 abbia introdotto elementi più rigorosi e selettivi ai fini della trasparenza, purtroppo questi non sono sufficienti ad assicurare una buona capacità di controllo».
Perché?
«Vi sono associazioni, onlus, fondazioni che presentano bilanci, ma esclusivamente ai fini di un controllo interno. Senza sottostare all’obbligo della pubblicazione».
Sta dicendo che vi sono attività che muovono finanziamenti
per 4 miliardi di euro l’anno e non sono tenute a verifiche di bilancio e a pubblicare i loro rendiconti?
«Ma è una situazione che da qui a poche settimane sarà radicalmente modificata. Il parlamento sta lavorando sui decreti attuativi della legge delega del giugno 2016 che interverrà in misura significativa su alcuni vincoli: per tutti gli enti che raccolgono fondi pubblici varrà il principio inderogabile della trasparenza sia per quanto riguarda i bilanci che per le erogazioni liberali che ricevono».
Le cooperative già sono sottoposte a questi obblighi?
«Certamente. Le cooperative sono sottoposte a tutti gli obblighi delle imprese. Le nuove misure normative consentiranno di recuperare alle ragioni della trasparenza soprattutto le strutture associative che affollano il terzo settore e che, per ora, sono esenti da verifiche contabili esterne. Spesso la cronaca riporta presunti scandali che coinvolgono soggetti come le Ong che svolgono, per la stragrande maggioranza, una delicata attività umanitaria e sociale. Mentre ci sono enti che si muovono in un contesto di opacità ai quali, tuttavia, non viene riservata alcuna attenzione». A cosa si riferisce? «Sarebbe interessante, per esempio, capire se le Asl si propongono di verificare le attività di alcune organizzazioni che lavorano principalmente nell’ambito sanitario. Del resto, si tratta di vigilare su fondi pubblici destinati al sostegno e all’assistenza dei soggetti più svantaggiati».
Perché finora non si è ritenuto necessario vigilare sulle attività di enti che gestiscono questo fiume di denaro pubblico?
«È un tema da anni al centro del dibattito pubblico. Ma finora non si è mai deciso di introdurre strumenti di maggiore rigore. Pertanto si è finito per arrecare un danno soprattutto a quelle strutture che hanno svolto la loro opera con correttezza e trasparenza».
Principalmente da dove arrivano i fondi pubblici destinati al terzo settore?
«Da ogni livello istituzionale: sono di derivazione nazionale, regionale, ma vi sono anche i finanziamenti che giungono dagli enti locali, dalle università, dalle camere di commercio. E poi, le elargizioni liberali. Insomma, una montagna di soldi che ora, con la nuova normativa, avranno finalmente una vera tracciabilità».